Nives Meroi

alpinista e scrittrice italiana (1961-)

Nives Meroi (1961 – vivente), alpinista italiana.

Nives Meroi nel 2010

Citazioni di Nives Meroi modifica

  • Io sono le montagne che non ho scalato.[1]
  • L'alpinismo di oggi perde proprio le caratteristiche del gioco come lo intendiamo noi, ovvero esplorazione di sé stessi in contesti diversi. Il fatto che l'alpinismo himalayano femminile sia diventato una corsa con come unico obiettivo il risultato mi ha fatto decidere di non giocare più.[2][3]
  • Scalare le montagne è una attività inutile. Però è inutile come cantare, dipingere. È un'attività libera, aperta alla fantasia. È un gioco. Un gioco inteso però nel senso più elevato, come lo intendono i bambini. Perché è una esplorazione del mondo e, attraverso questa, un'esplorazione di sé stessi.[4]

In Erri De Luca, Sulla traccia di Nives modifica

  • In alta quota l'aria pesa di meno però portiamo in spalla tutta la nostra casa. Facciamo le chiocciole delle cime. (p. 12)
  • Chi bazzica queste quote sa che razza di prepotente è il vento. Aggredisce le tende, strappa, scippa, strepita peggio di un drogato in astinenza. [...] Il vento è una persona. Gli parlo, racconto, penso che vuole pure un po' ascoltare. Comincio a bisbigliare qualcosa, una preghiera, un filo di canzone, e pare che stia a sentire, che si fermi un poco. Oppure grida più forte in risposta, per raccontare lui. La sua furia è la voglia di essere ascoltato.
    Il vento in alta quota è il padrone del tempo. [...] Il vento è una gran persona qua sopra, un prepotente, ma accetta le risposte. In fondo gli facciamo compagnia. (p. 14)
  • [...] io non so quando smetterò di salire, con che risultati, quante cime raggiunte e ridiscese, ma alla fine dirò che ho fatto compagnia al vento. Noi lassù l'abbracciamo come nessun altro può fare. (2016, pp. 12-13)
  • [...] una cima raggiunta non basta. Bisogna discenderla con la stanchezza al culmine, lo svuotamento che ti dà l'arrivo sulla cima. Scendere è disfare la salita, scucire tutti i punti dove hai messo i passi. La discesa è una cancellazione [...].
    Molti alpinisti rimangono nella trappola della scucitura, molti incidenti arrivano in discesa. Il desiderio fisico violento di saltare un passo, allungarlo un po', affrettarlo per il bisogno famelico di ossigeno, la supplica del corpo di tornare... [...]. (2016, p. 15)
  • Conta per me la continua salvezza di avere accanto Romano [Benet], uomo di neve, uno che la sfoglia come un libro, la legge a prima vista, sa dove va cercata e dove aggirata. Dicono di Romano che è una bestia, per la forza che scatena quanto più sale. Ma Romano per me lassù è puro spirito, un fiato che mi apre la via verso l'alto. Romano è la traccia che pure quando si allontana al suo ritmo furioso di salita, mi riduce l'attrito, come fa il migratore che sta sulla V dello stormo. (2016, p. 15)
  • Cime raggiunte e ridiscese: sono il punto più lontano da casa. Da lassù guardo il giro di orizzonte e mi fermo un poco di più verso il punto cardinale da cui provengo. Resisto al desiderio di sbracciarmi e agitare un fazzoletto come fanno i naufraghi verso navi che passano lontano. In cima mi piglia nostalgia di casa. A casa penso al giorno della cima, ma posso ricordare bene lo sforzo di uscire dalla tenda, l'affanno di respirare a ottomila metri, non il piccolo spazio della cima. Le cime se ne fuggono dal ricordo, non si lasciano più visitare. (p. 18)
  • Una cima himalayana senza vento è muta, una chiesa vuota. Senza vento è come se il creatore del mondo si fosse ritirato per lasciarci uno spazio. (p. 18)
  • Quando vedi dove finisce il viaggio, quei passi li ami, li aggiungi con il tocco di grazia con cui metti dei fiori a tavola in un giorno di festa.
    I passi che portano in cima sono stremati e però leggeri, sei al punto di massima usura del corpo, del massimo di perdita di peso, muscoli e cellule cerebrali, sei al ronzio di alveare nel tuo corpo, un rumore di fibre che si afferrano tra loro, compattano i tessuti: la cima finalmente. È il più certo dei limiti sul quale metti i piedi. Non so cos'è per un prigioniero il giorno di fine pena, cos'è per un malato l'arrivo dell'alba, cos'è per uno scrittore l'ultima parola del suo libro, ma deve somigliare alla cima, la promessa mantenuta al ragazzino che strepita in ognuno di noi. (2016, p. 17)
