Salvatore Di Giacomo: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
ordine alfab., incipit
Riga 4:
 
==Citazioni di Salvatore di Giacomo==
*Chi bada in [[Napoli]] al suo decoro? Certo, chi dovrebbe no. Lascia fare e lascia correre – ecco la frase filosofica, sacramentale d'ogni indifferente partenopeo, sia egli in alto nella cosa pubblica o le passi accanto tranquillo. (da<ref>Da ''Il palazzo di Giustizia in Napoli'', in ''Saggi insoliti'', Stamperia del Valentino, Napoli<ref>Citato; citato in Antonio Emanuele Piedimonte e Anna Scognamiglio, ''Napoli. {{small| Uomini, luoghi e storie della città smarrita}}'' Intra Moenia, Napoli, 2013, p. 13. ISBN 978-88-95178-77-6</ref>).
*{{NDR|Su [[Francesco Proto]]}} Due mesi prima, in un buon giorno di sole, il povero vecchio uscì da quella camera per rivedere ancora una volta il suo studiolo, ove, finalmente, era {{sic|riescito}} a porre in assetto i suoi libri e ad ordinare le sue carte. Ve lo ritrovai, quel giorno, sprofondato in una poltrona, presso all'aperta finestra. Un mormorìo confuso saliva, da lontano, alla pace de' balconi fioriti, alla gran pace silenziosa del Palazzo Cellammare: egli ascoltava – con la bocca schiusa, col corpo lievemente proteso, con le mani spiegate su' bracciuoli della poltrona – la voce della città, quella voce alla quale s'eran dianzi mescolati i suoi caratteristici urli di meraviglia, le sue schiette e {{sic|romorose}} risate, i suoi scoppî {{sic|approbativi}} che mettevano in curiosità e in subitaneo stupore i marciapiedi di Chiaia e di Toledo. <br />Ascoltava, ascoltava, estatico: s'abbeverava avidamente di quel soffio di vita e un tremor nervoso lo pervadeva tutto. ''Solo:'' or egli era ''solo'', là dentro, egli che era stato tanto con ogni cosa viva e con tutti. E, pian piano, il suo povero corpo s'abbandonò, le mani scivolarono su pe' bracciuoli, la testa reclinò, triste, sul petto. <br />– Duca?<br />– Oh... figlio. {{sic|..}} buon giorno...<br />– Come state?<br />Egli sorrise. E disse, piano, nel silenzio, mentre pur i {{sic|romori}} esterni parevano sopiti, disse, napoletanamente:<br />– ''Nun vide? Sto murenno''...<ref>Non vedi? Sto morendo...</ref> (dalla<ref>Dalla necrologia per Francesco Proto<ref>Citato; citato in [[Benedetto Croce]], ''La letteratura della nuova Italia, Saggi critici'', vol. III, Giuseppe Laterza & Figli, Bari, 1922<sup>2</sup> riveduta, p. 81.</ref>)
*Ed è a proposito di Giuliano da Maiano che qui ci ricorre alla memoria quel napoletano [[Giovanni Francesco Mormando|Giovanni Donadio, detto il {{sic|Mormanno}}]], il quale ben potrebbe essere stato uno degli scolari più egregi di quell'elegante artefice fiorentino. Era il Donadio, come un suo pur conosciuto fratello, architetto e costruttore d'organi a un tempo, e forse aveva tutte e {{sic|due cose}} appreso a Firenze da tanto maestro: certamente il costui modo nobile e ricco si riscontra in tutte le opere alle quali i signori napoletani chiamarono il Mormanno e si manifesta specie nell'architettura e nella decorazione così del palazzo dei di Capua in ''Via S. Biagio de' Librai'', come nell'altro de' duchi di Vietri, che gli è vicino e che ora è posseduto dal duca di Corigliano Saluzzo.<ref>Da ''Napoli'', pp. 92-93.</ref>
*{{NDR|Francesco Proto}} Egli aveva detto in casa, nel caffè, nel salotto, a teatro, fin nella bottega del parrucchiere, ove i garzoni ammirati afferravan rime a volo, quel che nemmanco le gazzette avevano osato stampare: di questi ultimi tempi, in cui son precipitati a Napoli uomini e molte cose, giudizi tenuti dagli spettatori paurosamente chiusi nell'animo, il vecchio duca aveva espressi con alta e affilata parola: in verità egli ci pareva un [[Giuseppe Baretti|Baretti]] novello che menasse attorno la sua frusta schioccante e, senza alcun odio, ma pur senza misericordia alcuna, ne andasse attorno verberando amici e nemici...<ref>Citato in ''Epigrammi del [[Raffaele Petra|marchese di Caccavone]] e del Duca di Maddaloni'', a cura di Giuseppe Porcaro, Arturo Berisio Editore, Napoli, 1968, risvolto di copertina.</ref>
*''Nannì, si ce penzo | Mme vene na cosa, | Sta sciamma annascosa | Cchiù abbampa accussì... | È overo stu suonno?... | Meh, dimme ca sì!'' (da ''Nannì!!!'')
*{{NDR|Sulle ''Lettere dall'Italia 1765-1766'' di [[Samuel Sharp (chirurgo)|Samuel Sharp]]}} [...] il poco degno libro d'un insensibile, specialista delle malattie degli occhi, inventore d'un ''new method of opening the cornea in order to extract the crystalline humour ''<ref>Nuovo metodo di apertura della cornea per estrarre l'umore cristallino.</ref>'' '', e forse d'esso felice sperimentatore sopra se medesimo, poiché a nessun più di lui {{sic|riescì}} a mancare, assieme a quella dello spirito, la saporosa gastronomia dello sguardo.<ref>Dalla prefazione a Samuel Sharp, ''Lettere dall'Italia 1765-1766, {{small|A descrizione di quelli usi e costumi in quelli anni, Napoli}}'', traduzione di Constance e Gladys Hutton, prefazione e note di Salvatore Di Giacomo, Carabba, Lanciano, 1911, [https://archive.org/details/letteredallitali00shar/page/12 p. 12].</ref>
*Nel giornalismo io sono non uno scrittore, ma uno scrivano. La mia fissazione è questa, che Napoli è una città disgraziata, in mano di gente senza ingegno e senza cuore e senza iniziativa. (da<ref>Da ''L'Occhialetto'', XIX, 29, Napoli, 18 settembre 1886; citato in ''[http://www.bibliocamorra.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=330&Itemid=2#_ftn1 Nota bio-bibliografica di Salvatore Di Giacomo]'', ''bibliocamorra.altervista.org'').</ref>
*{{NDR|[[Ferdinando Petruccelli della Gattina]]}} Un de' più efficaci, originali, vibranti e sfolgoranti scrittori del tempo, un vero ingegno in una vorticosa anima ardente. (da<ref>Da ''Il Quarantotto'', Napoli 1903).</ref>
*Un grande silenzio s'era fatto per la via. La dolcezza del tramonto penetrava l'anima. E la piccola rossa, socchiuse le labbra esangui, lo sguardo perduto, continuava a sognare, come una santarellina in un'aureola di pulviscolo d'oro. (da<ref>Da ''Regina di Mezzocannone'', ''Tutte le novelle'', Newton Compton editori, 1991).</ref>
*[...] Napoli, [...] questo strano cuore d'Italia che patisce, se lo si considera bene, di tutti i mali cardiaci, dell'aritmia, dell'{{sic|iperestasia}}, dei ribollimenti subitanei e delle lunghe paci silenziose, da' battiti lenti, quasi malati.<ref>Da ''Vulite 'o vasillo?'', in ''Novelle napolitane'', prefazione di [[Benedetto Croce]], Fratelli Treves, Editori, Milano, 1919, [https://archive.org/details/novellenapolitan00digiuoft/page/148].</ref>
 
