Klaus Mann

scrittore tedesco

Klaus Mann (1906 – 1949), scrittore tedesco.

Klaus Mann, 1944
Per approfondire, vedi: Erika e Klaus Mann.

La peste bruna modifica

  • Letto: Gioventù nella Russia Sovietica[1], interessantissimo. Entusiasmo per il lavoro, il materialismo genera forze che sono certamente sovramateriali e religiose. Il paradosso: martirio − per uno scopo puramente materiale. (da Nota di diario del 24 marzo 1932, p. 37)
  • [...] il tradimento di Gottfried Benn (non ci posso credere). L'antipatia intellettualmente giustificata e anche comprensibile che prova per un marxismo un po' rozzo (Döblin, Brecht forse l'ha portato necessariamente al fascismo. Seduzione dell'elemento mistico. Prima l'«eterna lotta» – poi Hitler. (da Nota di diario del 2 maggio 1933, Olanda, p. 118)
  • Le perle di vetro di Hermann Hesse. Strano. Stilisticamente una certa somiglianza con Kafka. La rassegnazione inquietante della sua visione del futuro. L'atmosfera di convento. Parentela con il romanzo utopico di cui di recente parlai con F.: fuga dello spirito negli «ordini». Deve essere nell'aria. (da Nota di diario del 21 dicembre 1934, Küsnacht-Zurigo, p. 240)
  • [...] letto: Volontà di potenza. (Rassicurante grande impressione. Il segreto di questo stile: la tensione febbrile, nervosissima in questa – furia. L'arditezza furente della critica morale.«La filosofia ha poco a che fare con la virtù.» Più grandioso di tutti: l'aforisma 419, nostalgia per i greci, odio per Lutero, tutta la filosofia tedesca come nostalgia, un protendersi verso i greci – «Il tipo d'uomo finora tanto rispettato.» Lutero – il «grande non-spirito». Conferma della linea da noi sostenuta: Lutero e Hitler. George sta dall'altra parte .) (da Nota di diario del 14 agosto 1933, Zandvoort, p. 150)
  • Problemi che sembrano realmente insolubili – cioè, nei limiti di soluzione della problematica terrestre: il problema degli ebrei. La loro totale assimilazione improbabile come la loro totale aggregazione come nazione propria. Finché dura la loro dispersione: saranno sempre il capro espiatorio del mondo. (Il socialismo può cambiare tutto ciò ?) (da Nota di diario dell'11 giugno 1934, p. 201)
  • Il materialismo dialettico «cristallino» eliminerà totalmente il «mito». Ma eliminerà anche la MORTE? Fino allora rimane il mistero − e Dio. (da Nota di Diario del 24 Luglio 1934, Olanda, p. 206)
  • Letto un po' da un numero molto voluminoso della «Fackel». Come sempre affascinato nel modo più irritante e turbato da piccoli scherzi maligni; tuttavia anche forte rigetto. Contro Hitler non gli viene in mente nulla; veramente una dura ingiustizia verso la sinistra. Modo di vedere parziale e prevenuto – forse anche opportunistico – del conflitto tra i socialdemocratici e Dollfuss. Riscopro ogni giorno con un po' di apprensione cos'è l'Austria. (da Nota di diario del 14 agosto 1934, Varsavia, Polonia Palace, p. 212)
  • [Al Primo Congresso degli scrittori sovietici] Gran discorso di Ilja Ehrenburg, applaudito a lungo. Contro il provincialismo. Di un coraggio quasi eretico. Vuole una «nuova forma» del romanzo (che lui stesso però non trova); non il reportage; non il culto della tecnica. («I nostri trattori vengono dall'America, ma i giovani che conducono i trattori, sono di qui.») Caratterizzazione orribile della situazione letteraria in Occidente. Il predicatore delle difficoltà. Il più malinconico. Il più comprensibile. Discorso di J.R. Bloch (tradotto). Parata dei «pionieri» (bambini), che sfilano sul podio – squilli di tromba, fiori, applausi –, declamano ringraziamenti e aspirazioni (Gor'kij piange). Deputazione dell'Armata rossa. Truppa, soldati, marciano minacciosi; alcuni avvolti di pelle, con maschera (auto o tank). Entusiasmo del pubblico; i tedeschi estasiati. Ne sono rimasto amaramente colpito [...]. (da Nota di diario del 21 agosto 1934, p. 215)
  • [...] RUSSIA. Cambiamento, soprattutto costruzione di ciò che è terreno e di massima urgenza. In questo il cento per cento delle mie simpatie. Tuttavia, concentrandosi esclusivamente sul fine terreno, si trascura l'elemento metafisico. La poesia come semplice funzione sociale – mentre essa è anche la funzione misteriosa in assoluto non più legata a uno scopo. Essa non può essere dedicata solo a interrogativi come: collettivizzazione dell'agricoltura ecc. per quanto importanti. I suoi temi inesauribili rimangono pur sempre: l'amore, la solitudine dell'individuo, la morte come enigma, speranza, ultima felicità. (Gli operai si misero a ridere quando Malraux chiese quale fosse il loro rapporto con la morte.) Il lutto, sentimento primario di chi vive, qui[2] disfattismo. Si può obiettare – e si obietta – questo durerà il tempo della lotta antifascista ecc. Alcuni però in ogni lotta rimangono attenti a quelle cose che certo sono più che interessi capitalistici mascherati. Per questa generazione ottimista un giorno verrà scritto un Werther. (da Nota di diario del 29 agosto 1934, Helsingfors, Hôtel Kämp, p. 220)
  • Letto Nouvelles Nourritures. Che bello, che profondità cangiante, di che ricchezza. «Il m'a depuis longtemps paru que la joie était plus rare, plus difficile et plus belle que la tristesse.» Su queste parole si può riflettere a lungo. (da Nota di diario del 16 dicembre 1935, Küsnacht, Zurigo, pp. 300-301)

