Alfonso Gatto: differenze tra le versioni

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====In ''Un poeta e la sua città''====
*E forse il sogno del piccolo e del povero [[poeta]] che io sono è che un giorno, tra molti anni, diciamo, un ragazzo come me, con la testa pesante, sul collo magro, passi per questa marina e pensi anche lui alle proprie parole che lo ricorderanno un giorno, pensi anche lui che per amare dovrà dare dolore a suo padre, a sua madre, alla sua città e lasciare la casa, partire. (da ''La risposta di Alfonso Gatto'', p. 41)
*I poeti nuovi, molti di questi poeti nuovi, non a caso partivano allora dal [[Questione meridionale|Sud]], da [[Salerno]], dalla [[Lucania]], dalla [[Sicilia]]: avevano scoperto che finalmente per l'Italia c'era una tradizione più antica di quella che le ultime storie le avevano proposto.<br>E la terra di [[Tommaso Campanella|Campanella]], la terra dei presocratici, la terra che incominciava a parlare con [[Corrado Alvaro|Alvaro]], aveva ancora qualcosa da dire in una tradizione veramente intesa, veramente aperta alle sue contraddizioni ed ai suoi contrasti, una tradizione seria e non più giubilante. Io direi che nel momento in cui l'Italia ha scoperto la sua serietà, il Sud è entrato nella storia d'Italia. (da ''La risposta di Alfonso Gatto'', p. 42)
*Tra l'essere e il non essere, [[Napoli]] appare. Siamo davanti alle rovine di un paese felice da cui giungono i primi segni di vita.<br>Gli scampati chini a raccogliere la propria ombra stendono il sole, luminoso prima che caldo. Si lasciano accogliere nelle strette di quel paesaggio ormai illeso e silenzioso al quale è stata tolta la parola. Di colpo, come da una pietra smossa, brulicano i bambini e al loro salto – di casa in casa, sembra –, al loro risalire, la platea di sasso scoscende nell'Ade o s'alza nella sua scena. La luce pesca tutti a uno a uno. Assenti le voci, e pure udite per quell'assiduo fervore, i vivi provano le braccia, le gambe, gli occhi di cui ancora non sanno che fare.<br>Crediamo di vedere, remoto nel suo avvenimento, un passato giunto a noi da secoli di luce. (da ''Oggi si vive'', ''Carlomagno nella grotta'', (Mondadori), p. 219)
*Se parliamo di Napoli, una città interrotta, sappiamo che «qualcosa» deve finire. Che sia l'inganno della distanza – quanto è più vicina – il fascino della sua verità?<br>Il luogo comune nasconde il suo genio o tardi lo rivela, a nostre spese. Napoli è un idolo sconsacrato e ignoto, un avanzo di storia, al quale diamo un nome, una leggenda. La prendiamo in giro e per secondare il gioco, per divertirci, lei ci tiene a distanza. Non ha nulla da riconoscersi, prestigio o fama, ma fa sue le lodi di chi la cerca. Napoli è la nostra provocazione che le fa gioco. Questo deve finire. (da ''Oggi si vive'', ''Carlomagno nella grotta'',(da ''Oggi si vive'', (Mondadori), p. 220)