Pulcinella: differenze tra le versioni

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+ Domenico Rea.
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*Furbo e semplicione, poltrone e attaccabrighe, pieno di bonomia e di malizia, un misto di spirito, di cinismo e di causticità, pigro, goloso, ladro talvolta, ma con tanta naturalezza che ha l'aria di esercitare un diritto, di umore sempre uguale, spensierato, ottimista, ecco Pulcinella.
*Secondo [[Benedetto Croce]], [[Francesco De Sanctis]] ed alcuni critici contemporanei come il [[Silvio D'Amico|D'Amico]], e se lo permettete anche secondo me, questa maschera è da ritenersi la più antica del teatro italiano. Essa supplisce con la furberia all'intelligenza e possiede in se stessa una duttilità intuitiva che le permette di adeguarsi ad ogni circostanza e di essere sempre presente a se stessa in qualsiasi situazione. Molto interessante è quanto scrisse [[Maurice Sand]] che si recò a Napoli per meglio conoscerla e si rese subito conto che nella sua patria la maschera era molto differente sia da quella francese sia dall'inglese. Lo scrittore francese ravvisò in Pulcinella il borghese napoletano, un po' grossolano, ma lo definì saturo di quello spirito mordace di cui l'abate [[Ferdinando Galiani]] era il tipo purgato. Insomma Pulcinella è la più completa rappresentazione del grottesco che ha inizio quando il serio si mescola col ridicolo, quando la figura muore nella caricatura, quando, a dirla con [[Salvador Dalì]], ''a questa figura si danno le grucce''. La maschera è viva perché è la caricatura più completa dei pregiudizi, dei vizi e delle abitudini. Con lui bisogna dire ...tira a campà ...e futtitenne, vero dettame di sapienza partenopea.
 
====[[Domenico Rea]]====
*A Pulcinella tutti si rivolgono, compreso il basso popolo della città, con la riserva mentale di star trattando con un minorato, affetto da parafrasia; condizione di cui la maschera approfitta per collocarvi lo strepitoso lessico e farvi esplodere l'istinto oltre ogni immaginabile limite.<br>Da qui ha origine la sua radicale mancanza di complessi e la sua disponibilità. Egli è meno di un uomo e può permettersi atti e gesti e parole più che qualsiasi uomo responsabile. Da qui ha inizio, con tutti i crismi della speciale legge di cui gode, la tolleranza, la sua straordinaria carriera nel mare della visceralità e la sua disarmante contraffazione del quotidiano caratterizzata da una preponderante tendenza onirica.
*A suo modo e in maniera stupefacente anticipa di trecento anni il monologo interiore [[James Joyce|joyciano]]. Nel suo discorso onirico e triviale, in un'ininterrotta acrobazia linguistica e anagrammatica, Pulcinella pianifica la vita in un blocco unico in cui presente e passato si scambiano i tempi per costituire un intrico senza nesso, motivazioni, cause ed effetti. In questo modo egli può aggirare l'ostacolo della storia e dei fatti e infischiarsi della responsabilità di risponderne.
*Il capocomico di un balletto sull'orifizio dell'inferno. Più vicino alla musica che alle parole.
*Non bisogna peraltro dimenticare che Pulcinella fu un dono elargito al popolo dall'alto e con il permesso incondizionato «delli superiori». La sua è una tematica paternalistica e di tutto riposo; e ove mai lo si volesse rendere a ogni costo rappresentativo di una classe, alla plebe si dovrebbe aggiungere la nobiltà che, quanto a «libidine di servitù», scherzava poco, né aveva qualcosa da imparare da essa e anzi parecchio da insegnarle. Volendo continuare su questo tasto, su questo fuori tema, Pulcinella si fa le ossa durante la dominazione spagnola (e l'accompagna sino alla fine), quando cioè la vita napoletana, già provata, viene come travolta dalla soggezione. Il pulcinellismo diviene una sorta di riparazione di danni da parte dei potenti e apre una via di sbocco ai sudditi, che possono permettersi di saltare e ballare e ridere di se stessi, trasformando i vizi in straordinarie virtù.
*Per assistere a uno spettacolo del primo e più classico Pulcinella si rendeva necessario un atteggiamento spregiudicato. Termini come: «cacalietto, «peretaro», potevano spingere al riso un'umanità che considerava i capricci del mondo corporale e ogni sorta di malattia senza ribrezzo, ritenendoli eventi della vita. Pulcinella, uomo globale, non conosceva mezze misure. Con un corpo grosso, dominato e governato da istinti animaleschi, i suoi organi potevano parlare, lamentarsi, ragionare tra loro senza {{sic|svergognarsi}} di nulla perché tutto rientrava nella fragilità della carne. «La radica, il salame, la sciusciella» ovviamente «erano simboli priapeschi» che maneggiava come scettri davanti a un pubblico che coerentemente vi si uniformava ed esaltava.
*Pulcinella era parte integrante della mitologia infantile, come l'altro ieri [[Pinocchio]] e in questi anni [[Topolino]]. A disperdere l'apoplettica raffigurazione del "mammone" interveniva il nostro saltimbanco: quattro capriole su una tavola e il bambino ritornava a sorridere. E chi sa poi se con questo "pupazzo" in movimento la plebe del Seicento non cominciava a sciogliersi nell'unico modo a sua disposizione dalle catene infernali e dalle fiamme purgatoriali e a prender parte a suo modo a un "rinascimento".
*Pulcinella, per essere se stesso, grande e inimitabile, deve rimanere senza peso e seguire, sempre, quel suo itinerario senza inizio, né fine, come una piuma, che appare e scompare, un'allucinazione o una visione di un popolo abituato alla ''rêverie'' per i suoi frequenti digiuni.
 
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