Alex Connor

scrittrice britannica

Alexandra Conor (… – vivente), scrittrice britannica.

Incipit di alcune opere

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Saga di Caravaggio

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Cospirazione Caravaggio

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Napoli, Italia
Inizio del 1610

Silenzio.
Trattieni il respiro.
Ascolta.
Si ritrae nell'oscurità dell'androne, lontano dal raggio di luce proiettato dal suo inseguitore, che è fermo all'imboccatura del vicolo, con la torcia in mano.
Non può aver perso le sue tracce.
L'ha colpito. Ne è certo.
Ha sentito il coltello affondare dentro la mascella di quell'uomo. L'ha colpito.
Ma quanto forte? Abbastanza da ucciderlo?
L'aggressore avanza con cautela sul selciato irregolare, mentre la sua vittima si appiattisce contro la porta, premendo il corpo affinché rimanga nascosto nell'oscurità dell'androne. Respira a malapena, osserva la luce che avanza e si ferma a pochi metri da lui. Sente l'odore di fumo, segue il bagliore della torcia che si alza e ricade, al sollevarsi e abbassarsi del braccio del suo inseguitore. Fa un passo in avanti e poi si ferma di nuovo.
Ascolta.
Li separano soltanto pochi metri.
Nell'androne, Michelangelo Merisi, il pittore conosciuto con il nome di Caravaggio, si nasconde, ferito. Tastandosi, percepisce la violenza dell'aggressione subita, il taglio nella pelle che parte dall'angolo dell'occhio attraversa la guancia e arriva fino alla mascella. Ha mancato di poco l'arteria.
Respira. Quasi impercettibilmente, a fatica, emettendo uno stentato sibilo dai polmoni. Se scampa a questa, riuscirà a cavarsela. Rimarrà sfigurato, ma vivrà. Sente il sangue che gli scorre sulla camicia; l'aria della notte fa bruciare la ferita aperta.
Il suo aggressore riflette, a pochi centimetri da lui.
Immobile, Caravaggio si rende conto che un solo respiro, un movimento impercettibile, il tremolio di un muscolo e sarà perduto per sempre. Il silenzio è opprimente, totale, il minimo suono tradirà la sua presenza alla stregua di una palla di cannone. È in quel momento che lo sente. Il rivolo di sangue scende dalla mascella, lungo il petto, fino al braccio. Caravaggio si contrae. Il sangue, appiccicoso e infido, scivola sul polso, poi attraversa il palmo. Inspiegabilmente, per un istante che sembra un'eternità, pare che si blocchi, proprio sulla punta delle dita, prima di proseguire la sua corsa.
Gocciola, come uno sparo, fino a terra vicino ai suoi piedi.

Caravaggio Enigma

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Silenzio...
Non sento niente. Il colpo alla testa mi ha assordato. Passerà, lo so, ma per adesso riesco soltanto a sentire il battito del mio cuore... Aspetta... Guarda.
Un movimento. Ne percepisco la vibrazione, la terra trema, e rotolo via mentre il cavallo si lancia alla carica. Uno zoccolo mi urta il piede, lacera il cuoio dello stivale e colpisce la caviglia. Non so se sto urlando, non riesco a sentirmi, barcollo per alzarmi, trascino la gamba mentre un altro cavallo galoppa verso di me, con il cavaliere che fa affondare la spada.
E va a vuoto.
Stavolta.
Sto sanguinando, correndo, sanguinando. Nei vicoli, oltre la taverna del Turco, supero la fontana in cui si lavano le sgualdrine. Conosco queste strade, segni col gesso sulle pareti. Una lanterna rotta accanto alla bottega del barbiere... Corri, Caravaggio, corri...

