Acolmiztli Nezahualcóyotl

poeta

Acolmiztli Nezahualcóyotl (1402 – 1472), re (tlatoani) e poeta nahua.

Acolmiztli Nezahualcóyotl

Citazioni di Acolmiztli Nezahualcóyotl modifica

  • Finalmente il mio cuore capisce: | ascolto un canto, | contemplo un fiore: | spero che non appassiscano![1]

In Orfeo, il tesoro della lirica universale modifica

  • Sono, le pompe effimere del mondo, | verdi salici che, se pure invecchino, | finiscono per fuoco, accetta o nembo; | incurva e attrista noi decrepitezza. | Porpora e rosa: egual destino; belle | fin che durino gocce dell'aurora; | ma che il Padre dei vivi le dardeggi | d'un solo raggio, e vedile avvizzire. | Breve è la vita ai fiori; orgoglio, fasto, | al mattino, e la sera già decade | loro impero e calamità li reca | a trista morte. Tutto ch'è su terra | ha una fine, non é gloriosa cosa | o bella che non abbia a un tratto mozzo | il respiro e non cada nella tomba. | Su tutta la sua faccia arrotondata | non è la terra che una tomba.[2] (da Sulla caducità della vita, p. 391)
  • Ahimè, se ai neri | labirinti dei templi io vi menassi, | chiedendo a voi dove riposin l'ossa | di quel potente che fu il Capo primo | degli antichi Toltechi; oppure quelle | del pio Necaxec Mitl; se le spoglie | io vi chidessi di Xiutzal la bella | impareggiabilmente e imperatrice; | o quelle di Tolpitzin il pacifico, | ultimo re di sciagurato regno | tolteco; se le ceneri volessi | del nostro padre primo, di Xolotl; | quelle di Nopaltzin munificente, | di Tlotzin generoso; o infine, ancora | calde, le ceneri del padre mio | glorioso e immortale ancor che molto | da sventura battuto; se per ogni | avo nostro di ciò vi richiedessi, | qual risposta, da voi, se non la mia | medesima? «Indipohdi, indipohdi! | io nulla so, io nulla so!»[2] (da Sulla caducità della vita, p. 392)
  • Figli di re, rampolli di potenti, | gli occhi aprite; su ciò che vi propone | questo mio triste canto, meditate; | vedete ciò che accade alla fiorita | primavera, e la fine del re grande | Tezozòmoc. Ripeto la domanda: | Chi sì duro, che a udirmi può non piangere? | Tanta dovizia di piaceri, e sono | mazzi di fiori, appena, che di mano | in mano passino e finiscan, guasti, | con l'avvizzire al pari della vita. | E non pertanto lasciano gli uccelli | d'effondere per l'aria loro accenti | melodïosi: godono l'estate | come un ricco palazzo; le farfalle | assaporano nèttare e profumi. | Ma non pertanto tutto ciò somiglia | mazzi di fiori, appena, che di mano | in mano passino e finiscan, guasti, | con l'avvizzire al pari della vita.[2] (da Sulla rovina dell'impero tepaneco, pp. 393-394)

Note modifica

  1. Citato in Storia della civiltà letteraria ispanoamericana, diretta da Dario Puccini e Saúl Yurkievich, vol. I, Parte prima, cap. I (Rubén Bareiro Saguier), UTET, Torino, 2000, p. 12. ISBN 88-02-05454-1
  2. a b c Nel sedicesimo secolo le poesie di Nezahualcóyotl furono raccolte e tramandate da un suo discendente, Fernando de Alba Ixtlilxochitl che si era convertito al cristianesimo e parlava spagnolo. È possibile quindi che i testi originari siano stati modificati con inserimenti più vicini al gusto europeo. Questo possibile rimaneggiamento non esclude tuttavia l'esistenza certa di un nucleo autentico. Cfr. Orfeo, p. 1931.

Bibliografia modifica

  • Orfeo, il tesoro della lirica universale, a cura di Vincenzo Errante e Emilio Mariano, sesta edizione rinnovata e accresciuta da Emilio Mariano, Sansoni, Firenze, traduzione per Nezahualcóyotl di Lionello Fiumi, Vincenzo Grossi e Guido Valeriano Callegari.

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