Bernardo Valli: differenze tra le versioni
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*Come molte rivoluzioni, anche quella iraniana segue un percorso schizofrenico. Moderati e radicali, girondini e giacobini, si inseguono, si distruggono a vicenda, e nelle fasi più intense si tuffano nel massimalismo, per non essere travolti dai concorrenti. Così in queste ore gli ayatollah abitualmente cauti, inclini al compromesso, per saggezza o per calcolo, pronunciano i discorsi più intransigenti, predicano la guerra totale, contro tutti e contro tutto.<ref name="piagairaniana"/>
*Per gli sciiti il potere temporale è inevitabilmente imperfetto fino a che non sarà assunto dal dodicesimo Imam, per ora nascosto. Il clero lo esercita provvisoriamente nell'attesa di quell'avvento, vale a dire dell'uscita allo scoperto del per ora irreperibile inviato di Allah. Le monarchie sunnite come del resto un tempo quella dell'aborrito scià usurpatore sono tutte illegittime, come lo sono tutti gli altri regimi nei paesi musulmani. Una prova della loro illegittimità è la complicità con gli americani e i loro lacchè. Questi principi stravaganti per la nostra epoca, ma non tanto per una religione ibernata secoli or sono, vengono adesso espressi politicamente, non si sa con quali conseguenze.<ref name="piagairaniana"/>
*Secondo la tradizione militare, e fatte le debite proporzioni, l'umiliazione indocinese fu molto più dignitosa di quella subita dieci anni prima, quando i tedeschi sfondarono la vera linea Maginot, al confine nord-orientale della Francia. Ma la severa lezione ricevuta dall'Armée in quest'angolo dell'Asia, tra queste sgradevoli alture, fu l'avvio della lunga, interminabile guerra, prima francese poi americana, conclusasi un quarto di secolo dopo a Saigon, nella lontana pianura del Mekong. Qui un esercito classico, occidentale, fu battuto da guerriglieri appena diventati soldati. Ed è sempre qui che è affiorato il mito dell'invincibilità vietnamita, più tardi diventato un catastrofico dogma, quando è infine arrivata la pace.<ref name="numero4">Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/08/14/sulla-strada-numero-dove-nacque-il-mito.html?ref=search ''Sulla strada numero 4 dove nacque il mito viet''], ''la Repubblica'', 14 agosto 1988.</ref>
*{{NDR|Sulla [[guerra sino-vietnamita]]}} Con toni falsamente dimessi i vietnamiti dicono che i cinesi sono stati prudenti. Ritenendosi invincibili pensano che avrebbero potuto tener testa alla Cina abitata da un miliardo di esseri umani. È l'orgoglio affiorato dai successi sulla strada numero 4 e poi maturato, cresciuto a dismisura, via via, con le vittorie sul corpo di spedizione della super potenza americana, fino a diventare insensatezza con l'avvento della pace. La convinzione di poter sfidare il mondo intero. Un' arroganza adesso ridimensionata dalla inevitabile constatazione che il Viet Nam è ritornato ad essere un angolo del continente asiatico, un piccolo paese un tempo capace di fare la guerra e ora incapace di sfamare i propri abitanti.<ref name="numero4"/>
*Il [[mausoleo di Ho Chi Minh]], che sorge al centro di Hanoi, è imponente come deve essere la tomba del liberatore e unificatore della nazione. È simile a quello di Mosca, ma rivela soprattutto una retorica un po' goffa, pesante, che lo stesso zio Ho non avrebbe approvato o gradito. Nessuno osa ovviamente criticare quel monumento, neppure i giovani disincantati, saturi di racconti delle passate epopee e strozzati dalle difficoltà di oggi.<ref>Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/08/19/su-hue-vecchia-capitale-ombra.html?ref=search ''Su Hué, vecchia capitale l'ombra della carestia''], ''la Repubblica'', 19 agosto 1988.</ref>
