Gwynne Dyer: differenze tra le versioni

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*La [[verità]] è più strana della [[finzione]], perché la finzione deve essere plausibile. La realtà non ha questo tipo di vincoli e produce spesso eventi che in un [[romanzo]] non sarebbero mai credibili.<ref>Da ''[https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2017/10/25/mugabe-oms Mugabe non può rappresentare la buona volontà dell’Oms]'', ''Internazionale.it'', traduzione di Giusy Muzzopappa, 25 ottobre 2017.</ref>
*Le Filippine hanno ancora la forma di una democrazia, ma il presidente [[Rodrigo Duterte]] è un pagliaccio assassino.<ref>Da ''[https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2018/08/03/sudest-asiatico-democrazia La primavera asiatica è rimasta incompiuta]'', ''Internazionale.it''; traduzione di Andrea Sparacino, 3 agosto 2018.</ref>
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2014/08/04/leredita-della-prima-guerra-mondiale ''L’eredità della Prima guerra mondiale'']|2=''Internazionale.it'', 4 agosto 2014}}
*La Prima guerra mondiale fu una tragedia umana, naturalmente, ma fu anche il momento in cui la razza umana iniziò a mettere in discussione l’istituto della guerra in sé: se fosse utile, ma anche se fosse davvero inevitabile. E la risposta a entrambe le domande è: non più di tanto.
*Ciò che molte persone non capiscono della Prima guerra mondiale è che si trattò di un evento politico perfettamente normale. Sin dalla loro ascesa nel cinquecento, tutti i moderni stati centralizzati si erano combattuti tra loro in due grandi alleanze a intervalli di circa mezzo secolo. Si combatteva praticamente per tutto: confini in Europa, rotte commerciali, colonie in Asia, in Africa e nelle Americhe.
*Gli eserciti erano dieci volte più grandi che in passato, perché adesso si trattava di paesi ricchi e industrializzati che potevano permettersi di mettere in uniforme la maggioranza della loro popolazione maschile. Questo significava che i soldati che venivano uccisi erano padri, fratelli, mariti e figli: una parte della comunità, non i banditi, gli ubriaconi e gli sbandati che costituivano un’ampia parte dei vecchi eserciti di professione.
*Le nuove armi come i fucili automatici e l’artiglieria erano macchine di morte molto efficienti, e nel giro di un mese i soldati dovettero rifugiarsi nelle trincee per ripararsi dalla “tempesta d’acciaio”. Trascorsero il resto della guerra a cercare di uscire dalle trincee, e alla fine del conflitto ne erano stati uccisi nove milioni. Fu questo a cambiare tutto.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2014/09/02/il-dilemma-kagame ''Il dilemma Kagame'']|2=''Internazionale.it'', 2 settembre 2014}}
*Non è raro che i dittatori tendano a identificare i loro interessi con quelli del paese, e nemmeno che facciano uccidere delle persone. Ciò che è davvero strano è un dittatore che ha fatto uccidere parecchie persone, ma viene lodato dagli altri paesi per la sua eccellente amministrazione e ricoperto di aiuti internazionali. In questa fortunata categoria rientra il presidente [[Paul Kagame]].
*Meno della metà dei 12 milioni di ruandesi hanno vissuto in prima persona il terribile genocidio di vent’anni fa, ma il paese nel suo insieme ne è ancora ossessionato. Kagame ha governato il Ruanda per tutto questo tempo, ed è convinto di essere l’unico in grado di impedire che succeda di nuovo. Da qui alla convinzione che il suo dovere sia restare al potere con ogni mezzo necessario, compreso l’omicidio, il passo è breve.
*Kagame ha ottenuto uno straordinario tasso di crescita economica in Ruanda (una media dell’otto per cento annuo nel periodo che va dal 2001 al 2012), nella speranza che la prosperità finisse per disinnescare l’ostilità tra tutsi e hutu. Non osa però permettere lo svolgimento di elezioni libere, perché gli hutu, ancora molto attaccati alla loro identità, voterebbero contro di lui. E quasi tutti gli altri accettano il suo comportamento, perché hanno sposato la sua convinzione circa la sua indispensabilità.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2014/09/26/lafghanistan-dopo-karzai ''L’Afghanistan dopo Karzai'']|2=''Internazionale.it'', 26 settembre 2014}}
*Gli Stati Uniti non hanno invaso il paese per portare democrazia, ricchezza e femminismo all’insofferente popolo afgano. Lo hanno fatto perché alcuni tra i principali artefici dell’11 settembre sono stati autorizzati a stabilirsi nel paese da esponenti dei taliban, che ne condividevano l’ideologia religiosa.
*Alla fine il nuovo governo e il nascente sistema democratico afgano potrebbero sopravvivere e dimostrarsi adeguati alla realtà del paese. Dopo trent’anni di occupazione russa e statunitense, qualche milione di afgani ha avuto un assaggio di come si gestisce il potere nelle società post-tribali.
*L’Afghanistan è tuttora una società tribale, dunque la divisione dei poteri su base etnica potrebbe rappresentare una soluzione migliore rispetto alla politica del “chi vince piglia tutto”.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/05/19/le-radici-della-crisi-in-burundi ''Le radici della crisi in Burundi'']|2=''Internazionale.it'', 19 maggio 2015}}
*Il limite dei due mandati è diventato uno standard per le nuove democrazie che si sono instaurate in Africa negli anni novanta. Dieci anni fa 34 paesi africani hanno inserito questa clausola nelle loro costituzioni. L’obiettivo era mettere fine al fenomeno dell’“uomo forte” nella politica africana e rendere possibile un cambiamento politico pacifico. Ma non ha sempre funzionato.