Maledizione Caravaggio

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28 maggio 1606
Sono Michelangelo Merisi da Caravaggio, l'assassino di Ranuccio Tomassoni.
E so come funziona la giustizia romana. Se mi avessero preso, mi avrebbero giustiziato. Non sarebbe stata un'esecuzione rapida, ma una lenta agonia, con il cappio, il maglio oppure il fuoco. Ho visto i corpi degli assassini giustiziati, legati per le caviglie affinché tutti potessero vederli; a volte era soltanto la testa mozzata a essere fatta sfilare in corteo come il grugno di un porco, con il sangue che colava dal naso e dagli occhi. A volte era già in decomposizione, con le labbra ritratte in un sorrisetto spasmodico.
Scappa, Caravaggio.
Gesù, per l'amor del cielo, scappa.
Dopo aver pugnalato Tomassoni, ho lasciato cadere la spada, l'ho sentita sferragliare, proprio come ho sentito riverberare il tonfo del corpo di Tomassoni quando è crollato a terra di peso... Ho combattuto per tutta la vita: sentendo il cuore battere all'impazzata, il sangue ribollire, le vene del collo gonfiarsi e lo stomaco contrarsi. Nervi saldi, rabbia, rapidità, riflessi, ecco di cosa si ha bisogno per combattere, e quando ho visto cadere Tomassoni, ho capito che era morto ancor prima che toccasse terra. Dicono che sia morto poco dopo, che sia sopravvissuto abbastanza a lungo da ricevere l'estrema unzione. Ma io ne dubito. Quando l'ho pugnalato, non gli restavano che pochi minuti da vivere.
Non avevo intenzione di ucciderlo.
Mi ha aggredito.
È stato lui a sferrare il primo colpo. Non io.
È stato lui a sferrare il primo cazzo di colpo.
Non io.

Eredità Caravaggio

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Kensington, Londra
Il 24 luglio del 2011, una collezione di mobili, dipinti, porcellane e libri fu spedita in Inghilterra da Napoli. I beni erano appartenuti al signor Massimo Luca e, visto che l'uomo non aveva eredi in Italia, il patrimonio era passato al ramo inglese della famiglia. Ovvero sia a una donna, sua cognata, Cornelia Stein. Per Cornelia, vedova di settantun anni senza figli, l'eredità inaspettata era stata più una seccatura che una manna dal cielo, e dopo intere settimane dedicate a passare in rassegna gli oggetti, vendette la maggior parte dei quadri e dei pezzi di mobilia e mise le porcellane all'asta da Bonham's.
Avendo sposato un italiano, Cornelia sapeva parlare e leggere la lingua. Di conseguenza, essendo un'amante della lettura, tenne alcuni volumi di valore. Tuttavia, insieme ai pregevoli tomi, era giunta anche una notevole quantità di scritti personali e quaderni d'appunti di Massimo Luca. All'inizio, Cornelia ebbe la tentazione di gettare via gli scritti senza nemmeno aprirli, poi cominciò a leggerli. Il cinquantacinque percento delle carte riguardava noiose transazioni commerciali legate alla galleria d'arte di Massimo a Roma; un venti percento aveva a che vedere con la malattia e la morte della moglie; un altro venti percento descriveva nel dettaglio gli approfondimenti e gli articoli di Massimo sul mondo dell'arte, per la maggior parte accompagnati da ritagli di giornale. Restava quindi un altro cinque per cento.
Il cinque percento... che consisteva in un'unica busta color pelle di bufalo, voluminosa e consunta, sulla quale erano impresse le parole: “Scritti privati di Edward Petersham. A.G.”.

