John Gardner: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 42:
*{{NDR|Su Hrōðgār}} Da giovane aveva la forza di sette uomini. Ora non più. Non gli resta che il potere della mente - e non ne prova alcun piacere: un astuccio di coltelli. La civiltà che intendeva costruire si è trasformata d'incanto in una foresta densa di trappole. [...] Un uomo saccheggia per metter insieme una fortuna che gli consenta di pagare i sudditi e portare pace nel regno, ma il tesoro che ammassa per la sua sicurezza diventa l'esca per ogni predone che ne sente parlare. Hrōðgār, lesto di mente, è a corto di piani. Non è colpa sua. Non ce ne sono altri. E così attende come un uomo incatenato in una grotta, fissando l'ingresso e guardando talvolta distrattamente Wealhþēow, incatenata al suo fianco. Che è un'ulteriore trappola, la peggiore. È giovane, avrebbe potuto servire un uomo più vigoroso. E bella: non dovrebbe veder sfiorire le proprie notti e il proprio corpo vicino a un vecchio ossuto e tremante. E lei lo sa, e ciò accresce il dolore e la colpa di Hrōðgār. Comprende il timore per il suo popolo che fa di lui un codardo, sicché la notte in cui l'aggredii non mosse un dito per salvarla. E quel timore non è neppure garanzia di generosità; forse è solo desiderio che il suo nome e la fama vivano in eterno. Wealhþēow comprende anche l'amarezza della vecchiaia. Capisce perfino - e ciò e più terribile d'ogni altra cosa - la consapevolezza del vecchio Hrōðgār che la pace deve essere ricercata prova dopo prova, senza altra prospettiva fuorché la sconfitta finale. Hanno sofferto lezione su lezione riconoscendo ogni volta più profondamente la loro umiliazione, la vergogna, la futilità. E continuerà così. (pp. 108-109)
*Non c'è convinzione nei canti dei vecchi preti: è solo messinscena. Nessuno nel regno crede che gli dei abbiano in sé la vita. I deboli osservano i rituali - si tolgono il cappello, se lo rimettono, alzano le braccia, le abbassano, gemono, intonano canti, congiungono le mani - ma nessuno nutre aspettative irragionevoli. I forti - il vecchio Hrōðgār, Unferð - ignorano le effigi. La volontà di potere risiede tra le stalattiti del cuore. (p. 114)
*Il Re degli Dei è la limitazione estrema, [...] e la Sua esistenza è l'estrema irrazionalità. [...] Poiché non si può addurre alcuna ragione alla limitazione che è nella Sua natura d'imporre. Il Re degli Dei non è concreto, ma è la base della concreta realtà. Non si possono addurre ragioni alla natura di Dio, perché quella natura è la base della razionalità. [...] Il Re degli Dei è l'entità in virtù della quale l'intera molteplicità degli oggetti eterni ottiene la sua pertinenza ad ogni stadio di concrescenza. Con la sola eccezione di Dio non può esistere attualità rilevante. [...] Lo scopo di Dio nel progredire creativo è l'evocazione di nuove intensità. Egli è il ''polo d'attrazione dei nostri sentimenti''. [...] Egli è la spinta eterna del desiderio che stabilisce i fini di tutte le creature. Egli è pazienza infinita, ha tenera cura che nell'universo nulla sia vano. [...] Oh, il [[male]] estremo nel mondo temporale è più profondo di ogni male specifico quale l'odio, la sofferenza, o la morte! Il male estremo è che il Tempo perisce perpetuamente e la presenza implica l'eliminazione. La natura del male può essere riassunta, perciò, in due proposizioni semplici ma orribili e sacre: «Le cose svaniscono» e «Le alternative escludono». Tale è il Suo mistero: che la bellezza richiede il contrasto e che la discordia è fondamentale alla creazione di nuove intensità di sentimento. Sono giunto a comprendere che la saggezza estrema sta nella percezione che la solennità e la grandezza dell'universo sorgono dal lento processo di unificazione in cui vengono utilizateutilizzate le diversità dell'esistenza e nulla, ''nulla'' va mai perduto. ('''Ork''') (pp. 117-118)
*{{NDR|Su Beowulf}} La voce, benché potente, era mite. La voce d'una cosa morta, calma come i rami secchi e il ghiaccio quando il vento ci soffia sopra. Aveva un viso strano che, a poco a poco, mi appariva sempre più sconvolgente: l'avevo già visto, o così mi parve per un istante, in un sogno quasi dimenticato. Gli occhi avevano un taglio all'ingiù, e non ammiccavano mai, spietati come gli occhi di un serpente. Non aveva più barba d'un pesce. Sorrideva mentre parlava, ma era come se la voce gentile, il sorriso infantile anche se leggermente ironico, nascondessero qualcosa, il potere magico di ridurre scogliere di pietra in cenere, come il fulmine incenerisce gli alberi. (p. 136)
*{{NDR|Su Beowulf}} Mentre parlava, la sua mente pareva assai lontana come se, per quanto cortese, fosse del tutto indifferente - un estraneo non solo tra i Danesi, ma ovunque. (p. 136)
*{{NDR|Su Beowulf}} Mi sorpresi a non ascoltarlo, ne fissavo solo la bocca che si muoveva - o così mi pareva - indipendentemente dalle parole, come se il corpo dello straniero fosse un artificio, un travestimento per qualcosa di infinitamente più terribile. (p. 137)
*Il tedio è il male maggiore. La mente compone il mondo in blocchi e il sangue zittito attende l'ora della vendetta. Sono arrivato a comprendere che qualsiasi [[ordine]] è teorico, irreale - una maschera innocua, ragionevole e sorridente che gli uomini indossano tra le due grandi, oscure realtà, l'io e il mondo - due fosse dei serpenti. L'intelletto vigile mente, astuto e pronto, sulla nera lussuria del sangue, mente, mente e mente finché, stanca delle chiacchiere, la sentinella dorme. Allora, improvviso e lesto, dal nulla colpisce il nemico, il cuore cavernoso. (p. 139)
*Io ho visto - io incarno - la visione del drago: il vuoto assoluto, definitivo. Molto tempo prima avevo concepito l'universo come ciò-che-non-è-mia-madre, e vi avevo scorto il mio posto: un buco. ''Eppure esisto'', ne ero certo. ''Allora solo io esisto'', dissi. ''O io o lui''. Che allegria, che splendida agnizione! (La grotta, la mia grotta è una grotta gelosa). Poiché perfino la mamma non mi ama per me stesso, la mia sacra specificità (eh eh oh ah), ma per la mia natura di figlio, il fatto che le appartengo, per lo spazio che occupo nell'aria come prova tangibile del suo potere. L'ho messa da parte - con dolcezza, sollevandola per le ascelle come una bambina - dimostrando che non ha potere fuorché quello che le concedo per capriccio momentaneo. Altresì potrei mettere da parte il regno di Hrōðgār e tutti i suoi vassalli se, per amor del desiderio, non ponessi limiti ai miei desideri. Se uccidessi l'ultimo Scyldingas, per che cosa vivrei? Dovrei trasferirmi. (p. 140)
*''Grendel, Grendel! Tu crei il mondo sussurrando attimo per attimo. Non te ne avvedi? E non importa se ne fai una tomba o un giardino di rose.'' ('''Beowulf''') (p. 150)