*Tutti i presidenti che hanno cambiato la costituzione hanno poi vinto le elezioni. Emblematico è il caso dell’ugandese [[Yoweri Museveni]], che nel 1986 aveva dichiarato che “nessun presidente africano dovrebbe restare in carica per più di dieci anni”. Ventinove anni dopo, Museveni è ancora al potere e si prepara alle prossime elezioni.
*La sua pace fragile e la sua relativa prosperità dipendono dalla convinzione di tutti nel fatto che i massacri etnici siano ormai alle spalle.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/10/20/burkina-faso-democrazia-africa ''Il passo avanti del Burkina Faso fa bene alla democrazia africana'']|2=''Internazionale.it'', 20 ottobre 2015}}
*Il [[Burkina Faso]], uno stato dell’Africa occidentale senza sbocchi sul mare, contende alla Somalia il titolo di paese più povero del continente. Forse vi chiederete perché mai qualcuno dovrebbe volere l’ingrato compito di governare un posto del genere, ma il potere politico garantisce l’accesso alle risorse rare (come il denaro) anche nei paesi più poveri. Soprattutto se sei nell’esercito.
*Le elezioni non risolveranno tutti i problemi del Burkina Faso, ma la democrazia forse sì. Il paese ha ancora il tasso di alfabetizzazione più basso del mondo, è ancora poverissimo e la popolazione (attualmente 17 milioni di persone) sta ancora raddoppiando ogni 25 anni. Ma qualcosa sta davvero cambiando in meglio.
*Molti burkinabé sono analfabeti ma conoscono i loro diritti e non accettano più gli ordini da delinquenti armati, in uniforme, e senza opporre resistenza. Anche le istituzioni africane sono cambiate e non chiudono più un occhio quando i paesi che ne fanno parte subiscono un colpo di stato militare. Intervengono prontamente e in modo deciso, e in generale con successo.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2016/03/04/sudafrica-economia ''Il miracolo del Sudafrica è già finito'']|2=''Internazionale.it'', 4 marzo 2016}}
*Non è un crimine che Zuma sia nato povero e non sia mai andato a scuola, né che non abbia mai lavorato nel settore privato: da quando aveva 16 anni è sempre stato nel partito oggi al potere, l’African national congress (Anc). Ma è interessante che, date queste premesse, sia comunque riuscito a diventare molto ricco (ha un patrimonio di almeno venti milioni di dollari).
*È colpa di Zuma se il Sudafrica ha perso la fiducia del resto del mondo, ma non se la sua economia non cresce alla velocità sperata.
*Il Sudafrica era già un paese sviluppato quando l’apartheid è finito. Era un paese sviluppato molto particolare, con circa dieci milioni di persone che vivevano in un’economia moderna e altri trenta milioni di persone che svolgevano lavori non qualificati o vivevano d’agricoltura di sussistenza. Ma era già un paese urbanizzato e industrializzato, e quindi non poteva beneficiare della fase di crescita sostenuta di cui hanno goduto alcune grandi economie emergenti, fasi che possono presentarsi una volta sola.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2016/04/25/il-burundi-e-a-un-passo-dal-genocidio ''Il Burundi è a un passo dal genocidio'']|2=''Internazionale.it'', 25 aprile 2016}}
*È difficile dire qualcosa di positivo sull’ex presidente della Fifa Sepp Blatter. Ma l’Africa gli sarebbe stata molto riconoscente se fosse riuscito a convincere il presidente del Burundi Pierre Nkurunziza a non presentarsi per un terzo mandato e ad accettare invece il ruolo di “ambasciatore del calcio” per la Fifa.
*Nkurunziza è un appassionato di calcio e ha già messo da parte abbastanza denaro per la sua pensione. Ma ha deciso di restare al potere e presentarsi per un terzo mandato, rimettendo il Burundi in marcia verso l’inferno.
*I presidenti africani hanno due gravi difetti. Il primo è che sono convinti di essere insostituibili: nel 2000 quasi due terzi dei paesi africani prevedevano un massimo di due mandati presidenziali nelle loro costituzioni, ma da allora in dieci di questi stati i presidenti hanno cercato di abolire tale limite. [...] Purtroppo l’altro grave difetto dei presidenti africani, è che se appartengano al gruppo dominante (come spesso accade) quando sono in difficoltà la loro soluzione predefinita è rispolverare le alleanze tribali. Ed è proprio quello che sta facendo Nkurunziza. I tutsi vengono epurati dall’esercito, e i sostenitori hutu del presidente stanno cominciando a usare la stessa retorica che si sentiva prima del genocidio in Ruanda.
*Nkurunziza sta cercando di trasformare uno scontro politico che rischiava di perdere in un conflitto etnico che potrebbe vincere. Il prezzo da pagare sarebbe però un nuovo genocidio. Il futuro di tutto un paese potrebbe essere sacrificato alla sua ambizione personale.
 
{{Int|1=Da [https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2016/07/14/sud-sudan-guerra-africa ''La lunga guerra del Sud Sudan non rappresenta l’Africa'']|2=''Internazionale.it'', 14 luglio 2016}}