Pietro Della Valle

scrittore italiano

Pietro Della Valle (1586 – 1652), scrittore, musicista, musicografo, musicologo e orientalista italiano.

Pietro Della Valle

Viaggi di Pietro Della Valle modifica

  • Una di queste è il meidan o piazza maggiore, innanzi al palazzo reale, lunga circa a seicento novanta passi dei miei, e larga intorno a ducento trenta; e tutta attorno attorno di un medesimo ordine di architettura, eguale, giusto e non mai interrotto né da strade, né da altro, fatto a portici grandi e piani sotto di botteghe con diverse mercanzie disposte per ordine a luogo a luogo; e sopra, con balconi e finestre, con mille ornamentini molto vaghi. La quale unione di architettura così grande comparisce tanto bene all'occhio, che, quantunque le case di piazza Navona siano fabbriche più alte e più ricche all'usanza nostra, nondimeno, per la discordanza loro e per altri particolari che dirò del meidan d'Ispahan, io ardisco di anteporlo alla stessa piazza Navona. (volume primo, parte seconda cioè La Persia – prima parte, da Ispahan, 17 marzo 1617, p. 454)
  • Di queste colonne, oggi, la maggior parte è caduta, e solo ne restano in piedi da venticinque: al qual numero essendosi diminuite, da quando fu dato alla fabbrica il nome di Cehilminar, che senza dubbio dovevano essere intorno a quaranta, si vede, che per le ingiurie del tempo, ogni giorno andranno mancando e cadendone delle altre. Delle colonne cadute, si vede il segno e le basi che ancor restano quasi tutte ai loro luoghi. (volume secondo, parte seconda cioè La Persia – seconda parte, lettera XV, da Sciraz, 21 ottobre 1621, p. 256)
  • Seguitando a ricevere in Siracusa i favori di monsignor vescovo il cinque dicembre con molta compagnia di cavalieri e delle stesse dame che vennero pure a favorir le mie donne andammo tutti fuori della città a vedere molte reliquie delle antiche Siracuse. [a proposito dell'Orecchio di Dionisio a Siracusa] Vedemmo l'eco artificiale che dicono essere stato fatto fabbricar da Dionisio in una prigione, dove teneva molti schiavi, perché si sentisse ciò ch'essi colà dentro parlavano; e parmi, se non fallo, che di tal fabbrica fosse artefice Archimede. È in vero una delle più belle cose ch'io abbia visto al mondo, ed anche degli artifizii che l'arte abbia saputo inventare, imitando così bene la natura che fa un eco bellissimo che replica le parole ed i detti interi, imita i suoni e i canti perfettissimamente, come alla presenza nostra con diversi instromenti si provò; e se si batte con una verga qualche panno grosso steso, rende tanto rimbombo ch'imita i colpi delle più grosse artiglierie; e che tutto questo faccia cosi bene una grotta formata non dalla natura, ma dall'artificio umano, è certo cosa strana e mostra il grandissimo ingegno di colui che l'inventò e lo seppe fare. Non è da tacere che la fabbrica del concavo di questa grotta è fatta e cavata appunto nella forma del concavo d'una orecchia umana, donde l'artefice debbe pigliar l'invenzione che, come la voce percotendo nell'orecchie fabbricate in quel modo rende suono e si sente, cosi si vede per isperienza che percotendo colà in quel grande ed artifizioso orecchio, intagliato a mano nella dura pietra, fa il medesimo effetto di rendere il suono, benché gli altri echi naturali non sappiamo che siano in caverne in tal modo fabbricate. Vedemmo presso al luogo dell'eco i gran vani sotterranei cavati per stanza e prigione dei sopraddetti schiavi, e sopra quelli, nell'alto il luogo del palazzo di Dionisio in bellissimo sito che scuopriva da lunge la terra e 'l mare. (volume secondo, parte terza cioè L'India e il ritorno in patria, lettera XV, da Messina, 24 gennaio 1626, pp. 908-909)
