Tommaso d'Aquino: differenze tra le versioni

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*Guardati dall'uomo d'un solo libro, che ha letto un solo libro.
:''Cave ab homine unius libri.'' (traduzione da [[Servio Marzio]], ''Cum grano salis'', Vallardi)
 
==''Summa Theologiae''==
*Belle si dicono le cose che piacciono all'[[occhio]].
*Dico dunque che questa proposizione, "[[Problema dell'esistenza di Dio|Dio esiste]]", è in sé stessa e di per sé evidente, perché il predicato s'identifica col soggetto; Dio infatti è il suo essere: ma siccome noi ignoriamo l'essenza di Dio, per noi non è evidente, ma necessita di essere dimostrata per mezzo di quelle cose che sono a noi più note, [...] cioè mediante gli effetti. (I, questione 2, articolo 1)
*Il [[bene]] si diffonde. (I, questione 5, articolo 4, ad 2)<ref>Traduzione dall'[https://archive.is/20121203004329/www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1985/documents/hf_jp-ii_aud_19850918_it.html ''Udienza generale''] di [[papa Giovanni Paolo II]] del 18 settembre 1985.</ref>
:Il bene è qualche cosa che tende a diffondere il bene stesso. (I-II, questione 2, articolo 3)<ref>[http://books.google.it/books?id=woCJv2W7cJ0C&pg=PA66&dq=%22Il+bene+è+qualche+cosa+che+tende+a+diffondere+il+bene+stesso%22 ''Altra ricorrenza''] e diversa traduzione.</ref>
:Il bene è diffusivo del suo essere. (''Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo'')<ref>[http://books.google.it/books?id=48ggHgaOovUC&pg=PA414&dq=%22Il+bene+e+diffusivo+del+suo+essere%22%22Bonum+est+diffusivum+sui%22 ''Altro testo''] di Tommaso, con ulteriore differente traduzione italiana, in cui viene formulata l'identica locuzione latina. Nonostante ogni volta l'Aquinate l'attribuisca a [[Dionigi l'Areopagita]] (''De divinis nominibus'', capitolo IV), [http://books.google.it/books?id=x-RsYmWkDp8C&pg=PA283&dq=%22in+realtà+non+è+di+Dionigi%22%22Bonum+est+diffusivum+sui%22 ''in realtà quest'ultimo ha formulato solo il concetto ma non la locuzione esatta''].</ref>
:''Bonum est diffusivum sui.''
*I corpi celesti sono la causa di ciò che avviene in questo mondo, ma non tutti gli effetti che producono sono inevitabili.
*[[Imperfezione|Imperfettamente]] conosciamo e imperfettamente amiamo. (I-II, 68, 2)
*Perché una [[guerra]] sia giusta sono necessarie tre cose: la prima, l'autorità del sovrano; la seconda, una giusta causa; la terza una giusta intenzione.
*Poiché il sentimento della pietà sorge dalle afflizioni degli altri, ed accade anche agli [[animale|animali]] bruti di soffrire dolore, l'affezione della pietà può sorgere nell'uomo anche rispetto alle afflizioni degli animali. Ovviamente, chiunque sia abituato a provare un sentimento di pietà verso gli animali, è per questo motivo più disposto ad un'affezione di pietà verso gli uomini: onde si dice nei [[Libro dei Proverbi|Proverbi]] XII 10: «Il giusto sa curare il suo bestiame, ma le viscere degli empi sono crudeli». E perciò il Signore, vedendo che il popolo ebraico era crudele, per poterlo richiamare alla pietà, volle insegnargli la misericordia anche verso le bestie brute, proibendo che venissero compiuti contro gli animali certi atti che sembrano confinare con la crudeltà. E perciò egli proibì loro di bollire i cuccioli nel latte della madre ([[Deuteronomio|Deut.]] XIV 21), o di mettere la museruola al bue che trebbia (Deut. XXV 4), o di uccidere gli uccelli vecchi con quelli giovani (Deut. XXII 6,7). (I-II, q. 102, art. 6 ad. 8<ref>Citato in [[Joseph Rickaby]], ''Dei cosiddetti diritti degli animali'', traduzione di Paolo Garavelli, in Tom Regan, Peter Singer, ''[[Diritti animali, obblighi umani]]'', Gruppo Abele, Torino, 1987, pp. 181-182. ISBN 88-7670-097-8</ref>)
*Sembra che l'onesto non s'identifichi col bello.
