Claudio Pavone: differenze tra le versioni

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*Si moriva gridando «viva la libertà! viva Stalin!» o semplicemente «viva Stalin». E il fascino della figura di Stalin poteva espandersi anche su chi non era comunista. Ha raccontato un partigiano arruolatosi nel Gruppo di combattimento Cremona del CIL:
*:<span style= font-size:95%;>In una battaglia che stavamo facendo, in cui ci stavamo prendendo un mucchio di botte dai tedeschi, e stavamo lì lì per scappare, l'ufficiale aveva strillato per tre volte «Avanti Savoia!» e nessuno si muoveva. S'alzò in piedi un compagno – repubblicano -dice: «Avanti Stalin!». Si spostò tutta la compagnia.</span><ref>Testimonianza di Ferruccio Mauri, in Porrelli, Biografia di una città cit., p. 314.</ref> (Capitolo sesto, ''La guerra di classe'', p. 410)
* Gli uomini della brigata Gordini si dichiararono «pronti a impugnare dinuovo le armi in difesa degli interessi del popolo e della Democrazia italiana». [...] Più esplicitamente un partigiano ternano ha cura che la consegna delle armi agli inglesi avvenga nel modo più ordinato, coslcosì da mostrare che «in quell'occasione consegnavamo soltanto le armi, non certo la nostra capacità di organizzarci e armarci di nuovo»<ref>Testimonianza di Bruno Zenoni, in Portelli, Biografia di una città cit., p. 288.</ref>. (Capitolo ottavo, ''La politica e l'attesa del futuro'', p. 586)
* Alle esuberanze del combattentismo rosso si univano in effetti le diffidenze verso quello che rimaneva pur sempre uno Stato borghese, internazionalmente collocato nel campo imperialista. Qualche dubbio sulla piena legalità del dopo liberazione aveva serpeggiato anche nel gruppo dirigente comunista. [...] Diffidenze verso Roma, prive di spiccati segni ideologici, erano affiorate in campo azionista. [...] L'occultamento delle armi, «sotterfugio» autorizzato «sotto voce» da alcuni capi partigiani comunisti del Nord<ref>Quazza, Resistenza e storia d'Italia cit., p. 339.</ref>, fu il modo più immediato in cui si concretizzò la mescolanza di diffidenze e di speranze<ref>Quazza (ibid., p. 342), rinviando alle opere di Kogan e di Delzell, parla di una consegna delle armi avvenuta solo per il 60 per cento. La grande quantità di armi sequestrate dagli Alleati entro la fine di settembre – 215 000 fucili, 12 000 mitra, 5000 mitragliatrici, 760 bazooka, 12 autoblinde, 217 cannoni, ma solo 5000 pistole – è stata ritenuta un indice della forza raggiunta dalla Resistenza (Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi cit., I, pp. 89-90, che rinvia ai dati forniti da C. R. S. Harris, Allied Military Administration of Italy I943-45, H. M. Stationery Office, London 1957, p. 358). Le vicende del proprio parabello sono raccontate da L. Meneghello come indicative del clima del dopoguerra (Bau-sète cit., pp . 49-50). In alcune delle testimonianze raccolte da Portelli in ''Biografia di una città'' cit., al prudente silenzio dei primi anni si è sostituita la spavalda rivendicazione. Mario Filipponi parla ad esempio di «tonnellate» di armi nascoste e racconta di un segretario di federazione che diceva «non sarà oggi, sarà fra un anno, fra cinque, le armi dobbiamo prenderle in mano» (p. 299). Le punte più spinte delle reazioni all'attentato a Togliatti del 14 luglio 1948 – Genova, Piombino – vanno lette anche in questa chiave.</ref>. (Capitolo ottavo, ''La politica e l'attesa del futuro'', p. 587)