  • [Resoconto della festa di Santa Lucia a Siracusa] Il dodici dicembre. Si cantò nella chiesa di Santa Lucia il vespro solenne per la sua festa, e v'andò monsignor vescovo accompagnato dal senato e da tutta la nobiltà. La sera di notte si fecero luminarie, ed usci per la città una cavalcata di molti cavalieri con torce, vestiti ne' oro abiti ordinarii, e vi cavalcava anche infine il senato, che passeggiarono buona pezza per tutte le strade migliori della città. Il tredici dicembre, che era la festa di santa Lucia patrona di Siracusa, la mattina si fece una processione solenne, portandosi per le strade principali l'imagine della santa d'argento, grande quanto il naturale e più, sopra un piedestallo pur d'argento, con accompagnamento di tutto il clero e di tutta la nobiltà. Partì la processione dalla chiesa cattedrale; ed in uscendo la santa imagine dalla porta della chiesa, un cert'uomo, a ciò preparato, dalla cima del campanile si lasciò andar a volo, come dicono, sopra una corda, venendo a cadere in mezzo della piazza, ch'era tutta piena di popolo adunato allo spettacolo. Finì la processione nella chiesa di Santa Lucia fuor della città, dove si cantò la messa solennemente; dopo la quale, lì vicino in un altra chiesuola o cappelletta, chiamata di Sant'Agata, io vidi sotto terra la sepoltura di Santa Lucia, dove da principio fu posta; che ora il corpo suo non v'è, traslato già tempo, altrove. Il quattordici dicembre. Si corsero molti palii; cioè, di gente a piedi, di somari, muli, cavalli, cavalle, barbari, o, come in Siracusa dicevano, ginetti, con le solite circostanze di concorso di popolo, dame alle finestre e passeggio di cavalieri a cavallo ed in carrozza per quelle strade. Il quindici dicembre. Uscì per la città di giorno una mascherata di dodici cavalieri a cavallo, vestiti a coppia a coppia, in diverse fogge. Corsero nella piazza innanzi al vescovato al Saracino ed all'anello, facendo anche in fine caracolli; passeggiarono poi fin a notte, e parte della sera; ed al fine ridottisi così vestiti da maschere in palazzo, furono banchettati con lauta cena da monsignor vescovo insieme col senato ed altri cavalieri smascherati, che in tutto a tavola fummo venticinque. (volume secondo, parte terza cioè L'India e il ritorno in patria, lettera XV, da Messina, 24 gennaio 1626, p. 910)
  • La mattina andai a veder bene la fontana Aretusa, che un'altra volta molti anni prima, quand'io fui la prima volta in Sicilia, aveva veduta, ma non bene, La vidi dunque dentro alle mura della città, dove appunto in quel bosco sboccando dalla caverna del monte esce al piano della marina, e forma, prima d’uscir dalla muraglia, una come piscina, dove le donne siracusane sogliono venir a lavare i loro panni. (volume secondo, parte terza cioè L'India e il ritorno in patria, lettera XV, da Messina, 24 gennaio 1626, pp. 910-911)
  • [Resoconto della festa di Santa Lucia a Siracusa] Il ventuno dicembre. Con un'altra processione simile alla prima, ma fatta la sera al tardi, si riportò la sacra imagine di santa Lucia dalla sua chiesa, dove fin allora era stata alla chiesa cattedrale, dove d'ordinario si conserva in una cappella ben guardata e serrata con molte chiavi. Giunta che fu l'imagine, e finita la processione, il vescovo parato mostrò sopra l'altare al magistrato prima, e poi alle genti, e diede a baciare le reliquie della santa, che sono una sua camicia di color quasi azzurro scuro, ed una scarpa, come fatta all'apostolica; e dispensò a tutti della bambagia che quelle sante reliquie aveva toccato. Accompagnato poi sopra dal senato, che tutti erano suoi amici, e gli volevano bene, diede loro all'improvviso da cena, benché non fosse a ciò per prima preparato. (volume secondo, parte terza cioè L'India e il ritorno in patria, lettera XV, da Messina, 24 gennaio 1626, pp. 911-912)
  • Vi sono in Augusta tre fortezze; cioè una dentro alla città in alto; una nella bocca del porto, che è molto grande dentro, ed un'altra però dentro al porto, divisa in due sopra due scoglietti vicino l'uno all'altro. (volume secondo, parte terza cioè L'India e il ritorno in patria, lettera XV, da Messina, 24 gennaio 1626, pp. 920-921)

Bibliografia modifica

  • Pietro Della Valle, Viaggi di Pietro Della Valle Il Pellegrino. Descritti da lui medesimo in lettere familiari all'erudito suo amico Mario Schipano, G. Gancia, 1843, volume primo.
  • Pietro Della Valle, Viaggi di Pietro Della Valle Il Pellegrino. Descritti da lui medesimo in lettere familiari all'erudito suo amico Mario Schipano, G. Gancia, 1843, volume secondo.

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