Annemarie Schwarzenbach

scrittrice, fotografa e giornalista svizzera

Annemarie Schwarzenbach (1908 – 1942), scrittrice, fotografa e giornalista svizzera.

Annemarie Schwarzenbach negli anni '30

Dalla parte dell'ombra modifica

  • [...] si scrive di ciò che ci preme e, se non si è ancora stati sopraffatti dalla routine del mestiere, se rimane ancora un briciolo di onestà, allora si parla e si scrive solo delle cose che ci stanno a cuore. (da Intervista senza reporter, p. 26)
  • [Salisburgo pochi giorni dopo l'Anschluss] Oh, indimenticabile momento dell'arrivo, attraverso la porta scavata nella roccia, accanto alla fontana nelle cui acque il vescovo lasciava abbeverare i cavalli dei suoi parenti! Passai davanti alle antiche case ammassate sotto la roccia, imboccai il vicolo di Mozart e attraversai la splendida piazza della grande cattedrale! Che vista mi offrivano i ponti, il fiume, le facciate, semplici e sfarzose!
    Ma tutto questo è cambiato, è radicalmente cambiato. (da L'Austria è radicalmente cambiata, pp. 197-198)
  • [...] i nomi sono molto più che indicazioni geografiche, i nomi sono suoni e colori, sogni e ricordi, mistero, magia; e non è disincanto quello che si prova, ma piuttosto l'inizio di un processo meraviglioso, quando un giorno li ritroveremo, pieni di splendori e ombre, fuoco e cenere fredda della realtà. Pamir, Hindu Kush, Karakorum: oggi non era per me diverso, da quando, nel passato, sul banco di scuola, mi rifiutavo testardamente di credere che i nomi, che imparavo e leggevo sulla carta geografica, potessero diventare reali prima di averli visti con i miei occhi, sfiorati con il mio respiro, toccati, per così dire, con mano. (da Tre volte l'Hindu Kush, p. 253)
  • [L'Hindu Kush] Dietro le alte mura del giardino vidi una catena montuosa blu, meravigliosa, che non sembrava appartenere a questo mondo ma al cielo notturno. Là, pensai, non potevano esistere né rocce né erba, né gole né valli, né alberi, né pascoli, né fuochi di pastori, né ghiacciai, né tempeste. Era tutto materia uniforme, vellutata, avvolta da un delicato vapore, imbevuta e pervasa dal chiarore della luna, fino alla cresta dalle fantasiose frastagliature, che, a volerla toccare, si sarebbe sicuramente dissolta e fusa con le nubi lattiginose. Rimasi estasiata da una così stupenda visone [...]. (da Tre volte l'Hindu Kush, pp. 254-255)
  • Nello splendido e mutevole quadro dell'Hindu Kush mi manca il verde tenero, il vento delicato, il canto commovente della primavera. Ma non siamo noi a decidere dei nostri sogni e io non osavo guardare indietro, verso le cime innevate che stavano scomparendo mentre avanzavo nella pianura: non sta a me decidere su incontro e separazione e tracciare il confine tra realtà e visione. A me rimane la magia, il nome, il cuore meravigliosamente toccato. (da Tre volte l'Hindu Kush, pp. 257-258)

La via per Kabul modifica

  • Therapia è lontana come le isole dell'infanzia. [...] Se [...] evoco questo nome e lo amo, è forse perché nulla lo turba, perché era all'inizio, e nulla lo grava al di fuori del profumo dei lamponi portato dalla brezza dolce della sera e presto dissipato, il profumo di quella moltitudine di cesti pieni di lamponi appena colti venduti al piccolo porto; l'acqua satura e mitigata dalla luce della luna si frangeva sonnolenta contro il muro; nel giardino che si stendeva da una terrazza all'altra tremolavano le fronde e il fuoco stillante di una torcia – per un'ora il Bosforo notturno fu il paradiso mai richiesto. (da Therapia, p. 20)
  • [...] noi siamo così, gioiamo alla vista delle persone, del mare azzurro, di un'ora di pace nonostante il fragore degli incendi, guardiamo oltre i campi di macerie per imparare tutti la stessa preghiera: Signore, aiutaci a sopportare questa vita... (da L'Ararat, p. 27)
  • Il Gunbad-i-Kabus! Impossibile paragonarlo a qualsiasi altro monumento, né alle piramidi, innalzate da popoli schiavi, né alle colonne di Persepoli o al minareto turchese di Herat, testimoni dello splendore di grandi sovrani, e nemmeno alle cattedrali dei crociati, rocche bellicose, o ai duomi dorati di Nedjef e di Mashad, pagati dai pellegrini infervorati dalla fede. Perché questa torre è isolata, solitaria – destinata a nessuna gloria, consacrata a nessun rito e a nessuno scopo. I popoli della steppa la conoscono, così come conoscono il vento proveniente dal mar Caspio e le piste delle carovane, e la onorano come guida, consolatrice e figlia del cielo. Gli uccelli migratori ne sfiorano il capo, i cammelli pascolano ai suoi piedi e ovunque, fin dove arriva lo sguardo, si stende il regno dei nomadi, la patria delle tende nere. (da I prigionieri, pp. 35-36)
  • Non sai che l'essere umano assomiglia al suo Dio, e a Lui soltanto, e che può captare dalle onde del nulla suoni capaci di toccare i cuori, e vedere colori più belli e delicati di qualsiasi sogno, e inventare linee eleganti, erigere altari di luce e di fuoco? Che può vivere senza speranza, essere coraggioso e strappare la sua preghiera al terribile abisso della sua solitudine? (da Il viaggio a Ghazni, pp. 91-92)
  • Forse è solo la ferita incurabile dell'addio, quel momento difficile da descrivere, quasi vuoto, unicamente consacrato al coraggio cieco e sordo; forse è quel momento ultimo, irrevocabile e già passato in cui il gentile vecchio con il turbante mi aprì la porta della città dicendomi: devi tenere saldo il volante, la strada principale di Kabul è piena di fango, arriva fino alle caviglie, devi, devi... e poi mi ritrovai sulla rotta dell'esercito di Alessandro senza versare nemmeno una lacrima, senza guardare mai indietro. (da Verso Peshawar..., pp. 113-114)
  • [...] ancora più singolare, più incomprensibile, è la visione del deserto. Scivolare su questa via d'acqua calma, uniforme, di un azzurro artificiale tra rive di sabbia che scorrono sommessamente attraversando questo mondo non ancora nato e sterile, prossimo al tutto, affine alla tristezza indicibile... (Viaggio attraverso il canale di Suez, p. 123)

Bibliografia modifica

  • Annemarie Schwarzenbach, Dalla parte dell'ombra, a cura di Regine Dieterle e Roger Perret, postfazione di Regine Dieterle, edizione italiana a cura di Tina D'Agostini, il Saggiatore, Milano, stampa 2011. ISBN 978-88-565-0220-6
  • Annemarie Schwarzenbach, La via per Kabul: Turchia, Persia, Afghanistan 1939-1940, a cura di Roger Perret, traduzione di Tina D'Agostini, il Saggiatore, Milano, 2009. ISBN 978-88-565-0103-2

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