Elena Ferrante: differenze tra le versioni

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*Mi immaginavo che {{NDR|Lila}} si rifugiasse in biblioteca, come mi aveva raccontato Pietro. O che vagasse per Napoli, facendo caso a ogni palazzo, a ogni chiesa, a ogni monumento, a ogni lapide. O che mescolasse le due cose: prima esplorava la città, poi frugava nei libri per informarsi. (p. 468)
*Nino si amareggiò, diventò intrattabile. Per un po’ ci sembrò la sola vittima di quelle elezioni, ma non era così, presto l’intero sistema dei partiti fu travolto e di lui perdemmo le tracce. Gli elettori se l’erano presa coi vecchi, coi nuovi e coi nuovissimi. Se la gente si era ritratta inorridita di fronte a chi voleva abbattere lo stato, ora balzava indietro disgustata davanti a chi, fingendo a vario titolo di servirlo, se l’era divorato come un verme grasso nella mela. Un’onda nera, prima nascosta sotto fastose scenografie di potere e una logorrea tanto sfrontata quanto proterva, ecco che diventava sempre più visibile e dilagava in ogni angolo d’Italia. (p. 482)
*Ah, che città, diceva a mia figlia zia Lina, che città splendida e significativa: qua si sono parlate tutte le lingue, Imma, qua s’è costruito di tutto e s’è scassato di tutto, qua la gente non si fida di nessuna chiacchiera ed è assai chiacchierona, qua c’è il Vesuvio che ti ricorda ogni giorno che la più grande impresa degli uomini potenti, l’opera più splendida, il fuoco, e il terremoto, e la cenere e il mare in pochi secondi te la riducono a niente.(p. 490<ref>Edizioni e/o, 2014, [https://books.google.it/books?id=qh8pCwAAQBAJ&lpg=PT490&dq=&pg=PT490#v=onepage&q&f=false p. 490]. ISBN 97888866325888</ref>)
*Ma qualche volta si accendeva come sapeva fare lei {{NDR|Lila}} e attaccava a parlare della città quasi che non fosse fatta delle solite strade, della normalità dei luoghi di ogni giorno, ma avesse svelato solo a lei un suo luccichio segreto. Così in un breve giro di frasi la trasformava nel posto più memorabile del mondo, in quello più ricco di significati, tanto che dopo un po’ di chiacchiere tornavo alle mie cose con il fuoco nella testa. Che grave negligenza era stata nascere e vivere a Napoli senza sforzarmi di conoscerla. Stavo per lasciare la città per la seconda volta, ci ero rimasta complessivamente per trent’anni pieni della mia vita, e tuttavia del luogo dov’ero nata non sapevo granché. (p. 496)
*Ora cercava testimonianze di viaggiatori stranieri dentro cui le pareva di rintracciare incanto e repulsione mescolati insieme. Tutti, diceva, tutti, di secolo in secolo, hanno lodato il grande porto, il mare, le navi, i castelli, il Vesuvio alto e nero con le sue fiamme sdegnate, la città ad anfiteatro, i giardini, gli orti e i palazzi. Ma poi, sempre di secolo in secolo, sono passati a lagnarsi dell’inefficienza, della corruzione, della miseria fisica e morale. Nessuna istituzione che dietro la facciata, dietro il nome pomposo e i numerosi stipendiati, funzionasse davvero. Nessun ordine decifrabile, solo una folla sregolata e incontenibile per le strade ingombre di venditori d’ogni possibile mercanzia, gente che parla a voce altissima, scugnizzi, pitocchi. Ah, non c’è città che diffonda tanto rumore e tanto strepito come Napoli (p. 497)