Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni
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====Citazioni====
dum'' (consentiteci di non scrivere ''referenda'', al plurale) è: pochi ma buoni.
*Dopo la fuga del dittatore Siad Barre da Mogadiscio (gennaio 1991) la [[Somalia]] era stata preda delle convulsioni d'una feroce guerra civile. Nell'intento di risollevarla dall'abisso in cui era sprofondata, I'[[Organizzazione delle Nazioni Unite|Onu]] aveva approvato l'invio di 36 mila uomini messi a disposizione da venti Paesi diversi, e coordinati da un comando degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. A capo del contingente italiano s'erano succeduti i generali Giampiero Rossi, Bruno Loi e Carmine Fiore. Nel maggio del 1993 la responsabilità dell'impresa – la cui etichetta era diventata ''Continue Hope'' – passava direttamente all'Onu, senza che per questo ne crescesse l'efficacia. Poi fu il «tutti a casa», e il contingente italiano abbandonò Mogadiscio il 20 marzo 1994, lo stesso giorno in cui fu assassinata la giornalista Ilaria Alpi del Tg3. ''Restore Hope'' aveva forse lenito sofferenze materiali, ma non pacificato né ripristinato un tollerabile contesto d'istituzioni democratiche. Insomma poco meno che un disastro: del quale non poteva essere chiamata a rispondere l'Italia, coinvolta in un'impresa fallimentare voluta e organizzata dagli Stati Uniti. I reparti italiani avevano pagato un prezzo di sangue (con una dozzina di morti) per la loro presenza, e altri morti s'erano avuti, in quell'imperversare di banditi e di fazioni sanguinarie, tra giornalisti, fotografi, cineoperatori. Carmen Lasorella era scampata a un agguato nel quale aveva perso la vita il suo operatore Marcello Palmisano, in un altro agguato era stata uccisa, come s'è accennato, Ilaria Alpi. Quelle tragedie erano ormai passate all'archivio, nella coscienza del Paese.
*L'impresa di questi secessionisti da sbarco, che s'erano impadroniti d'una motonave lagunare per raggiungere il loro obbiettivo e che disponevano d'armi per fortuna non utilizzate e d'un artigianale mezzo blindato (Vtd ossia Veneto Tank Distruttore, più colloquialmente tanko, o tanketo) ha scosso l'Italia e interessato il mondo. L'azione di guerriglia incruenta s'era svolta nello scenario più suggestivo e solenne che si potesse immaginare, e i richiami alla gloriosa Repubblica dominatrice dei mari, ai dogi, a un cattolicesimo integralista di tipo vandeano, erano fatti apposta per ispirare romantiche fantasticherie e nostalgie. Accantonate le quali gli assaltatori e i loro complici apparivano solo l'espressione di confusi risentimenti e di grossolane velleità politiche: il tutto tradotto in un ''blitz'' vernacolo da «Se no i xe mati no li volemo». Gente modesta gli incursori e – fuori da questa parodia del Chiapas – onesta e tranquilla: ma ubriacata – oltre che dalla grappa – dalla predicazione del professor [[Gianfranco Miglio|Miglio]], ad altissimo tasso d'alcol ideologico, da letture male assimilate e da trascorsi storici male adattati all'attualità. Dapprima questi fanatici da bar s'erano limitati al disturbo di trasmissioni televisive della
*[[Armando Cossutta|Cossutta]] e Bertinotti sono una strana coppia. Cossutta è un ''apparatchik'' di matrice sovietica, Bertinotti ha le sue radici ideologiche nel socialismo di Riccardo Lombardi: che era intelligente e di un'onestà cristallina: ma covava la voluttà dello sfascio, era contento come una pasqua se gli riusciva di mettere a soqquadro un governo, o il suo partito, o la sua corrente. Quell'insegnamento Bertinotti non l'ha dimenticato. Il male oscuro del governo Prodi veniva dunque da lontano, dalle desistenze che erano utili ma piuttosto disoneste, e da una maggioranza che di quelle desistenze era il frutto: e che metteva insieme gli inflessibili contabili di Bankitalia e gli sbarazzini inventori dell'occupazione per decreto. Pare che all'estero Bertinotti sia piaciuto: è piaciuto anche [[Dario Fo]], insignito del Nobel mentre Prodi annunciava il suo congedo dopo 514 giorni a Palazzo Chigi e mentre Silvio Berlusconi rinunciava ad essere candidato ''premier'' per il Polo nell'eventualità di elezioni ravvicinate, riservandosi i compiti di regista della coalizione di centrodestra. Bertinotti, Fo, anche Bossi sono, a modo loro, divertenti. L'Italia seria lo è molto meno.
*S'è perpetuata l'anomalia di questa stagione della politica italiana: l'opposizione che il governo deve tenere a bada non è quella ufficiale, è quella interna alla maggioranza. L'anomalia durerà – quale che sia lo schieramento al potere – finché dureranno in Italia non solo regole imperfette avvolte da una giungla di cavilli, ma un costume politico bizantino, allergico alla chiarezza. Un costume che ci propina le quasi-crisi, le quasi-maggioranze, le quasi-riforme. E non c'è rimedio.