La svolta modifica

  • Quando si è assaggiato il fascino e il conforto della grande letteratura, se ne vuole sempre di più.[3] (da Educazione (1920-1923), p. 70)
  • L'antitesi tra l'eroe e il santo si innalzò davanti a me attraverso lui e il suo dramma. Egli era l'eroe santo, ribelle e martire a un tempo. Prometeo e Cristo, Dioniso e il Crocifisso. Egli era l'uomo compiuto. La gioventù vuole pregare e adorare. L'immagine di Nietzsche fu sempre sopra il mio letto, un ritratto del tempo della demenza, colla tragica fronte oscurata, lo sguardo del martire, già lontano, affisato al nulla, all'infinito. Quel capo che cade in avanti che cos'ha in comune colla belva bionda, col Superuomo? È il figlio dell'uomo, tormentato, ferito. Ecce Homo. (da Educazione (1920–1923), p. 93)
  • Tilly Wedekind nascondeva sotto ascetica discretezza il vivacissimo ben noto temperamento di fuoco: angelo sonnolento con velato sguardo d'un grigio azzurro e gambe sensazionali. Era stata scoperta diciottenne dal celebre drammaturgo, mentre nel Vaso di Pandora sosteneva una particina, adatta però a mettere in valore la eccezionale figura della giovane attrice. Più tardi in quel dramma aveva sostenuto la parte principale in compagnia di quel suo consorte dalla macabra ispirazione. Novello Pigmalione egli le aveva insegnato a camminare, parlare, sorridere, cantare, piangere; egli aveva intensificato e stilizzato la sua pigra spontanea grazia; ed ecco che ella, nella breve gonna inorpellata, danza sulla sfera che rotola, getta baci al pubblico, scintilla, trionfa, seduce, ella è Lulu, lo «spirito della terra», la grande druda, incarnazione e vittima del sesso. (da Disordine e dolore precoce (1923-1924), pp. 116-117)
  • Era la voce di Pamela, brillante, dura, metallica, la ben allenata voce della giovane attrice ambiziosa. Si curvava avanti per toccare la mano materna. Tilly tentava sfuggire lo sguardo degli occhi spalancati sotto le sopracciglia mefistofeliche. Quegli occhi, quella voce, tutto in Pamela ricordava il padre. Frank Wedekind sembrava rivivere nella figura di quella fanciulla col gran naso ricurvo, lo sguardo fosforescente, la fragile bocca che nel sorriso si faceva tortuosa. (da Disordine e dolore precoce (1923-1924), p. 117)
  • Chi vive abbastanza a lungo e ha cuore sensibile può sentir tenerezza per più di un volto. Ma un solo volto è quello che si ama. È sempre lo stesso, lo si riconosce tra mille. (da Disordine e dolore precoce (1923-1924), p. 106)
Man mag für mancherlei Gesichter Zärtlichkeit empfinden, wenn man lange genug lebt und ein empfindendes Herz hat. Aber es gibt nur ein Gesicht, das man liebt. Es ist immer dasselbe, man erkennt es unter Tausenden.[4]
  • Dopo il grigio perlaceo che incombe sul paesaggio parigino, la chiassosa scenografia di Marsiglia! Se Parigi incanta colla sua raffinata discrezione, Marsiglia colpisce per la violenza dei colori, degli odori, dei temperamenti. Marsiglia sfavilla, millanta, puzza, gridacchia, gesticola. Persino la Madonna dorata, generosa protettrice delle prostitute e dei marinai, luccica con quasi rabbioso zelo dal suo piedistallo roccioso. E sulla Canebière.[5]che commercio violento! La strada principale di Marsiglia – simpatica mascheratura dei boulevards parigini – sembra col continuo impazzare volersi affermare e dimostrare grande arteria di una metropoli. Si va a zonzo passando davanti agli infronzoliti caffè della Canebière[5]; si raggiunge tosto il porto vecchio. Eccola la nostra deliziosa place du Vieux Port brutalmente illuminata dal sole. Il mare azzurro, colle sue barche a vela, colle conchiglie, le alghe, i marinai penetra in città: la città appartiene al mare. (da La danza sacrale (1924-1927, pp. 136-137)