I Lupi di Venezia

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I Lupi di Venezia

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Venezia, 1548

Un sussurro è pericoloso quanto uno squillo di tromba, dicono, e a Venezia un sussurro continua a riecheggiare nella Repubblica per l'eternità. Aleggia tra i pali di legno che tengono a galla la nostra città. Si abbarbica ai frigidi gradini e con la sua lingua tappa le umide murature. Silenzio, dice, non parlare, sussurra e basta. Sussurra alle orecchie dei pesci e alle carcasse degli uomini annegati.
Non ho scoperto la verità se non parecchi anni dopo: era una questione di cui mio padre non parlava mai, ma sapevo che era il motivo per cui mi odiava, lo scandalo che mi tallonava, i mormorii che si affievolivano senza mai cessare del tutto. Mia madre aveva diciotto anni quando mi diede alla luce e ne aveva diciotto quando morì. Una settimana tra il parto e il momento in cui perse la vita. La trovarono impiccata, la sottoveste sporca di sangue. I piedi ciondolavano a una sola spanna da terra, la finestra aperta, e le campane della chiesa rintoccavano per dare il loro esuberante annuncio pasquale mentre i suoi occhi spalancati fissavano il vuoto, il bianco iniettato di sangue, il corpo che dondolava leggermente dalla trave. Il latte che avrebbe dovuto nutrire suo figlio trasudava dal cotone della sottoveste, creando aloni delle dimensioni di un piattino, e attorno al polso sinistro c'era un livido, indaco, che si scuriva fino a diventare color melassa.
Questo è ciò che mi dissero.
Questo è ciò a cui avevo creduto.
Il medico diceva che mia madre era stata colpita da un'encefalite: "febbre da latte", come la chiamano alcuni, una pazzia temporanea. Era talmente disturbata che si era tolta la vita, allontanandosi da Dio e facendo cadere in disgrazia la famiglia Gianetti. Dicevano che il suicidio per lei era stato una benedizione, una via di fuga dal dolore.
Nei sogni, però, la sento rantolare, vedo le mani che artigliano il cappio attorno al collo, i piedi che sussultano e fremono, calciando l'aria secca, la vescica che si svuota mentre sta soffocando.
È stata colpa mia. Se non mi avesse partorito, non si sarebbe mai uccisa. Io ero la larva nel suo ventre, il tarlo nella sua mente; io ne sono stato la causa, e mio padre me l'ha ricordato ogni giorno della mia vita.

I Cospiratori di Venezia

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Venezia, aprile 1550

Ho due vite sulla coscienza.
Fardelli che non pesano come dovrebbero.
Erano passati due anni da quando Ira Tabat era stato giustiziato per l'omicidio di sua sorella. Un omicidio che non aveva commesso. Un omicidio per il quale ero stato io a permettere che venisse condannato.
Da allora il suo fantasma si era unito a quello di mia madre e si scambiavano ruolo nei sogni che turbavano il mio riposo, le rare volte in cui riuscivo a chiudere occhio. Ossia quando ero ubriaco, o dopo essere stato saziato dalle cortigiane che mi venivano mandate da Pietro Aretino, il grande capo dei ruffiani. Ciondolando dal baldacchino del mio letto, lo spettro di mia madre riproponeva la stessa scena che mi tormentava sin dall'infanzia: i piedi sospesi da terra in cerca di un punto di appoggio mentre il corpo, scosso dagli spasmi dell morte, oscillava con insistenza tra gli orrori di questo mondo e di quell'altro.
Invece lo spirito di Ira Tabat era perennemente immobile, e mi osservava da un angolo, restando nell'ombra. Era vendicativo, adirato e inflessibile come il ghetto da cui era venuto e al quale, senza dubbio, faceva ancora visita. Lo immagino vagare inosservato tra gli angusti vicoletti, mentre sale i gradini deformi che portano alla sinagoga sopra alla bottega del macellaio o scivola verso piazza San Marco dopo il coprifuoco.
I fantasmi e gli uomini liberi non osservano orari prestabiliti.

Venezia enigma

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Ogni roditore ha la sua tana.
E io non sono ancora morto.
Come l'uomo che avevo pianificato di uccidere.
La notte che avrebbe dovuto segnare la disfatta di Aretino è stato Sandro, il mio servo, a salvarmi. Il tentato omicidio è fallito e Pietro Aretino è sopravvissuto... Avrei dovuto rifiutare il possibile intervento di Adamo Battista, la mia spia, ma credevo che all'epoca il fiorentino non si trovasse a Venezia. Ho scoperto troppo tardi che il corvo nero non aveva mai lasciato la Serenissima.
Mi aspettavo che nei giorni a seguire Aretino mi smascherasse, che rivelasse a tutta Venezia che non ero il legittimo erede della nobile casata dei Gianetti, ma solo un bastardo che non vantava alcun diritto su tali ricchezze. Ero convinto che aver attentato alla sua vita avrebbe scatenato il desiderio di vendetta del più spietato degli uomini, eppure mi sono ben presto reso conto che il letterato non avrebbe mai smesso di ricattarmi. Quella, d'altronde, era la sua specialità, come tanti sovrani avevano scoperto a loro spese. No, Aretino non avrebbe mai rinunciato al mio denaro, neppure per vendetta, e invece che torturare me ha preferito condannare alle pene dell'inferno Giovanni Spolatti, il mio confidente, per punirlo della sua slealtà.
Povero Spolatti.