*Non che [[Saddam Hussein|quest'ultimo]] ispirasse eccessiva fiducia, ma come dittatore classico era senz'altro preferibile a una rivoluzione islamica che avrebbe potuto sconvolgere ampie e decisive regioni del pianeta. Tanto preferibile che nel settembre '80 la tentata invasione irachena dell'Iran, da cui scaturì la guerra del Golfo, non suscitò uno scandalo adeguato alla gravità dell'aggressione. Quella complice indulgenza, allora comprensibile se non proprio inevitabile, ha partorito un monster, secondo la brutale espressione di un senatore americano, o un nuovo voleur de Bagdad, secondo quella più poetica di un quotidiano francese. Un mostro o un ladro di Bagdad che dispone della forza militare più importante del Golfo e del mondo arabo, tra l'altro dotata di gas nervini come ben sanno le popolazioni civili curde, e in possesso di un arsenale atomico per fortuna ancora incompleto, ma non tanto lontano dall'esserlo. Una potenza costruita grazie agli aiuti paralleli se non congiunti o concertati di Mosca e di Washington, di Parigi e di Londra, e di tante altre capitali ansiose di vendere armi, tra le quali Roma, Varsavia, Praga, Il Cairo... Nella lista non manca il Kuwait che, per proteggersi da Khomeini, finanziò lautamente Saddam Hussein, sapendo benissimo che sotto le spoglie del protettore si nascondeva un lupo ansioso di fare dell'emirato un solo boccone. Ma tra lui e Khomeini non c'erano scelte.<ref name="ladrobagdad">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/08/03/il-ladro-di-bagdad.html?ref=search ''Il ladro di Bagdad''], ''la Repubblica'', 3 agosto 1990.</ref>
*L'invasione del regno degli emiri Sabah è il più recente capitolo del sanguinoso romanzo del Golfo, che dal ritiro britannico al di qua del Canale di Suez non ha ancora trovato una potenza militare capace di imporsi. Lo [[Mohammad Reza Pahlavi|scià Reza Pahlevi]] c'era quasi riuscito. Con l'avvento di Khomeini e l'indebolimento dell'Iran rivoluzionario l'Iraq si è preso la rivincita. Adesso Saddam Hussein gioca tutte le sue carte, che non sono poche.<ref name="ladrobagdad"/>
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*La figlia [[Indira Gandhi|Indira]] non aveva distacco. Affrontava l'India di petto. Nelle campagne elettorali usava lo slogan 'l'India è Indira e Indira è l' India' . Il padre non avrebbe mai detto una cosa simile. Ed è forse con lei, nei suoi ultimi anni di governo, che la famiglia Nehru ha perduto l'aureola.<ref name="villaindira"/>
*Milosevic è una vistosa reliquia del nazionalismo primitivo, quello che, su scala assai più grande, con le sue degenerazioni ideologiche, ha provocato le tragedie del '900 europeo. È a questo nazionalismo, ricreatosi a pochi minuti di volo dalla nostra costa adriatica, che la Nato ha dichiarato di fatto la guerra. Quasi volesse distruggerlo prima di entrare nel nuovo millennio. È roba da lasciare al secolo che se ne va. Fallito il comunismo, anche nella sua eccentrica versione jugoslava, Milosevic si è gettato in quel nazionalismo: e nel giugno '89 ha dato solennità alla conversione recandosi nella pianura di Kosovo Polje, ai piedi del monumento alla battaglia del 1389 (da cui cominciò il dominio ottomano, durato quasi mezzo millennio), per annunciare che "mai più i serbi si sarebbero lasciati maltrattare". Con quel gesto e quelle parole Milosevic ha spazzato via tutto quel che Tito aveva fatto per contenere i nazionalismi balcanici. E ha dato il via, in modo più o meno diretto, a una serie di massacri in cui i serbi sono stati carnefici ma anche vittime, e da cui sono sempre usciti sconfitti. Sono stati ripudiati dagli sloveni e dai croati, e molti loro insediamenti secolari sono stati scalzati dalle province di confine bosniache e croate. E adesso il Kosovo. Il nazionalismo