Pietro Aretino: differenze tra le versioni

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*O turba errante, io ti dico e ridico che la [[poesia]] è un ghiribizzo de la natura ne le sue allegrezze, il qual si sta nel furor proprio, e mancandone, il cantar poetico diventa un cimbalo senza sonagli e un campanel senza campane. (Da A messer Lodovico Dolce'', p. 193)
*Quanto seria meglio per un Gran Maestro il tener in casa uomini fedeli, gente libera e persone di buona volontà, senza infreggiarsi de la volpina modestia de i [[pedanteria|pedanti]] asini de gli altrui libri, i quali, poi che hanno assassinato i morti e con le lor fatiche imparato a gracchiare, non riposano fino a tanto che non crocifiggano i vivi. (Da ''Al cardinal di Ravenna'', p. 223)
*{{NDR|Sul gioco del [[lotto]]}} Saria una comedia da far crepar de le risa il pianto, chi facesse un libro de i pensieri che si fan verbigrazia ne i sei millia zecchini del [[lotto]] che dee venire. Chi para camere, chi ricama drappi, chi compra cavalli, chi gli pone in banco, chi ne marita sorelle, chi gli investisce in poderi. Il servitore ch'io dico scrisse al padre che facesse mercato d'un palazzo col giardino d'un che voleva riuscirne, e che non guardasse a la favola di cento più o meno. Ma tutto è burla, eccetto il dar via le buone e tenersi le triste. (Da ''A messer Giovanni Manenti'', p. 335)
*[...] veramente ch'io ho più [[compassione]] a chi [[amore|pate amando]] che a chi si muor di fame o a chi va a la giustizia a torto: perché il morirsi di fame procede da la dapocaggine, e l'esser giustiziato a torto nasce da la mala sorte; ma la crudeltà che cade sopra uno innamorato è un assassinamento fattogli da la fede, da la sollecitudine e da la servitù de la bontà propria. (Da ''Al conte di San Secondo'', pp. 190-191)