Andrea Carandini

nobile, archeologo e accademico italiano

Andrea Carandini (1937 – vivente), archeologo italiano.

Andrea Carandini e Giorgio Napolitano

Citazioni di Andrea Carandini

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  • Il patrimonio culturale non è fatto di aurei lingotti, che pongono un problema di sicurezza riguardo a proprietà e trasmissione ereditaria. Il patrimonio paesaggistico, storico e artistico non diminuisce fruendone, anzi aumenta il suo valore, perché le cose riconosciute e amate si sviluppano nei commenti generati dalla loro fortuna.[1]
  • L'articolo 9 [della Costituzione]: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Appunto, il primo comma si occupa di valorizzazione, il secondo comma della tutela.[2]
  • La riforma Franceschini va difesa per due ragioni principali: La prima è che finalmente crea uffici appositi per i maggiori luoghi espositivi. Quindi finalmente accanto alla tutela compare anche la valorizzazione: un elemento contemplato in quell'articolo 9 della Costituzione, dove si dice che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura scientifica e tecnica. Quindi il ministero si deve occupare sia della tutela che della valorizzazione. Quindi ci sono sia i grandi musei e i grandi siti espositivi come Pompei, che si occupano soprattutto di valorizzazione perché lì si concentra il pubblico: sia gli altri uffici come le soprintendenze, che si occupano della tutela. [...] [Inoltre] Si supera quella situazione totalmente dissennata per cui gli archeologi, gli storici dell'arte e gli architetti lavoravano in uffici separati, invece di collaborare insieme in un'unica struttura. Può esistere un'orchestra solo di violini? Con i violini ci vuole il corno inglese, ci vuole l'oboe, ci vogliono i timpani. Purtroppo le corporazioni pensano sovente più al proprio interesse che non a quello dei cittadini.[2]
  • Pompei è e rimarrà mal conosciuta.[3]

Intervista di Antonio Gnoli, Repubblica.it, 23 marzo 2015.

  • [Parlando di Ranuccio Bianchi Bandinelli] Conosceva perfettamente il tedesco. Gli fu imposto di fare da guida al Führer. Ne ha sofferto. Non se lo è mai perdonato. Alla fine si iscrisse al partito comunista. Secondo me lo fece per punirsi delle sue origini aristocratiche. È stato un uomo diviso. C'è una lettera di Thomas Mann che parla di lui, della sua anima lacerata: il comunista e il borghese.
  • Non ho mai pensato, diversamente dal mio maestro [Bianchi Bandinelli], che il comunismo fosse un nuovo cristianesimo.
  • Si cerca il limite oltre il quale non c'è più nulla. Si va indietro, indietro, indietro. Perché? Chi ce lo fa fare? Semplice: ogni uomo non può fare a meno della sua origine. E lo stesso dicasi per la città.
  • La leggenda è il rumore che sta sotto alla storia. A volte è un canto. A volte un grido. A volte un suono stridente.
  • [Parlando della vecchiaia] È un senso di cambiamento, a volte di rottura, scendere i gradini di una prigione dove nessuno ti spinge, ma nella quale inesorabilmente finisci.
  • Mi pare di essere nella quinta di un teatro abbandonato dove non si può più recitare. Perché quello che c'è stato non c'è più. Perché la mia classe è morta. Mi sento un sopravvissuto, un reperto archeologico. Sono stato creato per un mondo che non c'è più.
  • Penso che nella vita ci sia un quaranta per cento di fregature e un sessanta di cose che vanno a buon fine. Nonostante tutto resto un moderato ottimista
  1. Da Due idee di «patrimonio»; in La forza del contesto, Laterza, 2017, p. 29. ISBN 8858129393
  2. a b Dall'intervista di Maurizio Stefanini, Tutela e valorizzazione, arte e turismo, soprintendenze uniche, il Foglio.it, 18 marzo 2019.
  3. Citato in Pierluigi Panza, L'esperienza della bellezza. Ecco la nostra identità, Corriere della Sera, 22 aprile 2017, p. 53.

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