Arcangelo Leone de Castris

scrittore e critico letterario italiano (1929-2010)

Arcangelo Leone de Castris (1929 – 2010), scrittore e critico letterario italiano.

Citazioni di Arcangelo Leone de Castris

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  • C′è un dato iniziale, nella produzione letteraria italiana tra i due secoli [...] Ed è il dato dell'introversione, dello scavo analitico, dell'atmosfera rarefatta e segreta, dello spazio autobiografico fortemente ritagliato pur entro i limiti usuali della rappresentazione oggettiva, del tempo introspettivo che logora l'architettura continua della forma tradizionale, del dialogo interiore che attenua e scioglie la dimensione apparente del colloquio, dell'uso simbolico e ossessivamente soggettivo delle cose, rinominate e concentrate da un'organizzazione stilistica fortemente selettiva, antinaturalistica e inquietante, dialettica e sperimentale. (da Arcangelo Leone de Castris, Il decadentismo italiano [1974], in Il decadentismo, a cura di Enrico Ghidetti, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 268)
  • La cultura tende, di fatto, e con già evidenti riflessi soggettivi, a realizzare in se stessa una sua universalità separata, alternativa, e a costituirsi come contraddizione specifica della società: e non già di alcuni suoi aspetti, o istituzioni, o valori (come era stata costruttivamente, nella fase ascendente della storia borghese), ma dei suoi fondamenti complessivi, del suo «sistema», rivelatrice della sua irrazionalità e patente indicatrice del suo destino mortuario. (da Arcangelo Leone de Castris Il decadentismo italiano [1974], in Il decadentismo, a cura di Enrico Ghidetti, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 272)
  • [Sul teatro di Pirandello] Quanto più accentuata e brutale e naturalisticamente definita è la conclusione della vicenda occasionale, la formale perentorietà del gesto culminante [...][1] tanto più essa misura, come un deus-ex-machina infruttuoso ed ironico, la non-conclusione del dramma dei personaggi. (da Arcangelo Leone de Castris, Il decadentismo italiano, Bari, 1974, p. 199; citato da Ferruccio Masini in Gli schiavi di Efesto; L'umorismo pirandelliano e la scrittura teatrale come entelechia drammatica. Editori Riuniti, Roma, 1981, pp. 349-340, nota)
  • [Sul teatro di Pirandello] Il palcoscenico borghese risulta qui restaurato, accuratamente ricostruito e promosso all'azione, solo in funzione di quell'enorme strappo nel suo cielo di carta, che improvvisamente, nei ritmi segreti e fondanti dell'azione stessa, lo strania in una dimensione problematica di critica radicale e assoluta: sottraendogli ogni copertura di certezza, di credibilità, di valore, ogni autentica difesa contro la prospettiva "copernicana" che lo impiccolisce indefinitamente, sino a farne il luogo stilizzato di un gioco tragico. (da Arcangelo Leone de Castris, Il decadentismo italiano, Bari, 1974, p. 199; citato da Ferruccio Masini in Gli schiavi di Efesto; L'umorismo pirandelliano e la scrittura teatrale come entelechia drammatica. Editori Riuniti, Roma, 1981, p. 345, nota)
  1. Omissione di Ferruccio Masini

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