  • Vidi il Sahara e lo trovai ancor più bello e terribile che l'oceano e i ghiacciai: nessun paesaggio d'alta montagna, nessun mare in tempesta ha la paurosa, elementare grandezza di quella distesa infinita, informe, morta, di quel paesaggio preistorico, di quel funebre idillio di dopo il diluvio universale. (da La danza sacrale (1924-1927, p. 137)
  • Se Kafka, allora quasi sconosciuto, è, secondo una bella parola di Hermann Hesse, «il celato sovrano della prosa tedesca», Trakl appartiene ai principi occulti della germanica poesia. [...] Egli rialzò la lira, dove Hölderlin l'aveva lasciata cadere. [...] Trakl è la voce più cupa del mio coro. È ancora canto il suo? Spesso non è che un balbettio. Con bocca balbettante annuncia i terrori del dissolvimento, della corruzione. La forma si dissolve in un crepuscolo purpureo. Egli mi addusse ai misteri crepuscolari. (da Educazione (1920-1923), p. 101)
  • La putredine o la stanchezza di uno degli elementi di cui consta l'Europa sempre la si poté correggere o compensare. Allorché Roma vien meno alla sua missione, ecco sorgere Lutero. Se l'ancien régime è diventato uno scandalo insopportabile, ecco qua a porvi rimedio un Cromwell, un Robespierre! Quando la rivoluzione ha compiuto il suo ciclo, spunta un Bonaparte. La lotta tra papa e imperatore durante il Medioevo, la controversia tra protestantesimo e cattolicesimo nei secoli XVI e XVII, le grandi rivalità tra gli Stati nazionali del XVIII e del XX, questo perpetuo flusso di tensioni e riconciliazioni, questo giuoco dialettico delle forze concorrenti e complementari è la vera fonte della forza dell'Europa e della sua capacità di resistenza. (da Alla ricerca della strada buona (1928-1930), p. 180)
  • Guai alla terra, guai alla cultura europea se una delle sue componenti avesse potuto assurgere a permanente incondizionata egemonia! Il permanente predominio di uno dei suoi elementi avrebbe significato la rovina e il dissolvimento del tutto. L'armonia dell'Europa riposa sulle dissonanze. La legge immanente della struttura, dell'essenza del genio europeo vieta l'uniformità nel continente. Mettere l'Europa a un unico denominatore – sia esso tedesco, russo o americano – vorrebbe dire uccider l'Europa. (da Alla ricerca della strada buona (1928–1930), p. 180)
  • Il suo esempio mi provava che era possibile accogliere in sé una magnifica varietà di impulsi e di tradizioni contraddittorie senza per questo cadere nell'anarchia; che esiste un'armonia in cui le dissonanze si compongono, senza dissolversi, senza cessar d'esistere. Questa sempre minacciata e sempre riconquistata armonia che ammiravo in Gide non corrispondeva forse all'equilibrio precario della mentalità europea che si sviluppa attraverso i secoli affermandosi pur attraverso tutte le crisi e le minacce? Sì il poeta delle Nourritoures terrestres, delle Caves du Vatican e dei Faux monnayeurs rappresentava per me il «buon europeo per eccellenza». (da Alla ricerca della strada buona (1928-1930), pp. 198-199)
  • [Hitler] Lì sedeva, circondato da alcuni tra i suoi complici preferiti, e mangiava di gusto la sua torta di fragole. Mi sedetti al tavolo accanto, a mezzo metro di distanza. Mangiò un secondo tortino di fragole con panna montata; poi un terzo, e, se non erro il quarto [...] Anch'io amo i dolci; ma la vista della sua voracità mezzo infantile e mezzo bestiale, mi tolse ogni appetito. D'altronde ci tenevo a concentrare la mia attenzione su quel caro ghiottoncello [...]
    Il quale appariva materiato di un'ignobile sostanza, un borghesuccio maligno dallo sguardo istericamente torbido nel volto pallido e gonfio. E nulla che facesse pensare a grandezza, neanche a un uomo mediocremente dotato.