*Come dice [[Agostino d'Ippona|S. Agostino]]: «Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in nessun modo che nelle sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto buono, da saper trarre [[bene e male|il bene anche dal male]]». Sicché appartiene all'infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne dei beni. (I, q. 2, a. 3)<ref>Da ''La somma teologica'', Edizioni Studio Domenicano, 1985, [https://books.google.it/books?id=fVoDUDGSUREC&pg=PA88 p. 88].</ref>
*Siccome di [[Dio]] non possiamo sapere che cosa è, ma piuttosto che cosa non è, non possiamo indagare come egli sia, ma piuttosto come non sia. (I, 3, Prologo: citato nel ''Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede'')
*Siccome infatti la Grazia non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona, la ragione deve servire alla fede, nel modo stesso che l'inclinazione naturale della volontà asseconda la carità. [...] È così che la sacra dottrina utilizza anche l'autorità dei filosofi dove essi con la ragione naturale valsero a conoscere la verità; [...]. Però di questa autorità la sacra dottrina fa uso come di argomenti estranei e probabili; mentre l'autorità della Scrittura canonica si serve come di argomenti propri e rigorosi.
*Essendo gli [[ebrei]] stessi servi della Chiesa, questa può disporre dei loro averi. (II, IIa, q.10, a10; citato in Walter Peruzzi, ''Il cattolicesimo reale attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili'', Odradek, Roma, 2008, p. 282)
*Il Signore ha creato l'uomo, poi ha voluto creare la donna per dargli un aiuto simile a lui [''audiutorium sibi simile'']. [...] L'aiuto non è per qualsiasi altra opera, come alcuni hanno detto. [...] Infatti, per qualsiasi altra opera un maschio potrebbe essere aiutato più opportunamente da un altro maschio che da una femmina. L'aiuto quindi è per la generazione.
*Uno non può pentirsi veramente di un peccato senza pentirsi degli altri. (III, q. 86, 3)
*Rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole. Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto simile a sé, di sesso maschile, e il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da una indisposizione della materia, o da una trasmutazione causata dal di fuori, p. es. dai venti australi, che sono umidi, come dice il Filosofo [''De gen. animal.'' 4, 2]. Rispetto invece alla natura nella sua universalità la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l'ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l'autore universale della natura. Quindi nel creare la natura egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina. (Pars I, Quaest. XCII, Art. I)
:''Ad primum ergo dicendum quod per respectum ad naturam particularem, femina est aliquid deficiens et occasionatum. Quia virtus activa quae est in semine maris, intendit producere sibi simile perfectum, secundum masculinum sexum, sed quod femina generetur, hoc est propter virtutis activae debilitatem, vel propter aliquam materiae indispositionem, vel etiam propter aliquam transmutationem ab extrinseco, puta a ventis Australibus, qui sunt humidi, ut dicitur in libro de Generat. Animal. Sed per comparationem ad naturam universalem, femina non est aliquid occasionatum, sed est de intentione naturae ad opus generationis ordinata. Intentio autem naturae universalis dependet ex Deo, qui est universalis auctor naturae. Et ideo instituendo naturam, non solum marem, sed etiam feminam produxit.''
 
=== Gli angeli ===
* Ora gli angeli, come si è visto [q. 51, a. 1], non sono uniti naturalmente a dei corpi. Per cui di tutte le facoltà dell‘anima non possono avere che l‘intelligenza e la volontà. (''Quaestio 54, art. 5'', p. 608).