serbo assume a tratti una colorazione religiosa e messianica, ereditata dal ruolo nazionale che la Chiesa ortodossa ha avuto nei secoli. Nell'Europa occidentale il territorio della nazione si è sostanzialmente delineato prima che si creassero una lingua e una cultura comune. Al contrario la nazione serba non ha un quadro territoriale di riferimento. Le comunità, non sempre maggioritarie tra cattolici, ebrei e musulmani, si identificavano in rapporto alla Chiesa serba. Era serbo chi era ortodosso. Si sono così creati spazi mistici. Sono nate rivendicazioni territoriali stravaganti, dettate dagli avvenimenti politici del momento e dalle leggende. I poemi nazionali hanno cantato per secoli il Kosovo come "culla del popolo serbo", e così lo è diventato di fatto, e tale è rimasto benché abitato al novanta per cento da albanesi. Crollato il comunismo, Milosevic ha sfruttato quel sentimento, attorno al quale, nei momenti di tensione, si raccolgono anche tanti serbi di solito estranei ad ogni tipo di estremismo. La letteratura serba è generosa in opere in cui si piangono le terre perdute e in cui la nostalgia diventa passione violenta.<ref name="falcobelgrado">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/03/26/il-falco-di-belgrado.html?ref=search ''Il falco di Belgrado''], ''la Repubblica'', 26 marzo 1999.</ref>
*{{NDR|Sulla [[caduta di Saigon]]}} La prima sconfitta militare nella storia degli Stati Uniti era lampante; e lo spettacolo dei loro disperati alleati, in larga parte inevitabilmente abbandonati a se stessi, non aggiungeva dignità alla sconfitta. La guerra era tuttavia finita e il Vietnam era riunificato e (per la prima volta, 117 anni dopo l'arrivo dei francesi) senza stranieri sul suo suolo. Il prezzo dell'unità non era però del tutto saldato. Restava da installare il regime comunista nel Sud poco incline alla disciplina e al collettivismo del Nord.<ref>Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/04/22/quando-saigon-america-si-arrese.html?ref=search ''Quando a Saigon l'America si arrese''], ''la Repubblica'', 22 aprile 2000</ref>
*Non è il trionfo, ma è certamente un successo della "giustizia internazionale" il fatto che il governo di Belgrado abbia consegnato Slobodan Milosevic al Tribunale Penale dell'Aja. Mai, prima d'ora, un ex capo di Stato era stato affidato dal governo del proprio Paese a una giurisdizione sopranazionale. Il processo all'ex presidente jugoslavo per crimini (di guerra e contro l'umanità) sarà dunque una prima assoluta nella storia moderna. Ed è senz'altro un avvenimento che segna una svolta nella storia dei Balcani, poiché affidandosi alla giustizia dell'Occidente il governo neodemocratico serbo ne ha sposato ancor più i principi, abbandonando una tradizione nazionalista, fondata su un orgoglio con forti connotati tribali.<ref name="storicoprocesso">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/06/29/lo-storico-processo-al-tiranno.html?ref=search ''Lo storico processo al tiranno''], ''la Repubblica'', 29 giugno 2001.</ref>
*La scoperta delle fosse comuni alle porte di Belgrado ha cambiato la situazione. Per la prima volta, dopo dieci anni, i serbi hanno constatato con i loro occhi, e quindi hanno dovuto ammettere, che i crimini attribuiti a Milosevic non erano un'invenzione dei nemici della Serbia. Lo stesso governo ha fatto trasmettere alla televisione la riesumazione dei resti di kosovari trasportati e sepolti a Batajnica, un sobborgo della capitale: teschi, tibie, femori, vertebre....; scheletri frantumati di donne, bambini, vecchi; cadaveri con evidenti tracce di sevizie. Durante e dopo la guerra varie organizzazioni umanitarie avevano parlato di convogli colmi di cadaveri arrivati in Serbia. Ma la gente non ci credeva. Tutta propaganda. In quanto alle fosse comuni scoperte in Kosovo non erano poi tanto numerose. Non comunque tali da provare i massacri denunciati dalla Nato. Le nuove immagini, mostrate alla televisione mentre si discuteva dell'estradizione di Milosevic, hanno dissipato i dubbi. Soltanto gli stretti partigiani di Milosevic hanno continuato a negare.<ref name="storicoprocesso"/>
