Giorgio Morandi

pittore e incisore italiano (1890-1964)

Giorgio Morandi (1890 – 1964), pittore e incisore italiano.

Citazioni di Giorgio Morandi modifica

  • Della mia permanenza all'Accademia di Belle Arti debbo dire, per la verità, che gli insegnamenti che mi venivano impartiti non ebbero altro effetto che di porre il mio spirito in uno stato di profondo disagio. Ben dopo di ciò che ora serve alla mia arte vi appresi. (18 febbraio 1928[1])
  • Ebbi molta fede nel Fascismo fin dai suoi primi accenni, fede che non mi venne mai meno neppure nei giorni più grigi e tempestosi. (18 febbraio 1928[1])
  • Esprimere ciò che è nella natura cioè nel mondo visibile è la cosa che maggiormente mi interessa.[2]
  • Per me non vi è nulla di astratto; per altro ritengo che non vi sia nulla di più surreale, nulla di più astratto del reale.[3]
  • Per ragioni d'arte e di temperamento inclino alla solitudine; ciò non deriva né da vano orgoglio né da mancanza di solidarietà con tutti gli uomini della mia stessa fede. (18 febbraio 1928[1])

Citazioni su Giorgio Morandi modifica

 
Foto dello studio dell'artista a Bologna
  • Non ebbe mai un atelier nel senso pomposo del termine. Viveva e lavorava in una camera di media grandezza, una finestra della quale dava su un piccolo cortile ricoperto di verde [...]. Qui si trovava anche la sua brandina, un vecchio scrittoio e il tavolo da disegno, una specie di libreria, il cavalletto e poi tutt'intorno su stretti scaffali l'arsenale, in attesa discreta, delle semplici cose che noi tutti conosciamo attraverso le sue nature morte: bottiglie, recipienti, vasi, brocche, utensili da cucina, scatole. Le aveva scovate chissà dove, per lo più da rigattieri, si era innamorato di ciascuna di esse, le aveva portate a casa una ad una, per poi disporre in fila questi trovatelli quali suoi compagni di stanza, in via sperimentale e con grandi speranze. Qui si trovavano dunque i suoi modelli veri e propri: le "cose" nel loro isolamento silenzioso, gli interlocutori del suo incessante dialogo. [...] Quanto più essi diventavano parte del suo mondo abituale, dimostrando il proprio diritto di cittadinanza attraverso un crescente strato di polvere, tanto più gli stavano a cuore. Tutto ciò sembrava molto ordinato in modo piuttosto piccolo-borghese, relativamente ordinato; infatti attorno, davanti e dietro al cavalletto vi era abbastanza spesso una traccia evidente di inquietudine e di caos. Là si trovava una consolle a tre ripiani. Nel settore più basso, che poteva comprendere anche il pavimento, giaceva una confusione di quegli oggetti che l'avevano colpito a un primo esame ma che poi gli si erano dimostrati insufficienti per un discorso prolungato. Al piano di sopra si trovavano oggetti come comparse in attesa di una ancor possibile entrata in scena. Ma la scena, sulla quale comparivano i protagonisti scelti come interlocutori di un lungo dialogo, si trovava nell'ultimo ripiano, situato pressoché all'altezza degli occhi. Lì si trovavano queste cose scelte in tutta la loro imperturbabile solitudine; nelle mutevoli composizioni acquisivano una sconcertante personalità e cercavano anche di allacciare tra loro delle sottili relazioni dalle quali si costituiva pian piano, lenta-mente dalla loro prossimità, una compagine armonica. L'arrangiatore paziente era Morandi, che stava a vedere con dedizione ed ansia estreme il lento formarsi della comparsa delle cose; tutto ciò poteva durare dei giorni. [...] E in questa comunicazione meditativa, che si faceva sempre più stretta, la distanza tra le cose e l'io contemplante era abolita [...], sicché l'immagine infine raggiunta, la controimmagine che rispondeva al pittore, era al tempo stesso la sua autorappresentazione. Giunto a questo punto, Morandi si metteva a dipingere e trasponeva questa realtà, che egli aveva prefigurato con tanta cura, nella visualità del quadro, nella "seconda", più comprensiva realtà. Il vero e proprio atto pittorico durava spesso solo poche ore. Alcuni quadri mostrano chiaramente le tracce di una certa corsività nella pennellata. Sono segni di spontaneità, di un'estrema visione creatrice divampante come la fiamma di una candela che sprigiona l'ultimo guizzo. (Werner Haftmann)
  • – Senti, ho visto che hai un magnifico Morandi.
    – Ah sì, è il pittore che amo di più. Gli oggetti sono immersi in una luce di sole, eh? Eppure sono dipinti con uno stacco, un rigore, una precisione che li rendono quasi tangibili. Si può dire che è un'arte in cui niente accade per caso. (La dolce vita)

Note modifica

  1. a b c Autobiografia da L'Assalto, settimanale della federazione fascista di Bologna, dalla rubrica Autobiografie di scrittori e artisti del tempo fascista, 18 febbraio 1928, p. 3; in Lettere, a cura di Lorella Giudici, Abscondita, 2004, ISBN 978-88-8416-322-6
  2. Da un'intervista rilasciata a La voce dell'America, 25 aprile 1957.
  3. Citato in Lara Crinò, Nella stanza di Morandi, la Repubblica, 1° maggio 2020, p. 27.

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