* il moto locale dell‘angelo può essere continuo e discontinuo. Se dunque si tratta di moto continuo, allora l‘angelo non può muoversi da un estremo all‘altro senza percorrere lo spazio intermedio (p. 599). [...] Ma quando il suo moto non è continuo, allora l‘angelo può passare da un estremo all‘altro senza percorrere lo spazio intermedio.[...] Il moto dell‘angelo si svolge nel tempo: nel tempo continuo se il suo moto è continuo; nel tempo non continuo se il suo moto non è continuo (infatti il moto degli angeli può avvenire in due modi, come si è spiegato [a. 1]). E la ragione è che la continuità del tempo deriva dalla continuità del moto, come insegna Aristotele [Phys. 4, 11]. (''Quaestio 53, artt. 2-3''', p. 599 e 602).
* Se l‘angelo derivasse la sua conoscenza delle realtà materiali dalle realtà medesime dovrebbe prima renderle attuali [[astrazione|astraendole]] [dalla materia]. Ma egli non deriva questa conoscenza dalle realtà materiali, bensì dalle specie attualmente intelligibili, che sono a lui connaturali: come fa il nostro intelletto mediante le specie rese intelligibili dall‘astrazione (''Quaestio 57, art. 1'', p. 619). [...] Gli angeli conoscono i singolari per mezzo di forme universali, le quali tuttavia rispecchiano le cose sia quanto ai loro princìpi universali, sia quanto ai princìpi individuanti (''Quaestio 57, art. 2'', p. 622).
* L‘angelo non conosce per mezzo di specie derivate dalle cose, ma piuttosto mediante specie innate universali. Ora, le specie universali riguardano allo stesso modo tanto il presente quanto il passato e il futuro.. [...] Si può conoscere il futuro in due modi. Primo, nella sua causa. Si possono perciò conoscere con certezza tutte le cose future che derivano necessariamente dalle loro cause: p. es. che domani il sole sorgerà. Le cose invece che provengono dalle loro cause [solo] nella maggior parte dei casi non sono conosciute con certezza, ma soltanto in modo congetturale: come il medico quando prevede la salute dell‘infermo. E tale modo di conoscere le realtà future l‘hanno anche gli angeli, e tanto più perfettamente di noi quanto più essi conoscono le cause delle cose in modo più universale e perfetto: come i medici che conoscono i sintomi con maggiore perspicacia sanno prognosticare meglio lo stato futuro della malattia. — Rimangono invece del tutto ignote le cose che procedono dalle cause soltanto di rado, come avviene per le realtà casuali e fortuite. Secondo, si possono conoscere le realtà future in se stesse. E tale conoscenza del futuro compete soltanto a Dio, il quale conosce non solo le cose che accadono necessariamente o nella maggior parte dei casi, ma altresì le realtà casuali e fortuite: poiché Dio vede tutte le cose nella sua eternità, la quale è sempre presente, nella sua semplicità, a tutto il tempo, e lo contiene. [...] L‘intelletto angelico invece, come ogni altro intelletto creato, non ha l‘eternità divina. Quindi il futuro, direttamente come è in se stesso, non può essere conosciuto da alcun intelletto creato.(''Quaestio 57, art. 3'', p. 622).
* Rispetto invece alla conoscenza del Verbo, e di tutto ciò che vede nel Verbo, non è mai in potenza: poiché egli ha sempre fisso lo sguardo attualmente sul Verbo e su quanto vede in lui. La beatitudine degli angeli consiste infatti in questa visione: e la beatitudine non consiste in un abito, ma in un atto, come insegna il Filosofo [Ethic. 1, 8]..[...] Nella sostanza dell‘angelo non vi è potenzialità alcuna priva del suo atto. E così pure l‘intelligenza dell‘angelo non è mai in potenza in modo da escludere qualsiasi attualità (''Questio 58, art. 1'').
* Il fatto che gli angeli pronunzino proposizioni affermative e negative prova che essi intendono i giudizi affermativi e negativi, non già che conoscano formulando tali giudizi, poiché conoscono la quiddità delle cose senza composizione alcuna.