===In ''Napoli ieri''===
Riga 24:
*{{NDR|Il Real Albergo dei Poveri}} In una delle sale più vaste del pianterreno è la scuola di disegno ornamentale e di plastica. La frequentano ogni giorno, nelle ore pomeridiane, moltissimi alunni e dà risultati assai soddisfacenti. Allo stesso pianterreno hanno posto tutte le altre scuole officine. Una scuola d'intaglio e d'ebanisteria artistica è diretta dal Caponetti, noto anche come bronzista. È stato da quest'illustre officina che sono usciti, opere d'eleganza e di intaglio perfette, i mobili che la [[Elisabetta di Baviera|Imperatrice d'Austria]] fece costruire per la sua villa a [[Corfù]]. I bronzi decorativi del mobilio, un gran numero di lampadari, la balaustra della scala maggiore dell<nowiki>'</nowiki>''[[w:Achilleion|Achilleion]]'', su disegni del Caponetti, sono pur lavori delle officine dell'Albergo de' Poveri. Quella de' ''bronzi artistici'', alla quale è annessa una fonderia, è diretta da Gennaro Chiurazzi. È tra le più frequentate dagli alunni, che vi trovan sempre da lavorare e da guadagnare. I suoi prodotti sono spediti fuori d'Italia, ove sono conosciuti, apprezzati, forse, anche più. E l'officina ha uno stato di servizio magnifico; come quella del Caponetti essa è nata e venuta su nell'Albergo; da venticinque anni sparge nel mondo stuoli d'eccellenti artefici i quali scrivono, dalle terre anche più lontane, a' loro maestri. Altre scuole prosperano e danno lavoro ad altri giovanetti del Pio Luogo; ricordo quella d'ebanisteria e d'intaglio, la fonderia di ferro, l'officina di scultura su marmo, quella de' fabbri meccanici, l'officina meccanica per gli oggetti di chincaglieria e la scuola-officina d'incisione su pietre dure.<br>Il nome di [[Nicola d'Arienzo]] mi dispensa dall'aggiunger lodi alla scuola musicale ch'egli dirige nell'Albergo. (da ''L'Albergo dei Poveri'', pp. 392-393)
*Uscendo dal [[Museo artistico industriale Filippo Palizzi|Museo]] e ridiscendendo nella luminosa piazza Plebiscito, dinanzi al golfo incantato e al [[Vesuvio]], che appaiono da lungi sulla destra del palazzo reale, sotto quest'azzurra volta di cielo, prodigo sempre di tanta e sì profonda dolcezza, guardando questo buon popolo napoletano, che si gode le bellezze del suo paese, un pensiero di ravvedimento passa pel capo di chi è stato lassù, quasi un impulso di protesta contro l'accusa che si fa spesso agli operai napoletani di essere indolenti e ignoranti.<br> E la visita al Museo fa scrivere al van Eeden<ref>Direttore del Museo di [[Haarlem]] (Arlem nel testo), cfr. ''Il Museo Artistico Industriale'', p. 407.</ref>: «I napoletani sono spesso calunniati, ma quello che ho veduto coi miei propri occhi ha più valore per me di ciò che ho inteso dire e sarei contento che alcuni dei nostri giovani fossero mandati a Napoli affinché potessero spogliarsi della loro pesantezza e del loro cattivo gusto. I nostri giovani sono forse più istruiti, ma il napoletano sa trarre maggior profitto dal poco che sa, e questa è la cosa essenziale nel mondo.» (da ''Il Museo Artistico Indistriale'', p. 409)
 
