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*“Diario minimo di due estati in una (''Estate, molle stagione / di cocomeri e baci''), le poesie di Gullo si traducono in una sorta di elogio della stasi e della lentezza, dell’inerzia e del torpore. Un io negato (o meglio “sgovernato”) che muove passi di lumaca catturando “calmeria di ozi” e “largheria di vedute”. Ma soprattutto una cifra ironica e lieve. Giochi di lettera e di parola, rime argute, lessico estroso, musicalità metastasiana per un canto che “scarroccia” tra dolcezza e volubilità.” <ref>citato in Giovanni Tesio, ''Lillo Gullo, Elogio della stasi e della lentezza, sull’inerzia'', ''La Stampa-tuttoLibri'', 10 settembre 2005</ref>
 
*“È un canto di radice mediterranea, lirico e moderno a un tempo, schiuso al rapimento d’incanto dell’oggetto cantato: “ Ed ecco, il germoglio: / rinnovellata materia / che nella crepa s’avanza. // Poi vorrà ergersi spiga / per ondeggiare al vento: / e tingersi di biondo / per rivaleggiare con l’oro”. Gullo canta anche scene e personaggi dddi paese – le donne “stradalinghe”, il barbiere arbitro dei pettegolezzi locali, venditori e sensali; o il violinista orbo che “pregava con i sette coltelli delle note / e con occhi che somigliavano a denti / ed era come se scuoiasse satanassi”… Assieme alla plaquette poetica Gullo ha pubblicato, sempre per i tipi di Nicolodi, un volumetto di aforismi, ''Labbreggiature'', con disegni di Giuseppe Maraniello.” <ref> citato in Enrico Grandesso, ''Il Mediterraneo cantato da Lillo Gullo miniaturista'', ''Avvenire'', 18 luglio 2008 </ref>
 
*“Gullo aforista-poeta sfiora ma non tocca. Più che la sentenza che marchia a fuoco o il motto che aspira alla proverbialità, gli si addice l’allusione e il non detto. In un mondo che affoga nelle parole, la parsimonia del linguaggio è necessaria: “Imbrattare un foglio candido: / scrivere, in fondo, / è il gesto di un vandalo”. <ref> citato in Giampiero Cinque, rubrica ''Novità in libreria'', ''Giornale di Sicilia'', 22 marzo 2008</ref>
 
*“Lillo Gullo è maestro di parola, figlio della tradizione grandissima di Sicilia... è bello leggere Gullo, le sue parole rare, ad esempio: ziri, sodaglie, chiotte, pittavano, tiraloro, carusi, stradalinghe, ingrommato, cirneco, fercolo, giummi, mustazzi, squieto, aquilonare, moltiplicanza, cògnito e pelargonio. Per sei ottavi, certo, si tratta di sicilianismi ma nel resto si trova il coraggio che è dei grandi scrittori di forgiare parole nuove... Si tratta di un’enfasi, creativa e antica, una voglia immane di fondere parole, di accostarle, farle suonare e distenderle... Lillo Gullo (le tante elle del nome già di per sé fanno poesia, bel suono, e fa poesia il nome del suo paese natale, pensate, Aliminusa) sa scrivere “bellissimo”, dalla pausa al respiro. E sa del senso che sfugge (dei nostri giorni) e della parola che scava in noi sagome di rimorsi. Ma il poeta, in lui, arriva prima della passione. E agogna. O subito dopo, e la acquieta nella malinconia del ricordo. O del rimorso. Sensazione ed emozione composta col bulino. Come odorare le zagare senza riversare su quei fiori la propria compagnia. Una poesia che è fatta soprattutto di parole, ma quando trovi il rigo della malinconia, nel ricordo o nel dolore definitivo della vita, allora il verso di Gullo si fa roncola che toglie il fiato al pensiero. E l’affanna.” <ref>citato in Renzo M. Grosselli, ''Siculo, remoto, caldo Gullo'', ''l’Adige'', 20 giugno 2007</ref>