* Tutte le cose, procedendo dalla volontà di Dio, tendono al bene, ma ciascuna in modo diverso. Alcune infatti hanno soltanto un‘inclinazione naturale al bene, senza conoscerlo, come le piante e i corpi inanimati. E questa inclinazione al bene viene chiamata appetito naturale. — Altri esseri invece tendono al bene per averlo in qualche modo conosciuto: non nel senso che conoscano la natura stessa del bene, ma in quanto conoscono qualche bene particolare, come fa il senso che conosce il dolce o il bianco o altre simili cose. E l‘inclinazione che accompagna questa conoscenza viene chiamata appetito sensitivo. — Altri esseri infine tendono al bene conoscendo la natura stessa del bene, il che è proprio dell‘intelletto. E questi esseri tendono al bene in modo perfettissimo: infatti non tendono al bene solo perché ricevono l‘impulso o la direzione da un altro essere, come le realtà non dotate di conoscenza, e neppure tendono soltanto a un bene particolare, come gli esseri che hanno la sola conoscenza sensitiva, ma sono inclinati al bene universale. E questa inclinazione prende il nome di volontà. — Quindi, dato che gli angeli conoscono con l‘[[intelletto ]]la stessa nozione universale di bene, è evidente che in essi si trova la volontà (''Quaestio 59, art. 1'').
* In essi infatti non vi sono le passioni della concupiscenza, o del timore e dell‘audacia, che debbono essere regolate dalla [[temperanza]] e dalla [[fortezza]]. Si dice però che in essi c‘è la temperanza in quanto essi moderano i moti della loro volontà secondo le norme della volontà divina. E si pone in essi la fortezza in quanto eseguono con fermezza la volontà divina. Ma tutto ciò avviene per mezzo della volontà, non per mezzo dell‘irascibile e del concupiscibile. (''Quaestio 59, art. 4')
* Si deve perciò concludere che un angelo ama l‘altro di dilezione naturale in quanto quest‘ultimo ha la sua stessa natura. Non lo ama invece di dilezione naturale in quanto per altre cose si accorda con lui, o con lui è in disaccordo.. [...] La dilezione naturale ha per oggetto il fine stesso non già nel senso che questo sia il soggetto a cui si vuole il bene, ma piuttosto nel senso che esso è il bene che uno vuole a se stesso, e conseguentemente anche agli altri, in quanto questi formano una cosa sola con lui. E questa dilezione naturale non può venir meno neppure negli stessi angeli cattivi, i quali hanno una dilezione naturale per gli altri angeli in quanto conservano in comune con essi la natura. Li odiano però in quanto differiscono da essi a motivo della giustizia e dell‘iniquità.<ref>{{cita web | url = http://www.documentacatholicaomnia.eu/03d/1225-1274,_Thomas_Aquinas,_Summa_Theologiae_(p_Centi_Curante),_IT.pdf | titolo = Somma teologica | formato = pdf | pagina = 648 | lingua = it | sito = documentacatholicaomnia.eu}}, Quaestio 60 (L'amore o dilezione degli angeli)-Articolo 4</ref>
 
===Le cinque vie===
*''Quod Deum esse quinque viis probari potest''.
:Che Dio esiste, si può provare per cinque vie. (I, questione 2, articolo 3)
*{{NDR|Prima via: ''Ex motu''}} [...] tutto ciò che si muove è mosso da un altro. [...] Perché muovere significa trarre qualcosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che è già in atto. [...] È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto, una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova sé stessa. [...] Ora, non si può procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore [...]. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
*{{NDR|Seconda via: ''Ex causa''}} [...] in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia e l'intermedia è causa dell'ultima [...] ora, eliminata la [[causa ed effetto|causa è tolto anche l'effetto]]: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neanche l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente [...]. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
*{{NDR|Terza via: ''Ex possibili et necessario'' o ''Ex contingentia''}} [...] alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che cose di tal natura siano sempre state [...]. Se dunque tutte le cose [...] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. [...] Dunque, non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. [...] negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito [...]. Dunque, bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
*{{NDR|Quarta via: ''Ex gradu''}} [...] il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; [...] come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto è vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere [...]. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
*{{NDR|Quinta via: ''Ex fine''}} [...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'[[arciere]]. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.
 
==''Summa Theologiae''==