Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni

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====Citazioni====
*Il 12 marzo 1996, quando mancava poco più d'un mese alle elezioni, il pool di «mani pulite» ordinò l'arresto a Roma di Renato Squillante, settantenne capo dei Gip (i giudici per le indagini preliminari) romani, magistrato legato da una fitta rete di conoscenze - alcune delle quali si traducevano, secondo gli inquirenti, in favori – a gente della cosiddetta «Roma bene» (che spesso e volentieri è «Roma male»). La cattura e la «traduzione» dell'anziano giudice da Roma a Milano avvennero con l'apparato scenografico che in queste operazioni, sempreché si svolgano sotto gli occhi delle telecamere, non manca mai. Gli italiani videro in televisione un carosello di auto rombanti e un nugolo di uomini in divisa, mentre sarebbe bastato un agente, e un viaggio (seppur non privo d'incognite alla luce d'un successivo disastro ferroviario) con il Pendolino. Ma al di là dell'enfasi spettacolare, l'arresto era sensazionale. (pp. 39-40)
*Un alto magistrato finiva in galera con l'accusa d'aver ricevuto mazzette e d'essersi adoperato per sviare e adulterare il corso della giustizia a vantaggio di chi lo foraggiava. Con lui finì dentro l'avvocato Attilio Pacifico, complice, secondo [[Francesco Saverio Borrelli|Borrelli]] e i suoi sostituti, nella grande abbuffata. Ben presto si seppe che la «gola profonda» delle rivelazioni che avevano portato a Squillante era una teste – designata in codice come Omega – che per l'anagrafe si chiamava Stefania Ariosto, bionda signora quarantaseienne, assai nota nella «Milano bene» (qui vale la stessa osservazione fatta a proposito della «Roma bene») per il suo fascino elegante, per le sue frequentazioni importanti, per le sue irrequietezze, per i suoi molti debiti e per l'affettuosa amicizia
abbuffata. Ben presto si seppe che la «gola profonda» delle rivelazioni che avevano portato a Squillante era una teste – designata in codice come Omega – che per l'anagrafe si chiamava Stefania Ariosto, bionda signora quarantaseienne, assai nota nella «Milano bene» (qui vale la stessa osservazione fatta a proposito della «Roma bene») per il suo fascino elegante, per le sue frequentazioni importanti, per le sue irrequietezze, per i suoi molti debiti e per l'affettuosa amicizia
– tutti sappiamo cosa s'intende con questo – che la legava all'avvocato Vittorio Dotti. (p. 40)
*L'Ulivo era un contenitore, più che un vero schieramento, i «Popolari» in cui [[Romano Prodi|Prodi]] ideologicamente si riconosceva erano un partito minore cui la discendenza diretta dalla Dc di sinistra non dava un gran titolo di nobiltà. Nell'era d'un governissimo il personaggio Prodi avrebbe portato sulla scena politica, come certi simpatici caratteristi, un ''tocco'' di bonomia emiliana, ma poco d'altro. Per di più, come moderato disponibile per un'esperienza interlocutoria, [[Lamberto Dini|Dini]] era più sperimentato di Prodi, tecnico quanto Prodi, meno boiardo di Prodi. Inoltre il suo accento era ''yankee'', non bolognese. L'Ulivo di Prodi era in grado di affrontare la prova delle urne, e di superarla vittoriosamente, se alle urne si andava presto: un'armata composita si decompone, se resta troppo a lungo nei bivacchi.