    Non era certo piacevole sedere vicino a un tale individuo; e tuttavia non potevo saziarmi di guardare quel repugnante mangione. Attraente non l'avevo trovato mai, né nei ritratti, né sulla tribuna illuminata; ma la bruttezza che mi stava innanzi sorpassava tutte le mie aspettazioni. La volgarità dei suoi tratti mi tranquillizzava, mi faceva bene. Lo guardavo e pensavo: «Tu non vincerai, nonostante tutti i tuoi ruggiti. Vuoi diventare il dispotico signore della Germania? Diventare dittatore? Sei così miserabile che potresti far pena, se la tua miseria non fosse di così repugnante natura. Sì, ordina ancora un tortino. Chi sa se potrai penderti per un pezzo questi gusti...?»
    Non c'era dunque attorno al suo capo una cruenta aureola per ammonirmi? [...] No, nulla di inquietante si rivelò. Regnava nell'aristocratico ambiente solo una rosea luce discreta, vi aleggiava una musica in sordina... E quell'uomo antipatico, dai buffi baffetti e dalla fronte cocciuta che beveva il suo cioccolatte fra un cerchio di compagni altrettanto insignificanti. (da La scritta sul muro (1930-1932), pp. 222-223)
  • ... Ed ecco, mentre chiamavo la kellerina per pagare la mia consumazione, capii a chi somigliava quell'uomo [Hitler]. A Haarmann somigliava, allo stupratore di fanciulli di Hannover, il cui processo da non molto tempo aveva tanto fatto parlar di sé. Questo barbablù omosessuale era riuscito ad attirare in casa sua dai trenta ai quaranta ragazzetti, ai quali, nell'atto dell'amore, mordeva la gola, e dei poveri corpi straziati faceva salsicce. La somiglianza tra quei due uomini mi colpì. I baffetti, il riccio in fronte, lo sguardo sornione, la bocca piagnucolosa ad un tempo e rozza, la fronte cocciuta e persino quel naso repugnante. Tal quale!
    Possibile che un paese, che era stato tanto orgoglioso dei suoi poeti e dei suoi pensatori, accettasse una tale cimice per «l'uomo del destino»? (da La scritta sul muro (1930-1932), p. 223)
  • Non capivo più i tedeschi!
    Ma non ero forse un tedesco anch'io? Certo lo ero; e non per la lingua soltanto. La cultura tedesca aveva formato la mia visione cosmica, la mia individualità spirituale, o quanto meno l'aveva influenzata in modo decisivo. Una casa paterna come la mia, un'infanzia sotto il segno dei Novalis, Hölderlin, George; come potevo essere estraneo allo spirito tedesco?
    O forse appunto ci si sentiva troppo parente, troppo intimamente legato al grande e nobile spirito germanico per poter aderire ora alla sua falsificazione, al suo avvilimento; forse si era talmente di casa nella sfera di un germanesimo europeo e universale, che ci si doveva sentire dei senzapatria nel paese in cui il pensiero universale era stato ridotto a un sogno di mondiale assoggettamento (da La scritta sul muro (1930–1932), pp. 223-224)
  • La Pfeffermühle, un cabaret letterario con forte colorito politico, era una creazione di Erika; esso appariva quale una graziosa e gioconda protesta contro la vergogna nazista; in realtà la protesta era amara e appassionata. Il testo della maggior parte dei numeri – canzoni, recite, sketches – era di Erika (alcuni eran roba mia); Erika era conferenziere, direttore, organizzatore; Erika cantava, agiva, scritturava, ispirava; breve: era l'anima del tutto.
    Dico male: la Pfeffermühle aveva una doppia anima: l'altra metà si chiamava Therese Giehse [...]. Essa vi partecipava fin dall'inizio, e con che intensità, con che dedizione! La stella acclamatissima dei Münchner Kammerspiele pose a servizio di quel cabaret non ancora affermato e per di più politicamente sospetto, tutta la sua esperienza e tutto il suo ingegno. Senza di lei la Pfeffermuhle non sarebbe mai diventata la più fortunata ed efficiente impresa teatrale dell'emigrazione tedesca. (da L'esilio, p. 246)
