Ferdinand Gregorovius: differenze tra le versioni

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*L'armonia regna in questo paese: non un volto grave, melanconico: tutto qui sorride; a migliaia scivolano nel porto le barche, a migliaia passano per Chiaia e S. Lucia le carrozze; ad ogni passo s'incontrano persone intente a mangiare maccheroni, o frutti di mare; in terra si canta e si suona; tutti i teatri sono aperti; oggi, come prima, il sangue di S. Gennaro bolle e si discioglie; nessuna bomba ha ucciso pulcinella; la Villa Reale è piena di forestieri che lasciano cospicue {{sic|mancie}}. Questo popolo vive alla giornata: non ha passioni politiche, non ama le cose gravi, le passioni virili, senza le quali un paese non ha una storia propria. Dalle sue origini Napoli ha sempre avuto per padroni gli stranieri: i Bizantini prima, poi i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Spagnuoli, i Borboni e Gioacchino Murat. Un popolo, che è privo di carattere, che non ha sentimento nazionale, si piega a qualunque signoria. Fa senso vedere ancora oggi in corso le monete coll'effigie di Murat, accanto a quelle di re Ferdinando. Gli uomini assennati, che scusano il carattere di questo popolo e non se ne adontano, mancano di perspicacia e di prudenza. (''Napoli, 1854'', vol. IV, pp. 7- 8)
*I Napoletani sono irritati, ma ridono. Non vi è in tutto il mondo un paese in cui il dispotismo sia usato con tanta facilità, poiché è impossibile distruggere i tesori di questa splendida natura, ridurre sterile questo fertile suolo. Sotto questo cielo ognuno può sempre liberamente muoversi, tutti quanti i sensi provano la loro soddisfazione. La natura eguaglia tutto: non vi è luogo più democratico di Napoli. Chi potrebbe mai annullare questa ''magna charta'' della libertà? (''Napoli, 1854'', vol. IV, p. 9)
*Io ho trovato sempre straordinariamente caratteristico questo spettacolo. Nelle ore calde del pomeriggio, sotto il porticato di una delle principali chiese, quella di S. Francesco di Paola, si vedono centinaia di lazzaroni sdraiati che dormono, sudici e cenciosi, decorazione poco armoniosa e decorosa con quell'opera architettonica. Ho ripensato a quegli altri lazzaroni dell'antica Roma, i quali facevano essi pure la siesta sotto il portico di Augusto e di Pompeo, se non che quelli tenevano in tasca le tessere per la distribuzione del grano, e questi non l'hanno. In qualunque altra capitale d'Europa la polizia caccerebbe via tutti quei[Pg 10] dormienti dal portico di una chiesa dinanzi al palazzo reale. Qui, invece, dormono a loro bell'agio, e le sentinelle che passeggiano distratte in su e in giù presso le statue equestri di Carlo III e di Ferdinando I, li guardano come la cosa più naturale del mondo. (''Napoli, 1854'', vol. IV, pp. 9-10)
*Questa Piazza Reale, vicinissima al mare, di cui però non si gode la vista, mirabilmente selciata, tanto che potrebbe servire benissimo da sala da ballo, circondata di eleganti edifici, è uno dei punti più eleganti della città. Vi risiedono il Re, la Corte e le principali amministrazioni; si potrebbe chiamare questa piazza, non il cuore di Napoli, ché questo titolo spetta al porto, ma il cervello. (''Napoli, 1854'', vol. IV, p. 10)
*S. Lucia, il luogo di carattere più svariato e dove sono le locande di secondo ordine, è la linea di confine fra la parte aristocratica di Napoli e quella popolare. Il porto è il punto del maggior movimento popolare e del commercio; ivi si lavora, si traffica senza posa, e ivi è tutto quello che è necessario alla vita del popolo. V'è un movimento continuo; le calate sono sempre ingombre di carbone e di altri materiali; vi si affollano continuamente pescatori, barcaiuoli, lazzaroni, piccoli mercanti. Gli abitanti delle campagne, i popolani vengono qui ad acquistare gli abiti e le scarpe, che empiono case da cima a fondo. Qui si vendono tutte le masserizie casalinghe, qui sono caffè, liquorerie, spacci di tabacco, unicamente frequentati dal popolo, fruttaioli i quali tengono gli aranci e le angurie già tagliate a fette che essi vendono per un tornese e che vengono mangiate dai compratori in piedi. Qui si vedono vere montagne di fichi d'India, di cui la gente più misera si nutre; questo è il luogo di riunione, si potrebbe dire la sala di conversazione del popolo. (''Napoli, 1854'', vol. IV, pp. 18-19)