Charles Perrault: differenze tra le versioni
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===''Il Gatto con gli stivali''===
====Carlo Collodi====
Un mugnajo, venuto a morte, non lasciò altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto.<br>
Così le divisioni furono presto fatte: nè ci fu bisogno dell'avvocato e del notaro; i quali, com'è naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredità.<br>
Il maggiore ebbe il mulino;<br>
Il secondo, l'asino;<br>
E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto.<br>
Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte così meschina.<br>
—I miei fratelli,—faceva egli a dire,—potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune; ma quanto a me, quando avrò mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisognerà che mi rassegni a morir di fame.—<br>
{{NDR|Charles Perrault, ''Il gatto cogli stivali'', traduzione di Carlo Collodi, in "[https://www.gutenberg.org/files/24072/24072-h/24072-h.htm First Italian Readings]", a cura di Benjamin Lester Bowen, D. C. Heath & Co., 1897}}
====Adria Tissoni====
C'era un mugnaio, che aveva lasciato ai tre figli nient'altro che il mulino, un asino e un gatto. La spartizione fu ben presto fatta. Non vennero chiamati né il notaio né il procuratore. Si sarebbero subito mangiati l'intero patrimonio. Il più vecchio ebbe il mulino, il secondo l'asino e il giovane null'altro che il gatto.<br>
Il povero giovane era alquanto sconsolato per aver avuto così poco. «I miei fratelli» diceva «possono guadagnarsi da vivere abbastanza bene, unendo le loro risorse; ma, dal canto mio, quando mi sarò mangiato il gatto e mi sarò fatto un manicotto con il suo pelo, dovrò morire affamato».<br>
{{NDR|Charles Perrault, ''Il gatto con gli stivali'', traduzione di Adria Tissoni, in "Grandi storie di gatti", Armenia, 2001}}
====Federico Verdinois====
Ai tre figli che aveva un mugnaio non lasciò altro che un mulino, un somaro e un gatto. La divisione fu presto fatta senza bisogno di notaio o procuratore, che s'avrebbero mangiato essi tutto il misero patrimonio. Il maggiore ebbe il mulino, il secondo l'asino, e l'ultimo il gatto. Non si consolava questi che gli fosse toccata una così magra porzione. "I miei fratelli, diceva, potranno, mettendosi insieme, guadagnarsi onestamente la vita; per me, mangiato che avrò il gatto e fattomi della sua pelle un manicotto, bisognerà che muoia di fame"<br>
{{NDR|Charles Perrault, ''I racconti delle fate'', traduzione di Federico Verdinois, Società Editrice Partenopea, 1910}}
===''Le Fate''===
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===''Cenerentola, ovvero La pianellina di vetro''===
====Carlo Collodi====
Cera una volta un gentiluomo il quale in seconde nozze si pigliò una moglie che la più superba non s'era mai vista. Aveva costei due figlie che in tutto e per tutto la somigliavano. Dal canto suo, il marito aveva una ragazza, ma così dolce e buona che non si può dire: doveva queste qualità alla mamma, che era stata la più brava donna di questo mondo.▼
C'era una volta un gentiluomo, il quale aveva sposata in seconde nozze una donna così piena di albagia e d'arroganza, da non darsi l'eguale.<br>
Ella aveva due figlie dello stesso carattere del suo, e che la somigliavano come due gocce d'acqua.<br>
Anche il marito aveva una figlia, ma di una dolcezza e di una bontà, da non farsene un'idea; e in questo tirava dalla sua mamma, la quale era stata la più buona donna del mondo.<br>
{{NDR|Charles Perrault, ''Cenerentola'', traduzione di Carlo Collodi, in "[https://www.gutenberg.org/files/24072/24072-h/24072-h.htm First Italian Readings]", a cura di Benjamin Lester Bowen, D. C. Heath & Co., 1897}}
====Federico Verdinois====
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{{NDR|Charles Perrault, ''I racconti delle fate'', traduzione di Federico Verdinois, Società Editrice Partenopea, 1910}}
==Bibliografia==
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