  • Figura imponente in tutta la pregnanza della parola la signora Alma Mahler-Werfel, vedova del grande compositore, moglie del grande poeta, parente, amica, o in qualche modo legata con tutte le celebrità dell'impero austro-ungarico. Donne di questo formato son rare ormai; quella vitalità, quel dinamismo, quel connubio di sensibilità artistica e di ambizione sociale sembrano appartenere a un'altra e più splendida epoca: si pensa a Cosima Wagner, alle intellettuali muse del Romanticismo tedesco, alle superbe brillanti dame francesi del grand siècle. (da L'esilio (1933-1936), p. 281)
  • Il delizioso Flauto magico, non lo sfrenato Crepuscolo degli dèi anticipa lo stile del dramma musicale dell'avvenire: dato che ci sia per noi un avvenire, con drammi, musiche e stile... Per metà umanistico poema didascalico, per metà mascherato barocco, raisonnable pur nel capriccio, nobile anche nei suoi lazzi, possa il capolavoro di Mozart, nella sua iridescente compostezza e sovrana innocenza, col suo splendore, la sua grazia, i suoi presentimenti essere dalle venture generazioni amato, compreso, imitato e forse superato. (da La risoluzione (1940-1942), pp. 375-376)
  • Roma è molto più ricca di nascosti tesori che, per esempio, Parigi. Questa, con compiuta generosità, mette in mostra tutte le sue splendidezze e nulla cela al primo sguardo. Roma invece vuol essere indagata, conquistata. Certo qui non vi è una avenue che per splendidezza e ampiezza si possa paragonare con i Campi Elisi; né la Roma, relativamente stretta e provinciale, non ha una Piazza della Concordia. Ma dove mai puoi trovare a Parigi quei tesori nascosti, il principesco barocco nei più riposti cantucci, le quiete strade laterali con gli stupendi palazzi in stile Rinascimento grandiosi e discreti a un tempo?
    Però sarebbe una scemenza e un'ingratitudine da parte mia, se io, nell'estasi del nuovo amore volessi rinnegare l'amore passato. Parigi è incomparabile, e io, naturalmente, invidio un po' te che vi indugi. Ma anche Roma non ha rivali. Quale fortuna che le due città regine siano rimaste intatte e ancor sempre illuminino il mondo dei loro raggi! (dalla lettera al sergente Thomas Quinn, U. S. Army, Parigi, da Roma, 20 marzo 1945, La svolta (1943-1945), pp. 412-413)
  • Croce è un caso rarissimo! Ed ecco che l'astuta tenacia che egli ha affermato lottando per un ventennio contro il fascismo – non all'estero ma restando in patria – ora ha la sua ricompensa. Il suo prestigio è enorme; il vecchio filosofo ha oggi più autorità morale, più influenza, più potere che qualsiasi uomo politico, Sforza non eccettuato. Sforza emigrò. Croce non emigrò. Perciò Croce è più forte. Interessante nevvero?... Con me fu delizioso. Temevo, all'inizio, di trovarlo senile: ha quasi ottant'anni e li dimostra. Ma nella conversazione il volto pergamenaceo si animò; e [a] un tratto mi apparve giovane, o, quanto meno, senz'età: un agile coboldo pieno di saggezza e di umorismo. Parlò molto della Germania, spesso con amarezza, ma poi di nuovo con ammirazione. Come intimamente gli è nota la poesia tedesca! Mi recitò Goethe con una pronunzia tutta sua, ma senz'errore. (dalla lettera alla signora Mann, Pacific Palisades (California) dall'Italia del 22 marzo 1944, La svolta (1943-1945), p. 402)
  • [Su Leonor Fini] Ella ha vissuto lì [a Parigi] a lungo, e la sua pittura lo dice subito: l'influenza dei surrealisti colpisce a primo aspetto. Però tutto ciò ch'ella fa ha uno stile personale, una miscela di delicatezza e vitalità, di grazia femminilmente sensuale e di forza virile che non trovi né in Max Ernst né in Dalí. [...] Leonor Fini è oggi il più forte ingegno tra i pittori italiani.
    Il suo fascino di donna agguaglia per lo meno quello dei suoi quadri. È dinamica, intelligentissima, bella o, se non bella, attraente: la bocca florida e superba, i grandi occhi felini di un verde aurato e fosforescenti. (dalla lettera al sergente Thomas Quinn, U. S. Army, Parigi, Roma, 20 marzo 1945, La svolta (1943-1945), pp. 413-414)

