Zygmunt Bauman: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Zygmunt Bauman==
*Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell'azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell'ingiusto, e così via. Nell'idea dell'armonia e del consenso universale, c'è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine questa è un'idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali. Probabilmente dobbiamo riconsiderare come incurabile la [[diversità]] del modo di essere umani.<ref>Dall'intervista di Luciano Minerva, ''RaiNews24'', 2003. Riportata su ''[http://www.sitocomunista.it/cultura/articoli/societaliquida.html SitoComunista.it]''.</ref>
*L'attenzione verso il [[corpo]] si è trasformata in una preoccupazione assoluta e nel più ambito passatempo della nostra epoca. (da<ref>Da ''La società dell'incertezza'').</ref>
*L'estensione della responsabilità di cui «La società del rischio» ha bisogno e di cui non può fare a meno se non al costo di esiti catastrofici non può essere argomentata o favorita nei termini che sono più comuni e approvati nel nostro tipo di società: quelli dello scambio equo e della reciprocità dei benefici. Qualunque altra cosa si vuole che sia la morale cercata, dev'essere prima di tutto un'etica dell'''autolimitazione''.<ref>Da ''Le sfide dell'etica'', Feltrinelli, Milano, 1996, p. 224.</ref>
*La nostra [[vita]] è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all'altezza della sfida. L'[[incertezza]] è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una [[felicità]] «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso. (da<ref>Da ''L'arte della vita'', trad. it., Bari, 2009).</ref>
*Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l'autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono. Il "[[progresso]]", un tempo la manifestazione più estrema dell'ottimismo radicale e promessa di felicità universalmente condivisa e duratura, si è spostato all'altra estremità dell'asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso "progresso" sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è diventato una sorta di "gioco delle sedie" senza fine e senza sosta, in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione irrevocabile. Invece di grandi aspettative di sogni d'oro, il "progresso" evoca un'insonnia piena di incubi di "essere lasciati indietro", di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un veicolo che accelera in fretta. (da<ref>Da ''Modus vivendi'', Laterza, 2008).</ref>
*In ogni Paese, ormai la popolazione è una somma di diaspore.<ref>Citato in AA.VV., ''Il libro della sociologia'', traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 140. ISBN 9788858015827</ref>
*La 'comunità' è ormai un altro nome del paradiso perduto.<ref name=AAVV>Citato in AA.VV., ''Il libro della sociologia'', traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 143. ISBN 9788858015827</ref>
*Lo [[Stato]] si priva di una sempre più grande dose della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l'insieme delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l'entusiasmo degno di una causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti che sono vitali per il funzionamenti e il futuro della società sfuggono alla supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l'idea stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe fallita.<ref name=esp/>
*Nella moderna vita liquida mpm esistono legami permanenti, e quelli che stringiamo... devono essere allentati per poter essere sciolti... quando cambiano le circostanze.<ref>Citato in AA.VV., ''Il libro della sociologia'', traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 142. ISBN 9788858015827</ref>
*Oggi, il modo con cui guadagniamo i mezzi per vivere, i valori della professionalità, la valutazione che la società dà alle virtù e ai successi, i legami intimi e i diritti acquisiti, tutto questo è fragile, provvisorio e soggetto alla revoca. E nessuno sa quando e da dove arriverà il colpo fatale. Mentre i nostri antenati sapevano bene che occorreva avere paura di lupi affamati o dei banditi sui cigli delle strade. Non è quindi l'astrazione a rendere i pericoli in apparenza più gravi, ma la difficoltà di collocarli, e quindi di evitarli e di controbatterli.<ref name=esp>Da ''In questo mondo di lupi'', intervista a Wlodek Goldkorn, ''L'espresso'', anno LIII, n. 52, 3 gennaio 2008, pp. 93 sg.</ref>
*Sarebbe bello poter pensare che la nostra civiltà proceda verso il regno di ragione e delle moralità, seppure con qualche incidente di percorso. Ma non è così, purtroppo. Alcuni osservatori coltissimi sostengono che le impertinenti ambizioni della [[modernità]] sono cominciate con lo choc causato dal terremoto a Lisbona (nel 1755, ne ha dedicato pagine memorabili Voltaire, ndr): una natura cieca, priva di ogni razionalità, indifferente alle distinzioni tra virtù e peccato tra merito e colpa, colpisce a casaccio. Occorre quindi arginare la forza degli elementi, costringere la natura ad adoperare le categorie del bene e del male. E con l'ausilio della ragione e della tecnica l'umanità darà un ordine morale a un caos amorale. [...] I risultati sono diversi dalle intenzioni. Non siamo riusciti a convincere la natura a ubbidire all'immaginazione umana di pregi e difetti. Però le conseguenze delle nostre azioni, ineccepibili dal punto di vista tecnico, ci colpiscono con una crudeltà irrazionale, crudeltà che finora attribuivamo proprio e solo alla natura.<ref name=esp/>
*Se il valore è definito dalle cose che si acquisiscono... l'esclusione è umiliante.<ref name=AAVV/>
*Lo [[Stato]] si priva di una sempre più grande dose della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l'insieme delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l'entusiasmo degno di una causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti che sono vitali per il funzionamenti e il futuro della società sfuggono alla supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l'idea stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe fallita.<ref name=esp/>
*Viviamo in un mondo sempre più globalizzato. Questo significa che tutti noi, consapevolmente o meno, dipendiamo gli uni dagli altri.<ref>Citato in AA.VV., ''Il libro della sociologia'', traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 141. ISBN 9788858015827</ref>
 
{{intestazione|Nascono sui confini le nuove identità, Corriere della Sera, 24 maggio 2009}}