====[[Explicit]]====
Questo volume segna il capolinea della nostra Storia dell'Italia contemporanea. [[Mario Cervi]], di parecchi anni più giovane di me, potrà, se vorrà (e io spero che lo voglia) continuarla da solo. Io debbo prendere congedo dai nostri lettori. E non soltanto per ragioni anagrafiche, anche se di per sé abbastanza evidenti e cogenti. Ma perché il congedo l'ho preso negli ultimi tempi dalla stessa Italia, un Paese che non mi appartiene più e a cui sento di non più appartenere. [...] Credemmo che l'Italia avesse liquidato [...] un regime {{NDR|quello [[fascismo|fascista]]}} che le aveva impedito di essere se stessa. Ed invece gli eventi [...] ci dimostravano che non era affatto cambiata con il cambio del regime. Erano cambiate le forme, ma non la sostanza. Era cambiata la retorica, ma era rimasta retorica. Erano cambiate le menzogne, ma erano rimaste menzogne. Erano soprattutto cambiate le mafie del potere e della cultura, ma erano rimaste mafie. [...] Entrambi assistemmo e fummo i cronisti della rapida degenerazione della democrazia in partitocrazia, cioè in un oligopolio di camarille e di gruppi che esercitavano il potere in nome della cosiddetta «sovranità popolare»; in realtà nel solo interesse di quei gruppi e camarille, che di interesse ne avevano uno solo: che il potere restasse «cosa nostra», come infatti per quasi cinquant'anni è stato, e come seguita ad essere anche ora che ha cambiato titolari, ma sempre restando «cosa nostra». [...] Anche la Repubblica, «nata dalla Resistenza», com'era d'obbligo chiamarla, riconobbe ed anzi enfatizzò l'indipendenza della Magistratura dal potere politico. E per meglio garantirla, la dotò di un organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura, riservandosene però una componente «laica», cioè di non magistrati nominati ai quei posti dal potere politico, e per esso dai tre maggiori partiti, che se lo contendevano, o meglio se lo spartivano. [...] È questo che spiega l'impunità con cui le forze politiche poterono compiere la loro opera di corruzione, che non consisteva soltanto nel prelievo dei pedaggi imposti a tutte le attività economiche pubbliche e private, [...] che alla corruzione avrebbero dovuto porre un freno e che invece ne diventarono lo strumento. La [[corruzione]] non è un fenomeno soltanto italiano. [[Georges Clemenceau|Clemenceau]] diceva che non c'è democrazia che ne sia al riparo. Ma quella che aveva sotto gli occhi lui, in Francia, si limitava alla classe politica, forse non molto migliore della nostra. Ma a sbarrarle la strada c'era uno Stato che dai tempi di Colbert era servito da una vera e propria casta di ''commis'', di funzionari rigorosamente selezionati in scuole speciali ed alla corruzione impermeabili. La burocrazia italiana non disponeva di un personale di altrettanto livello e non oppose resistenza al potere politico che se l'annesse distribuendo favori soprattutto di carriera agli arrendevoli e castighi a chi non si adeguava. I due milioni di miliardi e passa di debito pubblico non si possono spiegare che come il frutto di un reticolo di complicità fra classe politica e classe amministrativa che rese del tutto vano il disposto costituzionale secondo cui lo Stato non poteva procedere a spese che non fossero coperte da adeguate entrate. [...] Studente negli anni Venti, ho sognato, come tanti, quasi tutti i miei coetanei, di contribuire a fare del fascismo una cosa seria, e automaticamente ce ne trovammo emarginati. Ci schierammo con le poche forze liberaldemocratiche della Resistenza, e ce ne ritraemmo vedendola trasformata in uno strumento di partito e ridotta a grancassa della sua propaganda col consenso – o la sottomissione – della maggioranza degl'italiani. La speranza di contribuire a qualcosa di buono si riaccese subito dopo la Liberazione sotto la guida di pochi vecchi uomini del prefascismo, presto anch'essi emarginati dalle nuove leve di mestieranti della politica, abilissimi nei giochi di potere, ma soltanto in quelli. E da allora iniziò la degenerazione mafiosa della democrazia sotto gli occhi indifferenti, o ipocritamente indignati, di una pubblica opinione alle mafie assuefatta da secoli. Oramai sono giunto alla conclusione che la corruzione non ci deriva da questo o quel regime o da queste o quelle «regole», di cui battiamo, inutilmente, ogni primato di produzione. Ci deriva da qualche virus annidato nel nostro sangue e di cui non abbiamo mai trovato il vaccino. Tutto in Italia ne viene regolarmente contaminato. [...] Ho smesso di credere all'utilità di una Storia scritta al di fuori di tutti i circuiti della politica e della cultura tradizionali. Anzi, ad essere sincero sino in fondo, ho smesso di credere all'[[Italia]]. Questo volume, che include la sceneggiata di piazza San Marco, include anche la convinzione di uno dei suoi due autori che in un'Italia come questa anche una sceneggiata può bastare a provocarne la decomposizione. Sangue non ce ne sarà: l'Italia è allergica al dramma, e per essa nessuno è più disposto ad uccidere e tanto meno a morire. Dolcemente, in stato di anestesia, torneremo ad essere quella «terra di morti, abitata da un pulviscolo umano», che Montaigne aveva descritto tre secoli orsono. O forse no, rimarremo quello che siamo: un conglomerato impegnato a discutere, con grandi parole, di grandi riforme a copertura di piccoli giuochi di potere e d'interesse. L'Italia è finita. O forse, nata su dei plebisciti-burletta come quelli del 1860-'61, non è mai esistita che nella fantasia di pochi sognatori, ai quali abbiamo avuto la disgrazia di appartenere. Per me non è più la Patria. È solo il rimpianto di una Patria.
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