Emilio Cecchi: differenze tra le versioni

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*[[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]] si vantò sempre d'essere uno che in realtà, tutta la vita, non fece che negarsi ogni capacità e ambizione artistica, e sempre considerò le proprie, abbondantissime, virtù di scrittore come puramente strumentali, a determinati effetti divulgativi e didattici. Diciamolo chiaro, noi che fummo sempre suoi amici. In questo mezzo secolo, nel nostro ambiente culturale, è probabile non s'incontri nessun altro così volenteroso, d'altrettanto disinteresse, pronto a fare pieno di abnegazione, ma al medesimo tempo, difficile e scorbutico come lui. Alla sua scontrosa bizzarria gli antichi avrebbero applicato qualcuno di quei loro bizzarri modi di dire: che non gli si trova mai il basto che gli entri; che è come il carbone che tinge o che scotta. Spinoso come un riccio, come un ananasso, che da qualsiasi parte lo tocchi ti punge. Spregiudicato e pedante, impazientissimo eppure tenace, simpatico e al medesimo tempo scostante, bastian contrario per la pelle.<ref>Citato in Guglielmo Lo Curzo, ''Prezzolini grande maestro'', ''L'osservatore politico letterario'', a. 29, n° 4, maggio 1983, pp. 33-46; disponibile anche su ''[http://circe.lett.unitn.it/le_riviste/riviste/bibliografia_spe/biblio/locurzo.pdf Circe.lett.unitn.it]''.</ref>
*Quando frequentando una casa, si vede un [[gatto]] con tutto l'aspetto d'un gatto, e che in tutto si comporta come gatto; ma invece a poco a poco si riconosce ch'è un bambino: un bambino non nato, che s'è travestito da gatto, e da quei tondi buchi degli occhi vi guarda con gli occhi del gatto. E si capisce che quei gemiti, quei sommessi miagolii, suonano come balbettate parole. Dall'innocente signora che siede con in grembo l'innocente gattino, a volte si distoglierebbe lo sguardo, come dall'assurdità inafferrabile quanto intollerabile d'uno di quei disegni del [[Jean-Ignace-Isidore Gérard|Grandville]] dove una placida papera o una lumaca madornale ha partorito e porge la poppa a un esserino con la testa di gatto.<ref>Da ''Corse al trotto e altre cose'', Sansoni, Firenze, 1952, p. 554.</ref>
*Quanto il [[Giovanni Costa|Costa]] poteva ottenere in fatto di grazia, nella ''Ninfa''<ref>''Alla fonte (La ninfa nel bosco)'' (1863-1895/1897), Galleria d'arte moderna di Roma Capitale.</ref> l'ha ottenuto, nonostante, anche costì, la macchinosa incubazione. Si dice fra l'altro, che le più belle donne di Roma non rifiutarono di prestare, e tornare a prestare inesauribilmente le loro gambe, per modello alla ''Ninfa''; e la nobiltà dell'artista era tale da rassicurare anche il più geloso pudore. La volontà dello stile mette un che di fisso nel modellato delle carni, e raffrena il colore in una gelidità fra marmorea e madreperlacea. E si {{sic|scuopre}} anche più nel partito di contrasto con la sorda massa di pietra, a lato della donna; contrasto spazialmente troppo insistito, ma che, nella pietra, offre motivo a un bel pezzo di pittura; mentre per lo sfondo alberato e il terreno non par possibile dire altrettanto.<ref>Da ''[https://archive.org/details/dedalorassegnada0203ojetuoft/page/684?q=Nino+Costa Nino Costa''] in ''Dedalo'', Rivista d'arte diretta da Ugo Ojetti, Casa editrice d'arte Bestetti e Tumminelli, Milano-Roma, anno II 1921-23, volume III, p. 684.</ref>
*Soltanto una cosa è più lugubre dell'uomo che mangia solo; ed è […] l'uomo che [[ubriachezza|beve]] solo. Un uomo solo che mangia somiglia a un animale alla mangiatoia. Ma un uomo solo che beve, somiglia a un suicida.<ref>Da ''Lo scrittojo'', ne ''L'osteria del cattivo tempo'', Corbaccio.</ref>