==''Assunta Spina''==
===[[Incipit]]===
Atto primo<br>
Interno della grande sala del Tribunale penale, a Castelcapuano.<br>''Scena prima''<br>''La folla. Ai loro posti gli uscieri'' Sueglia ''e'' Torelli. ''Avvocati che sopraggiungono. L'avvocato'' Buffa. ''Portieri. Guardie. Un prete. Contadini ecc. Gran mormorio. Tutto il parlato e il movimento seguono in fretta''.<br>'''Avvocato primo''': (''viene dalla destra, con carte sotto il braccio, frettoloso. S'incontra con l'Avvocato secondo.'')<br>Avvocato Franceschelli, noi siamo qua!<br>'''Avvocato secondo''': Oh! Carissimo ! Dunque? C'è motivo?<br>'''Avvocato primo''': Altro! Ce ne stanno dduie. Siamo a cavallo!<br>'''Avvocato secondo''': Ah, neh? E ghiate dicenno... (''Gli si mette a fianco. movono verso la sinistra'').<br>'''Avvocato primo''': Ecco qua: sulla prima posizione c'è la mancanza di presentazione di parte...<br>'''Avvocato primo''': Benissimo!
 
===Citazioni===
*'''Federigo''': Sapete chi è veramente libero, felice, padrone di se stesso? Chi nun è nzurato. {{NDR|Chi non è sposato}} (p. 146)
 
==''La Scuola di Posillipo''==
*[[Napoli|Qui]] si {{sic|offeriva}} all'occhio incantato dell'artista avvezzo alle sue brume e alla quasi geometrica fisionomia delle sue campagne una brillante, svariata, colorita distesa di verde: qui, rilevate da un cielo puro e sereno, chiome di boscaglie, pendici erte e bizzarre, rovine di templi disegnate con precisa linea sull'orizzonte e quasi librate nell'aria; qui, all'improvviso, inaspettate tenerezze di verde, biancheggianti casette in mezzo ad esse, orti e giardinetti, battaglie gioconde di sole e di ombre, e riposti cantucci adorabili, solitarii, odorosi; e più giù, più giù, al mare, acque chiare e tranquille, ed antri e specchi virgiliani, pieni d'un cullante mormorio di flutti. L'arte del [[Anton Sminck van Pitloo|Pitloo]] rampollò dunque da quest'incantamento perenne che lo penetrava da [[Paestum|Pesto]] a [[Gaeta]], da' [[Campi Flegrei]], pieni ancor, quasi, d'una voce romana, alle arse terre di [[Resina]] e di [[Ercolano]]. E quest'arte fu nuova da prima per le nuove cose che ritrasse e poi per l'anima di esse che vibrò, piena di vita e di calore, nelle opere dell'artista. Egli era entusiasta, ma era pure scrupoloso; egli era poeta, ma poneva mente al suo metro; egli era, in una parola, un fiammingo rinnovellato, e rimeditante, con amor non più freddo, sotto un cielo sempre sorridente, al cospetto di una natura sempre gioconda e svariata. (pp. 954-955)
*La [[fotografia]] non ancora, e per fortuna, poteva in {{sic|quelli}} anni sovvenire, con la sua chimica facile e pronta, a' bisogni degli artisti. Nata ''da un raggio e da un veleno'' questa è un'altra arte la cui concessiva virtù oramai si rende complice del poco pensiero, e aiuta, compiacente, ogni più pigro artefice ad allontanar dalle tele quell'aura di mistero e di poesia {{sic|secreta}} e personale che lì soltanto può soffiare l'arte vera. (p. 962)
*Una esecuzione febbrile, una mano che obbediva alle più ricercate volontà dello sguardo, un lasciar palesi, nell'impasto delle tinte prodigiose, i più minuti dettagli, una colorazione sana, vergine di qualunque falsità, una sapiente conquista d'effetti e di luce, ecco, in breve, quel che a uno sguardo assaporatore presentava [[Giacinto Gigante]], co' suoi interni di chiese, coi suoi brani di paese, con le sue limpide e ariose vedute. (pp. 967-968)
*{{NDR|Giacinto Gigante}} Uno strano uomo: la sua casa era piena di colombi; spesso egli dipingeva con qualcuna delle innocenti bestiole appollaiate sugli omeri e spesso una grande lucertola verde gli veniva a mangiare le miche di pan fresco sulla tavola sparsa di colori, di pennelli, di disegni.<ref>Citato in Francesco Bruno, ''Il Decadentismo in Italia e in Europa'', a cura di Elio Bruno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, p. 103. ISBN 88-8114-727-0</ref>( p. 968)
===[[Explicit]]===
Tra l'accademia e il {{sic|costoro verismo}}<ref>Il verismo di Domenico Morelli e [[Filippo Palizzi]]. {{cfr}} ''La Scuola di Posillipo'', p. 971.</ref>quella schiera di paesisti pose, tuttavia, qualche segno non fuggevole. Ella vi pose la naturalezza dell'impressione, la verginità dell'espressione, la schiettezza del colorito, l'efficacia e la sobrietà. Né si dica che quelli artisti rimasero, nella contemplazione della della natura, solamente oggettivi: un qualunque paesaggio è sempre uno stato dell'anima, ogni filo d'erba ha la sua storia. E attraverso le ardite forme veristiche di quella poesia tonica e fortificante, forse è passata, per raggiungere vette più sublimi, la poesia [[Domenico Morelli (pittore)|morelliana]], penetrata di terrore e di pietà.
 