La saga dei Borgia

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Ascesa al potere

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E così la mia rotta è stata tracciata. Io poco più che un puntino in mezzo alla miriade di gente che si accalca e respira per le vie di Roma. Un puntino tenuto a osservare gli ingranaggi dorati del potere papale, un puntino rischiarato dai ceri accesi per la messa, sballottato tra i cardinali con le loro papaline in testa, quegli zucchetti tanto simili a calotte craniche, anche se non ho mai visto un teschio color sangue. Un puntino invisibile che corre a nascondersi sotto i porticati, che scavalca inosservato il letame dei cavalli e gli escrementi umani disseminati per strada. Un puntino che suda sotto il sole cocente e nell'afa implacabile di agosto. Lo stesso puntino che adesso, tanti anni dopo il suo arrivo nell'Urbe, osserva l'oscenità che ha luogo davanti ai suoi occhi.
Lasciate che vi spieghi quanto è stata abietta la fine di questo papa.
Quando Roma ha saputo della sua morte, la notizia che tanto il pontefice quanto suo figlio, Cesare Borgia, erano caduti gravemente ammalati dopo aver cenato presso la dimora del cardinale Adriano Castellesi da Corneto ha fatto subito sospettare un avvelenamento. Si è persino vociferato che gli odiati Borgia fossero erroneamente divenuti vittime del loro stesso delitto. Io non lo so e non intendo mettere nero su bianco le mie opinioni personali, indi per cui mi limiterò a descrivere la sordida e abominevole fine di papa Alessandro VI. Comunque, occorre anche notare che la febbre stava già flagellando Roma da settimane e che pertanto potrebbe essere stata la natura, facendo il suo corso, a decretare la sua fine.
Ma riprendiamo il filo del racconto.

Un solo uomo al potere al potere

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Da Napoli giunse la notizia che la peste si abbatteva rovinosa. Di notte venivano accesi falò per disfarsi dei sempre più numerosi cadaveri in decomposizione: cumuli di uomini, donne e bambini accatastati come tronchi in una legnaia. E che, come tronchi, bruciavano. I portoni in cui la gente si trascinava a morire venivano liberati dai preti e dai criminali costretti a adempiere a quel triste compito. I prigionieri, usciti temporaneamente dalle loro celle, si ubriacavano: alcuni giacevano con le donne morte, uno ballava per strada con il cadavere di una ragazza, con la testa che gli cadeva sulla spalla, gli occhi rivoltati all'indietro.
Avevamo sofferto la peste a Roma, ma lì il peggio era passato e ora si stava abbattendo su Napoli, seguendo la scia del cristiano re Carlo. Si diceva che il monarca fosse terrorizzato, e che accusasse i napoletani di diffondere la sifilide tramite il suo esercito. Le puttane, che solo settimane prima avevano aperto le gambe ai soldati invasori, giacevano morte o morenti. Eppure, le poche ancora immuni alla peste continuavano a lavorare. Si infilavano il loro bottino francese tra i seni e ignoravano i morti riversi sulla strada, mentre guidavano i loro clienti lungo le scale che puzzavano di malattia fino alle brande dalle lenzuola intrise di sangue.

