Giordano Bruno: differenze tra le versioni
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Tolte tre false citazioni, in realtà frutto della fantasia letteraria della Conforto.
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*Non è dunque [[filosofia|filosofo]] se non chi immagina e riproduce.
:''Non est enim philosophus, nisi qui fingit et pingit.''<ref group="fonte">Da ''Triginta sigillorum explicatio'', sigillo XII.</ref>
*Ogni volta, infatti, che riteniamo che rimanga una qualche [[verità]] da conoscere, un qualche [[bene]] da raggiungere, noi sempre ricerchiamo un'altra verità ed aspiriamo ad un altro bene. Insomma l'indagine e la ricerca non si appagheranno nel conseguimento di una verità limitata e di un bene definito. [...] Nello stesso modo la materia particolare, sia essa corporea o incorporea, non assume mai una struttura definitiva, e non essendo paga delle forme particolari assunte in eterno, aspira nondimeno in eterno al conseguimento di nuove forme.<ref group="fonte">Dalle ''Opere latine''; citato in [[Nuccio Ordine]], ''Postfazione'', in Spampanato 1988, p. [21].</ref>
*Per ciò che si riferisce alle discipline intellettuali possa io tener lontano da me non solo la consuetudine di [[credere]], instillata da maestri e genitori, ma anche quel [[senso comune]] che in molti casi e luoghi (per quanto ho potuto giudicare io stesso) appare colpevole di inganno e di raggiro; possa io tenerli lontani in maniera da non affermare mai nulla, nel campo della filosofia, sconsideratamente e senza ragione; e siano per me ugualmente dubbie tutte le cose, tanto quelle che sono reputate astrusissime e assurde, quanto quelle che sono considerate le più certe ed evidenti, tutte le volte che vengono messe in discussione.<ref group="fonte">Dall'''Epistola dedicatoria a [[Rodolfo II d'Asburgo|Rodolfo II]]'', in ''Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos''; citato in G. Calogero e G. Radetti, ''La professione di fede di Giordano Bruno'', ''La cultura'', gennaio 1963.</ref>
*Venni, tra gli altri io, attratto dal desiderio di visitare la casa della sapienza, ardente di contemplare codesto Palladio, onde non mi vergogno d'aver sopportato la povertà, la malevolenza e l'odio dei miei, le esacrazioni, le ingratitudini di coloro ai quali volli giovare e giovai, gli effetti d'un'estrema barbarie e d'un'avarizia sordidissima; [...]. Per il che non mi duole d'esser incorso in fatiche, dolori, esilio: ché faticando profittai, soffrendo feci esperienza, vivendo esule imparai: ché trovai in breve fatica lunga quiete, in leggera sofferenza gaudio immenso, in un angusto esilio una patria grandissima.<ref group="fonte">Dall'''Oratio valedictoria'', in ''Opere latine''; citato in Nuccio Ordine, ''Postfazione'', in Spampanato 1988, p. [22].</ref>
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