Anna Maria Ortese: differenze tra le versioni

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*Come un imbuto viscido il cortile, con la punta verso il cielo e i muri lebbrosi fitti di miserabili balconi; gli archi dei terranei, neri, coi lumi brillanti a cerchio intorno all'Addolorata; il selciato bianco di acqua saponata, le foglie di cavolo, i pezzi di carta, i rifiuti, e, in mezzo al cortile, quel gruppo di cristiani cenciosi e deformi, coi visi butterati dalla miseria e dalla rassegnazione, che la guardavano amorosamente. Cominciarono a torcersi, a confondersi, a ingigantire. Le venivano tutti addosso, gridando, nei due cerchietti stregati degli occhiali. Fu Mariuccia per prima ad accorgersi che la bambina stava male, e a strapparle in fretta gli occhiali, perché Eugenia si era piegata in due e, lamentandosi, vomitava. (da ''Un paio di occhiali»''; in ''Il mare non bagna Napoli'', Adelphi, 2014; Adelphi, 1994, p. 33)
*[...] l'eterna folla di Napoli, semovente come un serpe folgorato dal sole, ma non ancora ucciso [...] (da ''Chiaia morta e inquieta'', ''Il silenzio della ragione'', Adelphi, 1994, p. 101)
*Buona parte di questa natura, di questo genio materno e conservatore, occupa la stessa specie dell'uomo, e la tiene oppressa nel sonno, e giorno e notte veglia il suo sonno, attenta che esso non si affini; straziata dai lamenti che la chiusa coscienza del figlio leva di quando in quando, ma pronta a soffocare il dormiente se esso mostri di muoversi, e accenni sguardi e parole che non siano precisamente quelle di un sonnambulo. Alla immobilità di queste [[Questione meridionale|regioni]] sono state attribuite altre cause, ma ciò non ha rapporti col vero. È la natura che regola la vita e organizza i dolori di queste regioni. Il disastro economico non ha altra causa. Il moltiplicarsi dei re, dei viceré, la muraglia interminabile dei preti, l'infittirsi delle chiese come dei parchi di divertimento, e poi degli squallidi ospedali, delle inerti prigioni, non ha un diverso motivo. È qui, dove si è rifugiata l'antica natura, già madre di estasi, che la ragione dell'uomo, quanto in essa vi è di pericoloso {{sic|pel}} regno di lei, deve morire. (da ''Storia del funzionario [[Luigi Compagnone|Luigi]]'', ''Il silenzio della ragione'', Adelphi, 1994, pp. 117-118)
*Era strano, ma questo che vedevo, per tanti aspetti non mi sembrava un popolo. Vedevo della gente camminare adagio, parlare lentamente, salutarsi dieci volte prima di lasciasi, e poi ricominciare a parlare ancora. Qualcosa vi appariva spezzato, o mai stato, un motore segreto, che sostituisce al parlare l'agire, al fantasticare il pensare, al sorridere l'interrogarsi; e, in una parola, dà freno al colore, perché appaia la linea. Non vedevo linea, qui, ma un colore così turbinoso, da farsi a un punto bianco assoluto, o nero. (da ''Tessera d'operaio n. 200774'', ''Il silenzio della ragione'', Adelphi, 1994, p. 139)
*La città si copriva di rumori, a un tratto, per non riflettere più, come un infelice si ubriaca. Ma non era lieto, non era limpido, non era buono quel rumore fatto di chiacchierii, di richiami, di risate, o di suoni meccanici; latente e orribile vi si avvertiva il silenzio, l'irrigidirsi della memoria, l'andirivieni impazzito della speranza. (da ''Chiaia morta e inquieta'', ''Il silenzio della ragione'', Adelphi, 1994, p. 135)