Fine di una dinastia

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Roma risuonava del pianto del papa. Era agghiacciante, così intenso da attraversare i corridoi che si diramavano dalla cappella privata del pontefice e riecheggiare tra i colonnati e gli anditi del palazzo. Primordiale, ferale, animalesco, rimbalzava sugli arazzi e sulla mobilia, incapaci di placarlo o assorbirlo.
Accovacciati sotto le scale e le arcate vaticane, i servitori si facevano il segno della croce; il confessore personale del pontefice era stato congedato, e l'accesso alla cappella interdetto. Mi giunse all'orecchio che Cesare fosse andato al convento per riferire la notizia alla sorella; ma aspettarsi il rientro a Roma di Lucrezia, sarebbe stato un errore.
Dopo le grida, il silenzio. Dal mercoledì al sabato sera il pontefice rimase nell'appartamento vaticano con la porta chiusa a chiave, negando l'ingresso a chiunque. Per quei pochi giorni si privò di cibo e bevande, pregando senza sosta, senza emettere un suono, muovendo soltanto le labbra, rivolgendo lamentosi scongiuri a Dio affinché gli restituisse l'amato figlio. Promise di riformare la Chiesa Cattolica, di denunciare la corruzione e di punire l'avarizia. A tal proposito, rivolse i suoi pensieri a Bartolomeo Flores, arcivescovo di Cosenza, il suo segretario privato nonché favorito, assicurando a Dio che costui, e tutti coloro che si erano indebitamente appropriati dei fondi della Chiesa, sarebbero stati puniti.

Il dipinto maledetto

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Una decina di metri sotto la prima colonna portante di Grosvenor Bridge, un groviglio rabbioso di uccelli stava lottando, muovendosi sulla superficie tremante del Tamigi, tra battiti d'ali e beccate, solo per avvicinarsi al pacco che era appena stato abbandonato lì. Nella precedente manciata di minuti, avevano cercato di strapparne l'involucro di plastica, ma quando infine riuscirono a raggiungerne l'interno, volarono vi, delusi. Lenta ma inesorabile, la marea finì il lavoro degli uccelli e tirò via la plastica, mostrando l'angolo di un dipinto.
Strano sotto il cielo cupo di Londra, il viso del ritratto guardò in alto, come se fosse sorpreso di ritrovarsi in mezzo alle colonne del ponte, i vestiti del mercante bagnati dall'acqua mentre il quadro galleggiava verso un piccolo rimorchio. Poi, spinto da un altro soffio del vento freddo di quell'inizio di novembre, roteò sull'acqua e fu trascinato via dalla corrente. Dieci minuti dopo, il ritratto si arenò sulla limacciosa sponda del Tamigi, dove fu notato da un turista che camminava lungo l'argine.
Era la prima volta che il ritratto di Angelico Vespucci veniva visto in pubblico, dopo oltre quattro secoli. Mentre veniva tirato fuori dal fiume, la superficie dipinta scintillò alla luce del giorno, il sinistro sguardo del modello fisso e stranamente sprezzante. Nessuno conoscenva la storia del dipinto o dell'uomo che vi era ritratto sopra.
Nessuno sapeva che quella scoperta avrebbe condotto a un brutale omicidio e all'identificazione di un assassino che era stato attivo centinaia di anni prima.

Il segreto di Rembrandt

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Casa di correzione di Gouda, 1651

Questa è la mia storia.
La scrivo perché un giorno qualcuno, leggendola, possa conoscere la verità. La scrivo perché esca da queste mura da cui io non uscirò mai più. Mi hanno rinchiusa qui dentro sbattendo la porta dietro di me. Quando sono stata presa dal panico, mi hanno gettato l'acqua addosso. Si è asciugata lentamente, raggelandomi. La cuffia bianca che mi copriva i capelli era rigida di appretto e dello sputo di una delle guardie. dopo che avevano cercato di toccarmi sotto la gonna, dopo che mi avevano perquisito, frugato la bocca e le orecchie e le parti intime, dopo che avevano forzato i miei orifizi con le dita, trattandomi come una bestia.
Quando chiudono la porta, ti strappano via la vita. O quando dicono che Geertje Dircx, la governante di Rembrandt van Rijn, è stata rinchiusa in un manicomio. Era molesta, insultava il suo padrone, lo accusava di aver rotto la promessa di matrimonio, aveva venduto l'anello che lui le aveva regalato, l'anello che un tempo era appartenuto alla sua defunta moglie. Era dissoluta, pazza di rabbia e rancore, raccontava bugie, diffondeva calunnie sul fatto che il padrone le aveva promesso di sposarla.
Ora, invece, tace.