=='' 'O voto''==
===[[Incipit]]===
Atto primo<br>''Scena prima''<br>''Al levarsi della tela è un gran movimento nella piazzetta. Davanti alla bottega di'' Vito Amante ''si affolla la gente e si pigia per guardarvi''. [...] ''Come la tela si leva'' Nunziata, ''che si trae dietro la ragazzetta'' Teresina, ''le parla in fretta davanti alla scena. La gente continua a sopraggiungere dai vicoli, è a chiosare, e a fermarsi''.<br><br>'''Nunziata''': (''a Teresina'') Va, curre| È capito? Addà don Liborio 'o farmacista, 'a vutata d' 'o vico! Duie solde 'e mistura d' 'e quatte sceruppe...<br>'''Teresina''': (''lasciando cadere i due soldi nel bicchiere'') Duie solde 'e mistura?...<br>'''Nunziata''': D' 'e quatto sceruppe! (''Teresina via, correndo. Nunziata le grida appresso:'') Addù don Liborio!...<br>'''Sufia''': (''fermandola pel braccio'') Nunzià, ch'è stato?<br>'''Nunziata''': È benuta na cosa a don Vito 'o tintore... Premmettete...<br>(''Corre alla tintoria'').
 
===Citazioni===
*'''Vito''': (''con voce piena d'emozione'') Ah, Giesù Cristo mio! (''Si sberretta. Tutti si sberrettano. Le donne fanno gruppo. Gente alle finestre. Quelle della mala casa si schiudono e qualche figura appare di sotto le persiane.'') Io a vuie mm'arraccumanno!... (''Cade lentamente in ginocchio. A uno a uno tutti si piegano o s'inginocchiano. Appare, in questo, dal vicolo a destra, donn'Amalia, s'arresta, sorpresa, e ascolta.'') Io a te mm'arraccumanno cull'ànema e c' 'o cuorpo! Tu mm' aie da scanzà, tu mm'aie libberà, e p' 'e patimente ca 'e patuto e pe sta curona 'e spine... (''levandosi risoluto, il braccio teso verso il Cristo, il berretto nella mano''). Io te faccio 'o voto 'e levà na femmena d' 'o peccato! (p. 18-19)
*L'invito è na cosa e l'interesse è n' ata. (p. 72)
 
==''Per la storia del brigantaggio nel Napoletano''==
===[[Incipit]]===
Qualche mese fa, discorrendo in caffè col dottor Penta, uno de' più valorosi e perspicaci psichiatri ch'esercitano a Napoli la loro illuminata professione, egli, a un punto, mi mostrò – l'aveva avuta proprio in quel giorno – la suggestiva pubblicazione del capitano Eugenio Massa, intitolata ''Gli ultimi briganti della Basilicata'' e peculiarmente dedicata a' due famosi banditi [[Carmine Crocco|Crocco]] e Caruso.<br/>
- Ecco Crocco – mi diceva il Penta, puntando l'indice sul ritratto del feroce brigante, posto, con quello del Caruso, a fronte del libro. – L'ho conosciuto a Santo Stefano, nel 1886, e l'ho, come si dice, pur intervistato laggiù. Ricordo d'aver guardato ne' registri di quel Bagno Penale e d'avervi letto, a proposito di lui, ch'egli era stato condannato alla galera a vita per non meno di settantaquattro reati, tra omicidii, grassazioni, ricatti ''et similia''.
 
===Citazioni===
*Il brigantaggio del novantanove fu dunque veramente politico. Furono veramente e studiatamente assoldati nelle file de' realisti que' banditi che poco prima avevano tenuto la prigione o le selve: un fondo pittoresco disegnò, in seguito, a ridosso di quelle figure quasi eroiche, la facile immaginativa de' romanzieri; Fra Diavolo percorse, nel suo costume schilleriano, non pur tutte le Calabrie e la Puglia, ma tutta la letteratura del secolo nuovo. E col ripristinato governo, che quasi rifaceva a suo profitto e in sua difesa le coscienze e i caratteri, ebbe gloria cavalleresca e ammirazione e vanto illustrativo fin nelle più piccole borgate, ove ogni bella contadina sognava d'esser rapita dall'irresistibile cavaliero e portata a dosso del suo cavallo focoso.
*Le condizioni economiche de' contadini del Napoletano intorno al 1860 erano tali, ripeto, da quasi giustificare gli eccessi briganteschi: l'uomo della campagna era un ilota malamente remunerato, oppresso dalla fatica perenne e dura, maltrattato, roso dall'usura e dall'odio.
 