  • Raccontare è un lusso, privilegio di chi è potuto scendere, rifacendo fino in fondo il viaggio, arrivare al punto di partenza, sedere a un ristorante a Katmandu o a Skardu, masticare una bistecca, bere una birra, dimenticare, poi raccontare. [...] Raccontare è un lusso e io non sono neanche tanto brava a dire quello che è stato. Forzare l'immaginazione di una persona che ti ascolta, forzarla fino a metterla anche per un minuto nei tuoi panni là sopra [...] riuscire con un colpo di tensione, di fortuna a far condividere un pezzo di questo con uno che ti ascolta: è un gran lusso. [...] E poi per me pesa pure il pensiero di essere un resto di parole di altri, che altri non possono più dire. È una responsabilità che m'imbarazza, perché dico le storie anche per loro, gli assenti. In montagna si muore, da volontari, certo, da nessuno mandati, ognuno è mandante di se stesso e si muore, anche i più bravi, i veloci, i più forti. E così penso che le mie sono pure storie loro, che io le porto e le contengo, e quando muovo le labbra si stanno muovendo anche le loro, e mi piglia un effetto di coro mentre racconto, mi piglia la vertigine a raccontare, soffro di vuoto sotto le parole, non ce la faccio a dire. (pp. 21-22)
  • È bello non lasciare traccia. Se penso che i passi dei primi astronauti sulla luna hanno lasciato orme che stanno ancora lì per mancanza di vento e di pioggia, benedico i miei che si ricoprono. La traccia indelebile dello scarpone di Armstrong è un chiodo fisso per me, vorrei andare lassù con una scopa a cancellarla. (p. 25)
  • Aspettare, fino a dimenticarti di stare in attesa. Si passano giorni chiusi e fermi mentre il cielo si abbassa e viene a prendersi la montagna. [...] Non mi oppongo allo scorrere dell'inerzia. Alcuni di noi la patiscono, invece a me piace far andare il tempo, le ore pigre di una carovana ferma. Si aspetta che torni il pulito, il cielo se ne salga il più in alto possibile e ci lasci il permesso. Questo tempo che irrita gli uomini a me fa piacere [...] Non si tratta di pazienza, per me, quella è maschile. È noiosa la pazienza, te la devi ricordare, te la devi imporre. Io mi sento accogliente verso il tempo, qualunque sia, in montagna, e mi sento accolta nella sua corrente anche quando sembra sia ferma. (pp. 27-28)
  • Ho ancora una voglia da ragazzina alle prime escursioni. Non smetterò finché avrò salute per andare. Ho la mia squadra, Romano [Benet] e Luca [Vuerich]], con loro posso continuare senza fine. Ci sono quattordici montagne sopra gli ottomila metri? Non mi bastano. Nessuna donna finora è riuscita a completare il circuito? Non sono una collezionista e comunque pure se toccasse a me di chiudere per prima la serie non mi fermerei lì, cercherei altre montagne, altri versanti. (p. 28)
  • Non sono in competizione con le altre alpiniste. Se ci fosse le mie regole non sarebbero accettate. Noi andiamo su senza ossigeno e senza portatori di alta quota. [...] È il nostro modo di stare lassù, senza togliere un grammo di peso dalle nostre spalle. Cerchiamo di passare il più pulito possibile sopra la montagna, compreso lo scrupolo di non lasciare niente in parete, e riportare a valle fino all'ultima scatoletta. [...] Si tratta di regole nostre, non le estendiamo ad altri e non facciamo gare. Altre alpiniste hanno altri sistemi per la loro collezione di cime. Se un giorno salirò tutti gli ottomila, voglio mettermi al collo una collana di quattordici perle non coltivate, pescate una per volta con le mie sole forze e il mio solo ossigeno, aprendo l'ostrica senza arnesi da scasso. [...] Difendo la mia scelta di salita, di guadagnarmi le cime a modo mio. (pp. 29-30)
  • Sei sempre uno sputo nell'oceano e devi affidarti alla sua immensità. [...] Più mi affido più sono leggera, e penso: eccomi, sono qui, esposta a cielo, vento, spalmata sulla superficie immensa, le appartengo, sono una sua briciola fornita di intenzione. Così mi sento accolta. È strano ma è così per me in montagna, più sono indifesa più acquisto fiducia. [...] Sei all'aperto che più aperto non si può e allora devi essere aperta, lieta, commossa della fortuna di trovarti lì [...] Se ho uno stato di grazia in alta quota è perché sono un "grazie" che cammina. (p. 35)
  • L'amicizia in montagna si rafforza, si fa intensa, ma s'inasprisce pure l'inimicizia, la rivalità. [...] Quassù dove tutto è più difficile i nostri gesti portano più peso, la generosità è stupefacente, l'egoismo è più meschino. Possiamo coprirci quanto ci pare, la montagna ci scopre. Siamo più nudi che a valle. (p. 47)
  • Il dovere di aiutarsi ha la precedenza. Nessun traguardo vale, se hai lasciato dietro di te un alpinista in difficoltà. [...] Non esiste una legge in alta montagna, siamo tutti fuorilegge e ci inventiamo delle regole. [...] Puoi avere stabilito che nessuno aiuta nessuno e ognuno fa per sé, ma poi c'è una vita appesa là sopra e allora si va a salvarla, almeno a provarci. L'alpinismo d'alta quota è già duro di suo, senza che ci mettiamo pure noi a farlo più duro. (pp. 47-48)
  • [Sul rapporto con il marito Romano Benet] Noi due ce ne andiamo a scalare le montagne più alte della terra non solo per passione alpinistica, ma per amore, perché ci si ama, si è in due, si va a portare lassù la nostra prova di coppia. Non rischiamo solo un pezzo di vita, ma pure la felicità. [...] Siamo un laboratorio dell'amore ad alta quota. Ce lo giochiamo a testa e croce e alla fine riusciamo a girarlo dalla parte giusta. Ma lo lanciamo in aria molte volte, molte volte lo buttiamo via e poi lo riacciuffiamo. [...] Non è un gioco, il nostro amore quassù, ce lo portiamo dietro e dà coraggio oppure fa paura quando il passo si stacca, Romano va al suo ritmo impossibile e si punta alla cima separati, con due solitudini. Poi lassù si ricongiunge, si riannoda con una forza spaventosa. (p. 51)