Goya Enigma

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Sul bordo del canale, a malapena visibile, un fagotto galleggiava a pelo d'acqua, avvolto in un lenzuolo sporco chiuso da un nodo. Era piccolo, innocuo, ma anche sinistro. Lentamente, scivolò via e cominciò la sua raccapricciante processione verso il centro del canale sospinto da una corrente quasi impercettibile. Affascinati, osservarono i suoi movimenti, finché il fagotto non passò sotto la pozza di luce di una delle lampade all'esterno del ristorante. Il chiarore illuminò il lenzuolo macchiato di sangue - e il punto in cui l'involto si era parzialmente slegato.
Dall'apertura, una mano incorporea, con le dita tese, cercava di ghermire la luce.

Tempesta maledetta

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Non dovrei essere qui.
Il suono metallico della campana e il mio passo pesante hanno spaventato un cane rannicchiato, l'animale si scosta di colpo dal cadavere di cui si sta cibando. La cavità addominale è già stata squarciata, le viscere escono dalla pelle lacerata, il fetore delle feci miste al sangue mi fa venire i conati di vomito. E adesso mi sto allontanando dal cane che ringhia, diretto verso i gradini di pietra che mi riportano giù verso la banchina. I cani - persino quelli rabbiosi - rifuggono l'acqua, dicono.
Non è una bugia. L'animale non mi ha seguito.
Con uno straccio davanti a naso e bocca, adesso mi sto guardando intorno, sto cercando di decidere dove nascondermi dagli uomini che mi inseguono. Qualcosa attira la mia attenzione. Nell'acqua ci sono delle strane cupole grigio-blu e per un momento non capisco, poi mi rendo contro che sono le pance gonfie dei morti che affiorano dalla laguna; che fluttuano sotto il bagliore della luna. Delle boe di carne.
So ogni cosa della peste, ovvio che sì, tutti i veneziani ne sono a conoscenza, ma stavolta i morti si moltiplicano più in fretta di quanti se ne possano contare: ogni famiglia perde un padre, una madre, un figlio... Riesco a sentire il fetore nell'aria, a sentirlo sulla pelle come pus... Non sapevo che fosse così terribile, il coprifuoco mi ha tenuto chiuso all'interno del mio studio, confinato per tre settimane. Le porte sigillate con il catenaccio, le finestre sprangate. Al sicuro. No, non al sicuro.

Bibliografia

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  • Alex Connor, Il segreto di Rembrandt, traduzione di Teresa Albanese, Mondadori, 2011. ISBN 978-88-04612247
  • Alex Connor, Cospirazione Caravaggio, traduzione di Marta Lanfranco, Newton Compton Editori, 2016. ISBN 978-88-227-0022-3
  • Alex Connor, Caravaggio Enigma, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2017. ISBN 978-88-227-1339-1
  • Alex Connor, Maledizione Caravaggio, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2018. ISBN 978-88-227-2256-0
  • Alex Connor, Eredità Caravaggio, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2019. ISBN 978-88-227-2618-6
  • Alex Connor, Il dipinto maledetto, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2017. ISBN 978-88-227-0109-1
  • Alex Connor, Goya Enigma, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2019. ISBN 978-22-227-2774-9
  • Alex Connor, Tempesta maledetta, traduzione di Anna Vivaldi, Newton Compton Editori, 2020. ISBN 978-88-227-4596-5
  • Alex Connor, I lupi di Venezia, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2019. ISBN 978-88-227-3587-4
  • Alex Connor, I cospiratori di Venezia, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2020. ISBN 978-88-227-4296-4
  • Alex Connor, Venezia enigma, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2021. ISBN 978-88-227-4930-7
  • Alex Connor, La saga dei Borgia. Ascesa al potere, traduzione di Tessa Bernardi, Newton Compton Editori, 2021. ISBN 978-88-227-5714-2
  • Alex Connor, La saga dei Borgia. Un solo uomo al potere, traduzione di Alice Benassi, Newton Compton Editori, 2022. ISBN 978-88-227-5716-6
  • Alex Connor, Fine di una dinastia, traduzione di Alice Benassi, Newton Compton Editori, 2022. ISBN 978-88-227-5718-0

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