==Poesie==
Line 51 ⟶ 84:
===Citazioni sull'arietta ''Arillo''===
*L'autunno darà i suoi colori d'addio all'ultimo dei più puri canti di Salvatore Di Giacomo: la piccola ode al grillo «animaluccio cantatore» la cui voce va mutando d'attimo in attimo il suo spazio vocale. Un'altra malinconia – dice il poeta –, quella di autunno, cade nell'anima. E certo questa caduta è il senso digiacomiano della morte. Dove canta il grillo? nell'erba bagnata sotto la fonte? in una fenditura allo spigolo di un muro? o forse tra una «testa d'aruta» e un'altra «testa» di fiori?<br/>''Sera 'e settembre — luna settembrina, | ca 'int' 'e nnuvole nere | t'arravuoglie e te sbruoglie |e 'a parte d' 'a marina | mo faie luce e mo no — | silenzio, nfuso | quase 'a ll’ummedità — | strata addurmuta, | (ca cchiù scura e sulagna | quase s'è fatta mo, | e ca sento addurà | comm'addorano 'e sera | cierti strate 'e campagna) — | arillo, | ca stu strillo, | mme faie dint' 'o silenzio | n'ata vota sentì... | Zicrì! Zicrì! | Zicrì!''<br>Quanto alta si è levata questa musica dimessa e sottovoce! una mestizia panica è ora nel canto, e l'arte affina il metro a tal nuova pronunzia che le sillabe si iscrivono in un ideal pentagramma: e sempre più la voce s'è fatta pura, come incavandosi nella sostanza del silenzio. Gli strumenti di Piedigrotta son dunque sonati dagli angeli-musici del [[Beato Angelico]]? e le [[Muse]] del Parnaso [[Raffaello Sanzio|raffaellesco]] cantano gioiose la canzone e l'arietta napoletana di Salvatore Di Giacomo. ([[Francesco Flora]])
 
=='' 'O voto''==
===[[Incipit]]===
Atto primo<br>''Scena prima''<br>''Al levarsi della tela è un gran movimento nella piazzetta. Davanti alla bottega di'' Vito Amante ''si affolla la gente e si pigia per guardarvi''. [...] ''Come la tela si leva'' Nunziata, ''che si trae dietro la ragazzetta'' Teresina, ''le parla in fretta davanti alla scena. La gente continua a sopraggiungere dai vicoli, è a chiosare, e a fermarsi''.<br><br>'''Nunziata''': (''a Teresina'') Va, curre| È capito? Addà don Liborio 'o farmacista, 'a vutata d' 'o vico! Duie solde 'e mistura d' 'e quatte sceruppe...<br>'''Teresina''': (''lasciando cadere i due soldi nel bicchiere'') Duie solde 'e mistura?...<br>'''Nunziata''': D' 'e quatto sceruppe! (''Teresina via, correndo. Nunziata le grida appresso:'') Addù don Liborio!...<br>'''Sufia''': (''fermandola pel braccio'') Nunzià, ch'è stato?<br>'''Nunziata''': È benuta na cosa a don Vito 'o tintore... Premmettete...<br>(''Corre alla tintoria'').
 
===Citazioni===
*'''Vito''': (''con voce piena d'emozione'') Ah, Giesù Cristo mio! (''Si sberretta. Tutti si sberrettano. Le donne fanno gruppo. Gente alle finestre. Quelle della mala casa si schiudono e qualche figura appare di sotto le persiane.'') Io a vuie mm'arraccumanno!... (''Cade lentamente in ginocchio. A uno a uno tutti si piegano o s'inginocchiano. Appare, in questo, dal vicolo a destra, donn'Amalia, s'arresta, sorpresa, e ascolta.'') Io a te mm'arraccumanno cull'ànema e c' 'o cuorpo! Tu mm' aie da scanzà, tu mm'aie libberà, e p' 'e patimente ca 'e patuto e pe sta curona 'e spine... (''levandosi risoluto, il braccio teso verso il Cristo, il berretto nella mano''). Io te faccio 'o voto 'e levà na femmena d' 'o peccato! (p. 18-19)
*L'invito è na cosa e l'interesse è n' ata. (p. 72)
 
==''Assunta Spina''==
===[[Incipit]]===
Atto primo<br>
Interno della grande sala del Tribunale penale, a Castelcapuano.<br>''Scena prima''<br>''La folla. Ai loro posti gli uscieri'' Sueglia ''e'' Torelli. ''Avvocati che sopraggiungono. L'avvocato'' Buffa. ''Portieri. Guardie. Un prete. Contadini ecc. Gran mormorio. Tutto il parlato e il movimento seguono in fretta''.<br>'''Avvocato primo''': (''viene dalla destra, con carte sotto il braccio, frettoloso. S'incontra con l'Avvocato secondo.'')<br>Avvocato Franceschelli, noi siamo qua!<br>'''Avvocato secondo''': Oh! Carissimo ! Dunque? C'è motivo?<br>'''Avvocato primo''': Altro! Ce ne stanno dduie. Siamo a cavallo!<br>'''Avvocato secondo''': Ah, neh? E ghiate dicenno... (''Gli si mette a fianco. movono verso la sinistra'').<br>'''Avvocato primo''': Ecco qua: sulla prima posizione c'è la mancanza di presentazione di parte...<br>'''Avvocato primo''': Benissimo!
 
