Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni

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*Del complotto militare {{NDR|contro Mussolini}} erano depositari soprattutto due uomini, [[Vittorio Ambrosio|Ambrosio]] e il suo ufficiale addetto generale [[Giuseppe Castellano|Castellano]]. Le loro personalità si integravano. Castellano, cinquantenne, era il più giovane generale dell'esercito. Siciliano di riflessi rapidi e di scilinguagnolo sciolto, mondano, i capelli accuratamente impomatati a coprire la incipiente calvizie, svelto nell'intrigo, era l'antitesi umana del suo capo. L'«ideologia» di Ambrosio, che non pativa pruriti democratici, si fondava su due dogmi: la totale fedeltà alla monarchia e l'avversione per i tedeschi. (cap. 14, 2005, p. 230)
*La disinvoltura, miscelata a frivolezza, con cui l'Italia fascista {{NDR|all'annuncio del [[Caduta del fascismo|25 luglio]] sulle "dimissioni" di Mussolini}} ripudiava il fascismo testimoniava la profonda decomposizione del regime, sotto la copertura d'orbace, ma anche la superficialità e leggerezza di un Paese allergico al caso di coscienza. Non ci furono drammi, tranne uno: quello del presidente dell'agenzia di stampa ''Stefani'', [[Manlio Morgagni]], che si tirò un colpo di rivoltella alla tempia, dopo aver vergato queste parole: «La mia vita è finita, Viva Mussolini». Ma i capi del Partito e della Milizia che nelle loro parole d'odine tonitruanti avevano promesso di combattere e morire per il Duce, si rassegnarono subito a vivere senza il Duce. (cap. 14, 2005, pp. 257-258)
*Le prime epurazioni {{NDR|dopo il 25 luglio}} furono, come è regola in Italia, toponomastiche e costituzionali. Vie, navi, stadi, città cambiarono nome. Vennero subito aboliti il Partito fascista, il Gran Consiglio, la Camera dei fasci e delle corporazioni, il Tribunale speciale, la tassa sul celibato, le norme spiccatamente totalitarie dei codici. Ci si dimenticò di revocare la più grossa di tutte le vergogne fasciste, le leggi razziali: oppure si preferì non farlo per non provocare la Germania. L'alleato doveva essere blandito, nelle ore in cui Hitler nella sua «tana del lupo» urlava «tradimento, tradimento». (cap. 14, 2005, p. 259)
*Nella difesa di Roma erano caduti, secondo i dati ufficiali del ministero della Difesa, 171 militari e 241 civili (Zangrandi ha contestato queste cifre secondo lui minimizzatrici e ha parlato di almeno 1.000 militari e 500 civili). Il loro sacrificio fu commovente e, sul piano morale, importante. Per i tedeschi la neutralizzazione delle Forze Armate italiane si risolse in una immensa operazione di polizia, contrassegnata da episodi di insensata ferocia, come lo sterminio della divisione ''Acqui'' a Cefalonia. Per realizzarla diedero e rinnegarono più volte, con cinismo, la loro parola d'onore e la loro firma. Il 7 novembre 1943 il generale Todi, occupandosi dell'Italia in un suo rapporto sulla situazione strategica, confessò che l'8 settembre «forse per la prima volta in questa guerra non seppi cosa proporre al Führer», aggiunse che «quanto più la truppa e i comandi tedeschi furono ingannati tanto più dura fu la reazione», e diede le cifre del colossale rastrellamento: disarmate «sicuramente» 51 divisioni, «probabilmente» altre 29, prigionieri 547 mila di cui 34.744 ufficiali, un bottino di un milione 255 fucili, 38 mila mitragliatrici, 10 mila cannoni, 15.500 automezzi, 970 mezzi corazzati, 67 mila cavalli e muli, 2.867 aerei di prima linea e 1.686 di altro tipo (dato stupefacente e gonfiato), 10 torpediniere e cacciatorpediniere e 51 unità minori della Marina, vestiario per cinquecentomila uomini. «Sono state reperite – concluse il rapporto – materie prime in quantità molto superiore a quelle che ci si poteva aspettare alla luce delle incessanti richieste economiche italiane.»
*{{NDR|Dopo l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre}} Ambrosio stabilì che se i tedeschi ripiegavano verso il nord conveniva non infastidirli (cosa importava delle unità del nord e di oltrefrontiera?). Con un telescritto nella notte incitò le truppe a non farsi disarmare, ma si rifiutò di dare formale esecuzione alla memoria op. 44 perché quell'ordine spettava al Capo del governo {{NDR|[[Pietro Badoglio]]}}, che non sapeva dove trovare (era a poche decine di metri di distanza, nello stesso palazzo, e dormiva). L'ultimo ordine di Ambrosio prescrisse: «Ad atti di forza reagire con la forza». (cap. 18, 2005, pp. 311-313)