Salomon Reinach: differenze tra le versioni

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*Nella prima metà del secolo {{NDR|diciannovesimo}}, il maggiore fra gli artisti inglesi è il [[William Turner|Turner]] (1775-1851), pittore innamorato della luce sino all'estasi, un [[Claude Lorrain|Claudio Lorrain]] romantico, febbrile e a volte teatrale, [...]. (p. 322)
*I {{sic|[[Preraffaelliti|prerafaeliti]]}} vedevano in [[Raffaello Sanzio|Raffaello]] un apostata dell'Ideale ed un apostolo del ''savoir faire''; prendevano ad esempio il Botticelli e il Mantegna. Ma non erano volgari «impiastricciatori». Il carattere saliente della loro scuola è l'intellettualismo, il disdegno dell'arte per l'arte; vogliono narrare ed insegnare, commuovere l'anima delle folle, scendere tra il popolo e convertirlo alla bellezza. (pp. 322-323)
*{{NDR|Sui preraffaelliti}} Quantunque parecchi tra di loro abbiano preceduto, sino dal 1848, la scuola francese sulla via del ''plenariismo'' e del ''divisionismo'', essi non sono impressionisti; hanno in orrore l'esecuzione trasandata e affrettata; la loro fattura, minuziosa e pedantesca, sovrappone, senza cercare d'armonizzarli, colori intensi e crudi.<br>Cotest'arte arida e fittizia, comunque posta a servizio di un altissimo ideale, doveva finire per stancare. (p. 323)
*Emergeva però su tutti {{NDR|i pittori giunti a Roma per lo studio dei modelli antichi}} [[Vincenzo Camuccini]], natovi nel 1775. Egli seguì le idee di David, ma curò anche lo studio dei maestri italiani del Rinascimento o, meglio, di Raffaello, con poco vantaggio del suo colorito. Era un facile disegnatore ed un rapido esecutore, ma di poca ispirazione e di nessuna originalità. Perciò, forse, i suoi ritratti sono oggi più apprezzati che le sue grandi composizioni d'argomento romano o del periodo eroico del cristianesimo. In tutte accatastò reminiscenze di sculture antiche e di pitture cinquecentistiche, con così poca fusione, che Pierre Guérin<ref>Pierre-Narcisse Guérin (1774–1833), pittore francese.</ref> disse: «S'è nutrito di Raffaello e degli antichi, ma non li ha digeriti!...». (p. 338)