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*Si parla molto di più del cinquantenario dell'indipendenza indiana a Londra che a Nuova Delhi o a Bombay. Là si ricorda l'inizio della ritirata imperiale, cominciata nell'agosto del '47 a Nuova Delhi e conclusasi neppure due mesi fa, il 1 luglio del '97, mezzo secolo dopo, a Hong Kong. Una lunga cavalcata nostalgica a ritroso. La Gran Bretagna ha la rievocazione facile. Non deve fare bilanci. Li ha già fatti. Se qualcuno, a Londra, vuol proprio tirare le somme, non gli riesce certo difficile sottolineare i risultati negativi di questi cinquant'anni postcoloniali dell'India. Così facendo, si può implicitamente rivalutare il tempo del [[Impero anglo-indiano|Britsh Raj]]. È però un esercizio rischioso: è ridicolo giocare con la storia. La storia consente invece qualche considerazione su ciò che accadde realmente nell'estate del '47. Si può ricordare che l'impero britannico, seguendo un'abitudine (non solo) coloniale consolidata, si prodigò nell'accentuare l'ostilità tra indù e musulmani. Divise per governare. Si può altresì rammentare che gli inglesi se ne andarono (in anticipo sulla data prevista) come da una nave che affonda. Fu esemplare la decisione di decolonizzare, ma non certo il calendario precipitoso, dopo due secoli di dominio. Il 15 agosto '47 resta una data importante non solo perché ha visto nascere la 'più grande democrazia del mondo', ma perché ha dato il via al processo di decolonizzazione, che ha cambiato la faccia del mondo. [[Winston Churchill]] detestava l'India e gli indiani, e non lo nascondeva.
*Il rispetto di varie culture, tradizioni e religioni (l'India conta più musulmani del Pakistan, nato come paese islamico) è stata la principale virtù del governo laico di [[Jawaharlal Nehru|Jahawarlal Nehru]] e dei suoi successori.
{{Int|1=Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/05/16/peccati-di-suharto.html?ref=search ''I peccati di Suharto'']|2=''la Repubblica'', 16 maggio 1998}}
*La vicenda del generale [[Suharto]] è un classico della tradizione asiatica, ormai respinta a Singapore, a Bangkok, a Taipei, a Seul. Il suo potere affonda le radici nell'esercito, e ha assunto, via via, dimensioni familiari tali da diventare un sistema caricaturale di nepotismo.
*Suharto è un sopravvissuto della "strategia di contenimento" degli anni Sessanta, promossa in Estremo Oriente per arginare l'espansione comunista, ai tempi della rivoluzione culturale cinese e della guerra vietnamita. L' avvento del suo regime coincise con un bagno di sangue che non solo cancellò il pc indonesiano, ma non risparmiò intellettuali e insegnanti ritenuti troppo "laici" dall' ondata islamica, provocata per l'occasione, in un paese musulmano fino allora tra i più tolleranti.
*Il naufragio di Suharto è insomma dovuto sia alla natura del suo potere familiar-affaristico, sia alla crisi asiatica. Sopravissuto alla guerra fredda, di cui è stato uno dei massimi protagonisti in Asia, egli rischia in queste ore di affondare "vittima", dicono i suoi sempre numerosi fedeli, dell'austerità imposta dal Fondo Monetario Internazionale.
{{Int|1=Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/03/24/kosovo-la-guerra-non-mai-finita.html?ref=search ''Kosovo la guerra non è mai finita'']|2=''la Repubblica'', 24 marzo 2000}}
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