  • [Sul marito Romano Benet] Se la sa cavare sempre, sa cavarsela per due, per me e per lui. È calmo in piena bufera come quando sta a casa e accende il fuoco. Ha una bussola in testa, sa dove andare quando non si vede a un passo e gli altri hanno la sola scelta di mettersi a sedere e aspettare una schiarita. Lui, un piede dietro l'altro, fiuta la direzione e arriva. L'ha imparato nei boschi, non si perde mai. Legge la neve, la capisce. Amo quest'uomo di arie aperte, compatto come un pugno, capace di stare davanti a un orso, reggere il suo sguardo, intendersi al volo senza mosse così che ognuno possa andare per la sua strada. Il suo mestiere è fare la guardia forestale, batte i boschi d'inverno e protegge le bestie dalla peggiore di tutte, la più ladra del regno animale. Quando parla di loro, delle bestie dei boschi, si riscalda, sorride, gli spunta un attaccamento da tifoso, uno che segue la sua squadra ovunque giochi. La sua squadra è nei boschi. (p. 53)
  • [Sul rapporto con il marito Romano Benet] L'amore portato qua sopra, l'amore esposto a queste forze furiose di natura, l'amore da trascurare per poi ritrovarlo al suo posto [...] è la cosa che ho in più rispetto alle scalatrici che in questi anni hanno tentato e tentano come me di toccare le maggiori altezze del pianeta. L'amore nostro è la forza che mi ricarica per semplice contatto, che spinge ancora quando non ho più fiato, perché so che c'è lui con me là sopra, e così continuo. L'amore nostro è il mio combustibile, un'energia pulita. Se mi riuscirà di completare il giro dei quattordici ottomila, sarà per questo amore. Altre prima di me sono cadute sulle stesse montagne, desiderate con più forza della vita stessa. Io non sono migliore, più brava di loro, però ho Romano con me, ho l'amore, non l'ho lasciato a casa ad aspettarmi, a logorarsi d'ansia. Quassù ho con me la famiglia, sono una lumaca che va con il suo guscio. Questa nostra formazione annodata mi fa credere di poter riuscire. Lui ce la farebbe anche da solo, ma in due, con me, per lui è più bello, più goduto. Pure per me è così, però con la certezza che senza di lui mi mancherebbe la volontà, più che la forza. [...] Però così come siamo forti, siamo fragili il doppio. Senza uno di noi, l'altro non può. Noi siamo quest'impresa in comune di scalare, non possiamo accettare altro formato. Non è un patto, non l'abbiamo scritto e nemmeno detto. È così. Esistono cose semplici e dure che non serve dirsi. (pp. 55-56)
  • Noi passiamo per conquistatori di montagne, ma siamo in verità pieni di fallimenti, di stagioni affondate. [...] Tutti gli alpinisti in Himalaia sono stati più spesso respinti che favoriti. L'alpinismo è un'arte della fuga. La devi decidere e realizzare come una vittoria, proprio quando più brucia la rinuncia. È un esercizio di umiltà. (p. 58)
  • N[ives]: È buffa l'umanità, si fissa su minuziose gerarchie, fonda il rispetto sopra i gradi di difficoltà superati. L'alpinismo è maschile, ha questa mania da caserma di suddividere i praticanti tra generali e truppa con tutte le posizioni intermedie. (p. 91)
  • N[ives]: L'alpinismo di alta quota è ancora maschile. Quando qualcuna di noi [donne] riuscirà a ripetere il circuito degli ottomila avremo tolto al genere maschile l'ultimo club privato. Da quel momento l'alpinismo sarà diverso come lo è stato il giorno in cui il primo sherpa scalò l'Everest con Hillary. Non dico che sto scalando gli ottomila in nome delle donne. Scalo per me, per la mia fame di montagne. Sono solo un'alpinista, però con l'apostrofo [...] Quell'apostrofo è la mia bandierina di donna che faccio sventolare lassù. Quando arrivo in cima [...] io so di provare qualcosa che nessun maschio può. [...] Lassù io sono la montagna, sono Nives la pietra, Nives la neve, sono madre natura che visita l'ultimo gradino sotto il cielo. [...] Lassù so che il mondo è di genere femminile, è forza, luce, aria. Perciò sono l'apostrofo davanti al nome di alpinista. Per i maschi una cima è un desiderio esaudito, per me è il punto di congiunzione con tutto il femminile di natura. (pp. 91-92)
  • Ho la fortuna di fare quello che mi riempie e pure mi svuota. Sono un recipiente, che si deve versare fino all'ultima riserva di energia per potersi riempire di nuovo. E ogni volta la pienezza è più grande, per aumento della capacità di contenere. (p. 97)
  • Qua devi pensare solo alla montagna e a te, non devi portare pesi oltre quello dello zaino e il tuo. Questo è un posto che pretende tutto [...] Se questa salita, ora e adesso, non è la sola cosa che t'importa, non ce la puoi fare. Questo è un posto insaziabile, vuole tutto e spesso neanche basta. (p. 106)