===Citazioni===
*'''Federigo''': Sapete chi è veramente libero, felice, padrone di se stesso? Chi nun è nzurato. {{NDR|Chi non è sposato}} (p. 146)
 
==''La Scuola di Posillipo''==
*[[Napoli|Qui]] si {{sic|offeriva}} all'occhio incantato dell'artista avvezzo alle sue brume e alla quasi geometrica fisionomia delle sue campagne una brillante, svariata, colorita distesa di verde: qui, rilevate da un cielo puro e sereno, chiome di boscaglie, pendici erte e bizzarre, rovine di templi disegnate con precisa linea sull'orizzonte e quasi librate nell'aria; qui, all'improvviso, inaspettate tenerezze di verde, biancheggianti casette in mezzo ad esse, orti e giardinetti, battaglie gioconde di sole e di ombre, e riposti cantucci adorabili, solitarii, odorosi; e più giù, più giù, al mare, acque chiare e tranquille, ed antri e specchi virgiliani, pieni d'un cullante mormorio di flutti. L'arte del [[Anton Sminck van Pitloo|Pitloo]] rampollò dunque da quest'incantamento perenne che lo penetrava da [[Paestum|Pesto]] a [[Gaeta]], da' [[Campi Flegrei]], pieni ancor, quasi, d'una voce romana, alle arse terre di [[Resina]] e di [[Ercolano]]. E quest'arte fu nuova da prima per le nuove cose che ritrasse e poi per l'anima di esse che vibrò, piena di vita e di calore, nelle opere dell'artista. Egli era entusiasta, ma era pure scrupoloso; egli era poeta, ma poneva mente al suo metro; egli era, in una parola, un fiammingo rinnovellato, e rimeditante, con amor non più freddo, sotto un cielo sempre sorridente, al cospetto di una natura sempre gioconda e svariata. (pp. 954-955)
*La [[fotografia]] non ancora, e per fortuna, poteva in {{sic|quelli}} anni sovvenire, con la sua chimica facile e pronta, a' bisogni degli artisti. Nata ''da un raggio e da un veleno'' questa è un'altra arte la cui concessiva virtù oramai si rende complice del poco pensiero, e aiuta, compiacente, ogni più pigro artefice ad allontanar dalle tele quell'aura di mistero e di poesia {{sic|secreta}} e personale che lì soltanto può soffiare l'arte vera. (p. 962)
*Una esecuzione febbrile, una mano che obbediva alle più ricercate volontà dello sguardo, un lasciar palesi, nell'impasto delle tinte prodigiose, i più minuti dettagli, una colorazione sana, vergine di qualunque falsità, una sapiente conquista d'effetti e di luce, ecco, in breve, quel che a uno sguardo assaporatore presentava [[Giacinto Gigante]], co' suoi interni di chiese, coi suoi brani di paese, con le sue limpide e ariose vedute. (pp. 967-968)
*{{NDR|Giacinto Gigante}} Uno strano uomo: la sua casa era piena di colombi; spesso egli dipingeva con qualcuna delle innocenti bestiole appollaiate sugli omeri e spesso una grande lucertola verde gli veniva a mangiare le miche di pan fresco sulla tavola sparsa di colori, di pennelli, di disegni.<ref>Citato in Francesco Bruno, ''Il Decadentismo in Italia e in Europa'', a cura di Elio Bruno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, p. 103. ISBN 88-8114-727-0</ref>( p. 968)
===[[Explicit]]===
Tra l'accademia e il {{sic|costoro verismo}}<ref>Il verismo di Domenico Morelli e [[Filippo Palizzi]]. {{cfr}} ''La Scuola di Posillipo'', p. 971.</ref>quella schiera di paesisti pose, tuttavia, qualche segno non fuggevole. Ella vi pose la naturalezza dell'impressione, la verginità dell'espressione, la schiettezza del colorito, l'efficacia e la sobrietà. Né si dica che quelli artisti rimasero, nella contemplazione della della natura, solamente oggettivi: un qualunque paesaggio è sempre uno stato dell'anima, ogni filo d'erba ha la sua storia. E attraverso le ardite forme veristiche di quella poesia tonica e fortificante, forse è passata, per raggiungere vette più sublimi, la poesia [[Domenico Morelli (pittore)|morelliana]], penetrata di terrore e di pietà.
 