Citazioni su Klaus Mann modifica

  • Da un certo punto di vista, Klaus Mann allora mi era vicino, mi faceva visita di tanto in tanto: un uomo di intelligenza superiore, che aveva viaggiato in paesi lontani, era stato educato in modo irreprensibile e nelle forme più raffinate. Aveva, tra l'altro, la bella qualità, ormai in disuso, di serbare un particolare rispetto per i più anziani durante la conversazione. [...] Quel ragazzo di ventisette anni aveva valutato la situazione, aveva esattamente previsto lo sviluppo degli eventi, era stato più chiaroveggente di me. (Gottfried Benn)

Note modifica

  1. Di Klaus Mehnert, (1906-1984).
  2. Klaus Mann partecipò nel 1934 al Primo Congresso degli scrittori sovietici (Mosca 17 luglio-I settembre 1934).
  3. Citato in Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, 20036.
  4. Da Unordnung und frühes Leid (1923-1924), in Klaus Mann, Der Wendepunkt, Ein Lebensbericht, mit einem Nachwort von Frido Mann, Rowohlt Taschenbuch Verlag, Reinbek bei Hamburg, 2002, p. 168, ISBN 349915325
  5. a b Nella fonte Cannebière, refuso.

Bibliografia modifica

  • Klaus Mann, La peste Bruna: diari 1931-1935, prefazione di Marino Freschi, traduzione di Matilde de Pasquale, Editori Riuniti, Roma, 1998. ISBN 88-359-4565-8
  • Klaus Mann, La svolta: storia di una vita, traduzione di Barbara Allason, Il Saggiatore, Milano, 1962.

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