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===Citazioni===
*Le ragioni per cui i giovani intellettuali che hanno guidato le formazioni Giustizia e Libertà dedicano a [[Ferruccio Parri|Parri]], nome di battaglia «Maurizio», una sorte di venerazione, sono molteplici e si riconducono al concetto di uomo completo che in lui sembra incarnato: è uomo di coraggio che ha guadagnato in guerra due medaglie d'argento; è uomo di cultura moderna che negli anni trascorsi durante il fascismo nell'ufficio studi della Montecatini ha seriamente studiato i problemi economici del Paese; è un antifascista quasi leggendario, ha partecipato all'evasione di Turati, è stato condannato al processo di Savona<ref>Processo celebrato nel 1927 contro gli organizzatori dell'evasione del leader socialista [[Filippo Turati]].</ref> ed è stato «Maurizio», il comandante padre dei giorni partigiani, il signore dimesso, dai capelli bianchi e dalla voce nasale che ha insegnato ai giovani qualcosa di quasi sconosciuto nell'Italia fascista e anche in quella crociana: uno humour, una capacità di modestia nell'orgoglio, di misura nella decisione tenace, diciamo una umanità inconsueta nell'Italia tribunizia e massimalista. (vol. 1, Gli anni della rinascita, p. 14)
*Il personaggio dominante del sindacalismo italiano del dopoguerra è [[Giuseppe Di Vittorio]]. Figlio di un bracciante pugliese, bracciante semianalfabeta arriva giovanissimo nell'anarcosindacalismo. Combattente nella prima guerra mondiale, ferito a Monte Zebio, si incontra poi con il gruppo torinese di Gramsci e di Togliatti e diventa uno dei dirigenti del Partito comunista seguendo la sua storia tempestosa e sinuosa, dalla lotta fronte contro fronte degli anni Trenta, con tutto il suo settarismo antisocialista, alla guerra di Spagna, al Fronte popolare, alla Resistenza. Come gli altri dirigenti del PCI Di Vittorio passa in questi anni da posizioni massimaliste a posizioni possibiliste e riformiste, ma conservando sempre un rapporto con la società reale, con i suoi bisogni, con le sue speranze, conservando sempre quel rispetto per l'uomo che lo stalinismo aveva completamente cancellato. (vol. 2, La società industriale, ppp. 70-71)
*[...] a ben pensarci l'impatto grandissimo che [[Adriano Olivetti]] e la sua fabbrica di Ivrea hanno sulla cultura italiana del dopoguerra è che in buona sostanza sono l'unico fatto veramente nuovo, che segna un distacco netto dalla cultura tradizionale italiana: la scoperta della cultura industriale anzi della civiltà industriale. (vol. 2, La società industriale, p. 224)
*Una cosa che manda in bestia la cultura tradizionale e il padronato è che Olivetti si comporta come un principe rinascimentale: invece di fermarsi agli ingegneri e ai tecnici per fabbricare macchine per scrivere, lui raccoglie attorno a sé architetti, pittori, disegnatori industriali, giornalisti, letterati perché ha fatto un'altra scoperta scandalosa per l'Italia di allora: che la libera circolazione delle idee e dei talenti è necessaria alla produzione quanto la competenza tecnica. (vol. 2, La società industriale, p. 226)