Pietro Aretino: differenze tra le versioni

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*[...] la mia stizza si dilegua col fume de le parole e fornisco di adirarmi come ho fornito di parlare; onde mi è forza poi (bontà de la natura benigna che mi ha in preda) di chieder perdono fino a chi mi offende, e ogni piccola somessione che usino i miei crocifissori mi trae le lagrime dal core non che da gli occhi. Ecco Antonio Brocardo che mi muore nimico, e io scrivo sonetti per onorar de la sua memoria. (da ''A messer Giulio Tancredi'', p. 325)
*{{NDR|Sul gioco del [[lotto]]}} Saria una comedia da far crepar de le risa il pianto, chi facesse un libro de i pensieri che si fan verbigrazia ne i sei millia zecchini del [[lotto]] che dee venire. Chi para camere, chi ricama drappi, chi compra cavalli, chi gli pone in banco, chi ne marita sorelle, chi gli investisce in poderi. Il servitore ch'io dico scrisse al padre che facesse mercato d'un palazzo col giardino d'un che voleva riuscirne, e che non guardasse a la favola di cento più o meno. Ma tutto è burla, eccetto il dar via le buone e tenersi le triste. (da ''A messer Giovanni Manenti'', p. 335)
*Più pro fa il [[pane]] asciutto in casa sua che l'accompagnato con molte vivande a l'altrui tavola. (da ''Al Fausto Longiano'', p. 374)
*E non me ne maraviglio, perché la gentilezza de la maggior parte de i [[mercanti]] è la villania, e apresso di loro non è di merito se non il furto che essi battizzono guadagno. (da ''A messer Domenico de i Conti'', p. 459)
*Il dono de i [[tartufi]] è suto di piacere e di maraviglia. Mi son compiaciuto ne la lor bellezza e maravigliato del vedergli ne la stagione che gli riarde. Certo, non si vantino quegli di Norcia né de l'Aquila di esser migliori. Ma s'io vi dicesse come mi hanno onorato una cenetta che a punto la sera che me gli mandaste dava a non so che Signoria, vi verrebbe voglia di essermi largo d'altrettanti acciò che invitandola una altra volta, io mi acquistassi nome di gran maestro. (da ''Al capitan Adrian da Perugia'', p. 519)