Evelyn Franceschi Marini: differenze tra le versioni
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→Antichi pittori italiani: nota Albertinelli |
→Antichi pittori italiani: altra su fra Bartolomeo |
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*[[Filippino Lippi]] fu figlio di Fra [[Filippo Lippi]] e di Lucrezia Buti l'ex monaca. Egli ereditò il genio pittorico del padre, che in alcune sue opere superò non tanto per {{sic|vigorìa}} di disegno quanto per grazia di forma e di sentimento e ricchezza di fantasia. (p. 291)
*Roma, l'immortale ''alma-mater'' dell'umana civiltà, esercitò anche sull'animo suscettibile di Filippino Lippi una seduzione irresistibile; la vista dei suoi antichi monumenti grandiosi fu per lui come una rivelazione del bello classico, ne rimase suggestionato, e, d'allora innanzi, in tutte le sue opere vedesi qualche reminiscenza di antica architettura romana. Certo è che quella visita all'eterna città gli lasciò un ricordo indimenticabile non solo, ma ebbe anche un'importante influenza sul suo ingegno.<br>Difatti, d'allora in poi, la sua arte si perfezionò, e la sua maniera si fece più larga e più vigorosa, come ne fa prova l'opera da lui eseguita al suo ritorno a Firenze nella Cappella Strozzi a S. Maria Novella, opera considerata suo capolavoro. (pp. 294-297)
*Come tutti i pittori del suo tempo, anche [[Fra Bartolomeo|{{sic|Bartolommeo}}]] studiò gli affreschi immortali del Masaccio al Carmine, e da questi si ispirò per dipingere nel chiostro dell'Ospizio di S. Maria Nuova un grande affresco rappresentante il ''Giudizio Finale''.<br>Di questa pittura, che al dire del Vasari, fece acquistare all'artista «fama grandissima», rimangono oggi soltanto poche {{sic|traccie}}; ma tuttavia, da quel poco si può giudicare ancora quanto ne dovesse essere grandioso il concetto e con qual tocco largo e vigoroso fosse eseguito. (pp. 312-313)
*Nel tempo in cui
*{{NDR|[[Il Sodoma]]}} [...], come artista fu impareggiabile, come uomo era moralmente molto imperfetto! Di umore stravagante e capriccioso, venne soprannominato il «''Mattaccio''». Amante del lusso, del piacere, del dolce far niente, egli campava spensieratamente, senza curarsi dell'indomani e lavorando sul serio solo quando ne veniva costretto dalla necessità, e come dice il Vasari «il suo pennello ballava secondo il suon de' denari». (pp. 362-363)
*{{NDR|Il Sodoma}} Appassionato per gli animali, ne teneva presso di sé di ogni specie, tanto che la sua piccola casa pareva un'«Arca di Noè», piena di «tassi, scoiattoli, {{sic|bertuccie}}, barberi da correre palii, cavallini dell'Elba, ghiandaie, galline nane, tortore indiane ed altri sì fatti animali, quanti gliene potevano venire alle mani»<ref>Vasari. {{NDR|Nota dell'Autrice}}</ref>. Ma tra tutte quelle bestie, la preferita del pittore era un grosso corvo nero, dal becco e dalle zampe gialle, che aveva imparato così bene a pronunziare il nome del padrone, ''Giannantonio'', ed imitare il suo modo di parlare, che, quando questi era fuori e qualcuno picchiava alla porta, il corvo rispondeva per lui, colla medesima sua voce! (p. 363)
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