Citazioni su Nives Meroi modifica

  • Tre alpiniste hanno già scalato undici di quelle immensità e si avvicinano al traguardo. La più forte di loro e di tutti i tempi si chiama Nives Meroi ed è italiana. Come posso stabilire la sua superiorità, visto che sta alla pari dei risultati delle altre due, una basca e un'austriaca? Perché Nives Meroi ha salito le sue cime asfissianti senza uso di bombole di ossigeno e senza impiego di portatori di alta quota, i climbing sherpa. [...] Le altre due alpiniste intendono diversamente l'impresa, una ha impiegato ossigeno, l'altra adopera portatori di alta quota che si sobbarcano di tutto il peso sulle spalle, scavano la piazzola, montano la tenda e fanno trovare il tè caldo già pronto. (Erri De Luca)

Note modifica

  1. Dal titolo di un proprio ciclo di conferenze, Io sono le montagne che non ho scalato, 2007/2009
  2. Ansa, Alpinismo: Nives Meroi, mi tiro fuori da corsa a 14 ottomila
  3. ExplorersWeb, Romano comes first, whatever happens
  4. Dall'intervista in Dixit - Sul tetto del mondo, di Marta Saviane e Marco Melega, prodotto da RAI Storia e La Storia siamo noi, 2012

Bibliografia modifica

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