Bartolomeo di Iacovo da Valmontone

scrittore italiano
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Bartolomeo di Iacovo da Valmontone (? – 1357 o 1358), probabilmente l'autore conosciuto per quasi 6 secoli sotto il criptico nome, attribuitogli dagli studiosi, di "anonimo romano".

  • Fra tanto Colonnesi e·lli signori de Marini, missore Ranallo e missore Iordano, fortificavano le loro fortellezze. Secretamente faco una iura. Mustrano ca voco rebellare. Fortificano Marini e renovano lo fossato intorno. Menano uno forte steccato de doppie lena. Tanta fu la pascia dello tribuno, che ciò non sappe vetare. Non se parao allo principio. Aspettao fi' che lo castiello fu forte guarnito. Fra tanto questo tribuno deventao iniquo. Moita iente de esso se mormorava. Puoi che lo castiello de Marini bene fu inforzato, guarnito de saiette, lance e uomini, vettuaglia e mura, lename e vino, la rebellione se scoperze. Folli mannato lo editto che comparessi. Allo messaio fuoro fatte non meno de tre ferute in capo, là fra le vigne de Marini. Puoi essivano fòra de Marini e onne dìe predavano li campi de Roma. Menavano vuovi, pecora, puorci, iumente. Tutto connucevano a Marini. Ora vedese per Roma sciliare de gote. Onne perzona lagnata strilla. Rancore e paura nasco. Un'aitra voita lo tribuno li citao e commannao che venissino a Roma a pede sotto pena dello sio furore. Puoi commannao che fussino penti missore Ranallo e missore Iordano 'nanti allo palazzo de Campituoglio como cavalieri, collo capo de sotto retrosi e·lli piedi de sopra. Perciò peio ne fao missore Iordano. Curreva fi' a porta de Santo Ianni e prenneva uomini e femine, armenti de vestie. Onne cosa ne porta a Marini. Missore Ranallo, lo frate, ne passao de·llà dallo Tevere e entrao nella citate de Nepe e curreva de·llà e de cà ardenno e predanno. Ardeva terre. Arze la castelluzza, case e uomini. Non se schifao de ardere una nobile donna vedova veterana in una torre. Per tale crudelitate li Romani fuoro più irati. Moito haco conceputo contra missore Ranallo e missore Iordano. Non pare opera da gabe. La perverza mente de Romani fu contra Colonnesi. Era allora le vennegne. L'uva era matura. La iente la pistava. Allora lo tribuno adunao tutto lo puopolo armato e trasse fòra l'oste de Roma e iessìo fòra sopre lo castiello de Marini e locao sio esercito in uno luoco lo quale se dice la Maccantregola. Valle ène sotto una selva, longa dallo castiello forza un miglio. L'oste fu bella, grossa e potente, de pedoni e de cavalieri. Fuoro pedoni da vinti milia, cavalieri da ottociento. Era lo tiempo forte corocciato e piovoso per tale via, che impacciava l'oste. Non li lassava fare guasto alcuno. Alla fine, in spazio forze da otto dìi, guastaro tutto ciò che era intorno allo castiello de Marini. Tutto depopularo lo sio terreno. Tagliaro vigne, arbori; arzero mole; scaizaro la nobile selva non toccata fi' a quello tiempo. Onne cosa guastaro. Per anni quello castiello non fu tale né tanto. Puoi trassero delli arnari preda secunno che se potéo. Tutta Roma iaceva là. In questi dìi sopravenne a Roma uno cardinale; legato era de papa. Questo legato infestava tuttavia con lettere che·llo tribuno tornassi a Roma, ca·lli voleva alcuna cosa rascionare. Allora lo tribuno, fatto lo guasto, una dimane per tiempo levao campo e annao sopra la castelluzza, poco da longa da Marini. Sùbito la prese, e instanti fuoro dati per terra li muri intorno. Ià voleva commattere la rocca e la torre rotonna, dove se era redutta la fantaria. E per espugnare quella torre avea fatto fare doi castella de lename, le quale se voitavano sopra rote. Avea scale e artificii de lename. Mai non vedesti sì belli ignegni. Apparecchiava picchioni e aitri instrumenti. Moite ammasciate recipéo in quello luoco. Curreva de·llà una acquicella. In quella acquicella vagnao doi cani e disse ca erano Ranallo e Iordano cani cavalieri. Puoi guastao la mola. Puoi mosse tutta soa oste e tornao a Roma, perché le lettere dello legato infrettavano. La matina per tiempo deo per terra le belle palazza in pede de ponte de Santo Pietro, in fronte de Santo Cieizo. Puoi ne ìo con soa cavallaria a Santo Pietro. Entrao la sacristia e sopra tutte le arme se vestìo la dalmatica de stati de imperatore. Quella dalmatica se viesto li imperatori quanno se incoronano. Tutta ène de menute perne lavorata. Ricco ène quello vestimento. Con cutale veste sopra l'arme a muodo de Cesari sallìo lo palazzo dello papa con tromme sonanti e fu denanti allo legato, soa bacchetta in mano, soa corona in capo. Terribile, fantastico pareva. Quanno fu pervenuto allo legato, parlao lo tribuno e disse: «Mannastivo per noa. Que ve piace de commannare?» Respuse lo legato: «Noa avemo alcune informazioni de nuostro signore lo papa». Quanno lo tribuno ciò odìo, iettao una voce assai aita e disse: «Que informazioni so' queste?» Quanno lo legato odìo sì rampognosa resposta, tenne a si e stette queto.[1]

Incipit di Cronica o Vita di Cola di Rienzo

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Dice lo glorioso dottore missore santo Isidoro, nello livro delle Etimologie, che lo primo omo de Grecia che trovassi lettera fu uno Grieco lo quale abbe nome Cadmo. 'Nanti lo tiempo de questo non era lettera. Donne, quanno faceva bisuogno de fare alcuna cosa memorabile, scrivere non se poteva. Donne le memorie se facevano con scoiture in sassi e pataffii, li quali se ponevano nelle locora famose dove demoravano moititudine de iente, overo se ponevano là dove state erano le cose fatte: como una granne vattaglia overo vettoria tristezze, disconfitte inscolpivano e aitri animali in sassi overo iente armata, in segno de tale memoria.

  1. Da Cronica, cap. XVIII.

Bibliografia

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  • Anonimo romano, Cronica, a cura di Giuseppe Porta, Milano, Adelphi, 1979.

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