L'inferno di Dante: differenze tra le versioni

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canto VIII
Canto IX
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*Ma questo esercito di diavoli piovuti dal cielo e dalle pagine dei Padri della Chiesa, dagli affreschi di basilica o di camposanto e dalle fobie del popolo cristiano, lo rintuzza [Virgilio] e lo mortifica.<ref>Ibid., p. 120</ref>
 
==[[s:Divina Commedia/Inferno/Canto IX|Canto IX]]==
 
*Sappiamo che il viaggio si consuma in un tempo storicamente determinato (la primavera dell'anno 1300). Il tempo in cui l'Io racconta è, invece, il presente fittizio della scrittura: è il tempo, insomma, in cui Dante Alighieri "finge" di scrivere i poema sacro, abilitato dalla percezione del Creatore. Ma, contemporaneamente, ogni volta che chiunque dà voce a quei versi, è il presente di cui vive chiunque. Il Tu cui quell'Io si rivolge, di tratto in tratto interpellandolo espressamente, è il lettore. Ma il lettore che ad alta voce dice "pensa, lettor" sta pronunciando parole di un monologo profetico in cui l'attimo e l'atto stesso della lettura sono profetizzati come simultanei all'atto e all'attimo della scrittura, nell'immanenza assoluta del presente di Dio, nella "onnipresenza" di Dio.<ref>Ibid., p. 131</ref>
 
*Qui non si tratta di una serie di situazioni drammatiche intercalate da brani narrativi e da considerazioni dottrinali, ma di un'unica struttura monologante e profetica, entro la quale e in ordine alla quale dialoghi, racconti, figure, considerazioni ardue e spesso mal decifrabili assumono il rilievo, il dinamismo appassionato, la maestà che da secoli soggiogano e trascinano chiunque si faccia uscir di bocca il suono di quei versi, si lasci intrappolare in quell'Io febbrile e supremo.<ref>Ibid., p. 132</ref>
 
*E con quest'allusione pesante alla favola di Ercole (...), il messo celeste tronca il discorso, si gira e si riavvia per il cammino fangoso, senza rivolgere parola ai due poeti, col piglio di persona incalzata da ben altro pensiero che non quello di chi gli sta fra i piedi.<ref>Ibid., p. 133</ref>