==''Storia del Teatro San Carlino''==
Line 83 ⟶ 92:
*{{NDR|[[Antonio Petito]]}} L'attore era veramente grande, la sua figura illuminava tutta la scena, riempiva tutti i vuoti, raccoglieva tutte le emozioni e gli interessamenti; così le volgari stupidaggini della commedia petitiana e il suo difetto d'umanità scomparivano in un godimento che pervadeva tutto il pubblico e durava ancor fuori del teatro: una felicità che accompagnava fino a casa gli spettatori, e lasciava ancora sorridere, nel sonno, le loro labbra dischiuse. (p. 904)
*L'epoca del piccone cominciò {{sic|a'}} 6 di maggio del 1844, e dopo qualche mese non rimaneva più, al posto del teatro, se non un cumulo di pietre. Su quelle rovine pianse, lungamente, tutta Napoli, memore delle ore deliziose passate in quel torrido fosso, tenera de' ricordi quasi classici che quel teatro avea tramandati, con la storia sua e de' suoi comici e dei suoi frequentatori, in tre o quattro generazioni partenopee. Spariva, difatti, un monumento napoletano, l'Eldorado della gaiezza spariva e la improvvisa e insospettata soppressione era lamentata qui come da per tutto, poi che erano state accessibili a tutti le forme comiche nostrane e nel teatrino di ''[[Teatro San Carlino|San Carlino]]'' era stata internazionale la risata. (p. 914)
 
===[[Explicit]]===
Se v'è cosa bella ed alta e onorevole questa è l'[[arte]] davvero. Ed ella non accoglie fratellanze volgari, non tollera ammonimenti insinceri, non s'adombra per voci petulanti.<br>Se arte è – da sola vive, s'esalta e s'illumina.
Line 90 ⟶ 98:
===[[Incipit]]===
L'idea d'occuparmi delle antiche taverne di [[Napoli]] mi nacque, recentemente, nella queta e pittoresca casa d'un vecchio e illustre artista napoletano, il commendatore don [[Consalvo Carelli]], nestore de' pittori suoi concittadini e operoso, immaginoso, fervente e vibrante come il più giovane di costoro. È al Carelli che ''Napoli nobilissima'' ed io dobbiamo gli acquerelli i quali coloriscono, nella parte più vicina a noi, questo mio scritto di topografia aneddotica: nessuno, meglio di lui, avrebbe potuto illustrarlo con più autentici documenti e, a un tempo, con maggior grazia di tratto e di spirito grafico. Nel professarmi pubblicamente tenuto al chiaro uomo – l'unico superstite di quella scuola famosa che fu detta ''di Posillipo'' – entro subito in materia.
 
===Citazioni===
*Gli ''smargiassi'', guappi del tempo, con l'''alberuzzo'' di teletta sulle spalle, con ''cosciali'' e calze di ''stamma'' legate con ''cioffe'' e ''sciscioli'', col cappello impennacchiato e ricco di ''passavolanti'' si pigliavano a braccetto or le donne or gli amici soldati e in comitiva si scantonava laggiù al ''Crispano'', ove di tra la verde rete d'un pergolato brillavano fiammelle di lucerne appese e di ''parattelle'' – (ch'erano scodellette piene di sego nel quale si reggeva un grosso stoppaccio acceso) – illuminazione primitiva di cui si giovavano pur i teatri, specie per le ribalte. (p. 33)
 
==''Per la storia del brigantaggio nel Napoletano''==
===[[Incipit]]===
Qualche mese fa, discorrendo in caffè col dottor Penta, uno de' più valorosi e perspicaci psichiatri ch'esercitano a Napoli la loro illuminata professione, egli, a un punto, mi mostrò – l'aveva avuta proprio in quel giorno – la suggestiva pubblicazione del capitano Eugenio Massa, intitolata ''Gli ultimi briganti della Basilicata'' e peculiarmente dedicata a' due famosi banditi [[Carmine Crocco|Crocco]] e Caruso.<br/>
- Ecco Crocco – mi diceva il Penta, puntando l'indice sul ritratto del feroce brigante, posto, con quello del Caruso, a fronte del libro. – L'ho conosciuto a Santo Stefano, nel 1886, e l'ho, come si dice, pur intervistato laggiù. Ricordo d'aver guardato ne' registri di quel Bagno Penale e d'avervi letto, a proposito di lui, ch'egli era stato condannato alla galera a vita per non meno di settantaquattro reati, tra omicidii, grassazioni, ricatti ''et similia''.
 
===Citazioni===
*Il brigantaggio del novantanove fu dunque veramente politico. Furono veramente e studiatamente assoldati nelle file de' realisti que' banditi che poco prima avevano tenuto la prigione o le selve: un fondo pittoresco disegnò, in seguito, a ridosso di quelle figure quasi eroiche, la facile immaginativa de' romanzieri; Fra Diavolo percorse, nel suo costume schilleriano, non pur tutte le Calabrie e la Puglia, ma tutta la letteratura del secolo nuovo. E col ripristinato governo, che quasi rifaceva a suo profitto e in sua difesa le coscienze e i caratteri, ebbe gloria cavalleresca e ammirazione e vanto illustrativo fin nelle più piccole borgate, ove ogni bella contadina sognava d'esser rapita dall'irresistibile cavaliero e portata a dosso del suo cavallo focoso.
*Le condizioni economiche de' contadini del Napoletano intorno al 1860 erano tali, ripeto, da quasi giustificare gli eccessi briganteschi: l'uomo della campagna era un ilota malamente remunerato, oppresso dalla fatica perenne e dura, maltrattato, roso dall'usura e dall'odio.
 
==[[Incipit]] di alcune opere==
===''A «San Francisco»''===
La tela si leva lentamente. Quando è a metà del palcoscenico s'ode una voce interna cantare malinconicamente da un altro camerone.<br>
''Rafele'' e ''Cicciariello'', seduti sulle tavole di un letto, giocano a carte e fumano.<br>
''Federico 'o pittore'' e ''Totonno'' seggono sulle tavole di un altro letto: il secondo stende il braccio destro denudato e il primo glie lo va tatuando con un ago e col nerofumo. Il ragazzo ''Luigiello'', accosto ad essi, osserva curiosamente l'operazione.<br>
''Don Gennaro 'o cusetore'' è occupato a scrivere, con la matita, de' numeri in un libriccino. Siede sulle tavole del primo letto a sinistra dello spettatore.<br>
Steso sul suo letto, col capo poggiato sui materassi ravvoltolati, ''Peppe Pazzia'' dorme. Sotto al suo letto è una brocca, tra un fiasco di vino e un paio di scarpe.<br>
È sera. Tutti tacciono.
<poem>'''La voce interna''': ''A San Francisco''
''mo' sona 'o risveglio,''
''chi dorme e chi veglia,''
''chi fa nfamità!...''</poem>
'''La voce interna di un carceriere''': Silenzio!... (''e al tempo stesso s'ode un romore come di porta alla quale si batta violentemente'').
 
===''L'ignoto''===
Sul ''Piazzale di Porta Roma'' erano poche persone. Era deserta la via del laboratorio pirotecnico, deserta la via di faccia ad essa, ove, sul principio, è la semplice e nuda fabbrica dell'Arcivescovado a cui seguono altre fabbriche basse e la ''Riviera Casilina'', recinta da una fila di casette rossastre.<br>
Line 112 ⟶ 123:
CARISSIMO PAOLO,<br>
Io non ho, qui a Napoli, con chi sfogare certe mie piccole pene, che mi pare abbiano tutta la buona intenzione di rimanersene meco alloggiate, in questa cameretta mia solitaria. Non ho stretto amicizia con nessuno, apposta per non dare a nessuno il modo di subitamente allontanarsi da me per qualche improvvisa scappatella che mi facesse il morboso carattere mio. Vivo solo e tranquillo in questa mia stanza, dalla quale esco a prima ora di mattina per trovarmi all'Istituto, e un po' a sera, col tempo buono, per avvelenarmi con una chicchera di caffè e con un sigaro ''napoletano''. Il [[caffè]], per acquaccia nera che sia, mi permette di studiare e di leggere fino a notte avanzata, e ciò mi fa bene, lasciandomi dimenticare, sviando il pensiero e interessandomi a qualche cosa ''fuori di me stesso''.
 
===''Novelle Napolitane''===
Giugno mite, dolcissimo, avea sorriso alle cose con l'ultima sua tepida giornata. Il piccolo vecchio sedeva in una pur vecchia poltrona ancora pienotta, nell'angolo della finestra. Le mani carezzavano i pomi dei bracciuoli; leggermente china la testa sul petto, gli occhi socchiusi, egli era vinto da un languore, nella rosea poesia del tramonto.
 
==Citazioni su Salvatore Di Giacomo==
Line 125 ⟶ 139:
 
==Bibliografia==
*AA. VV, ''Napoli ieri'', Edizioni S.a.r.a. .
*Salvatore Di Giacomo, ''[https://www.gutenberg.org/files/35800/35800-h/35800-h.htm A «San Francisco»]'', R. Carabba editore, 1910.
*Salvatore Di Giacomo, ''[http://www.liberliber.it/libri/d/di_giacomo/index.htm L'ignoto]'', Lanciano, R. Carabba, 1920.
*Salvatore Di Giacomo, ''La Scuola di Posillipo'', in ''Poesie e prose'', prefazione di [[Elena Croce]], note all'edizione e cronologia a cura di Lanfranco Orsini, note ai testi, note e bibliografia a cura di Lanfranco Orsini, glossario a cura di Lanfranco Orsini, Mondadori, I Meridiani, 2007, pp. 951-971. ISBN 88-04-13499-2</ref>
*Salvatore Di Giacomo, ''[http://www.liberliber.it/libri/d/di_giacomo/index.htm Mattinate napoletane]'', Napoli, L. Pierro, 1887.
*AA. VV, ''Napoli ieri'', Edizioni S.a.r.a. .
*Salvatore Di Giacomo, '' 'O voto'', Oscar Mondadori, Milano 1966.
*Salvatore Di Giacomo, ''[https://archive.org/details/collezionedimono32berg Napoli]'', parte prima, Istituto italiano d'arti grafiche - editore, Bergamo, 1907.
*Salvatore Di Giacomo, ''[https://www.gutenberg.org/files/57040/57040-h/57040-h.htm Novelle Napolitane]'', Treves, 1919.
*Salvatore Di Giacomo, '' 'O voto'', Oscar Mondadori, Milano 1966.
*Salvatore Di Giacomo, ''Per la storia del brigantaggio nel Napoletano'', Osanna Edizioni, 1990.
*Salvatore Di Giacomo, ''Storia del Teatro San Carlino'', cap. VIII, IX, X, in ''Poesie e prose'', prefazione di Elena Croce, note all'edizione e cronologia a cura di Lanfranco Orsini, note ai testi, note e bibliografia a cura di Lanfranco Orsini, glossario a cura di Lanfranco Orsini, Mondadori, I Meridiani, 2000<sup>7</sup>, pp. 833-916. ISBN 88-04-13499-2