Giovanni De Castro: differenze tra le versioni

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Milano nel Settecento: incipit
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*Enfantin voleva giungere alle estreme applicazioni. Fedele al concetto di niente reprimere e di tutto soddisfare, egli mirava a far entrare nei costumi l'apoteosi della gioia e del lusso, delle feste, della galanteria; gli pareva che nemmeno questi impulsi avessero a rimanere infruttuosi per il bene comune. Era tempo che si legittimasse, pur disciplinandolo, anche il piacere, cessando di adulare il dolore e la rassegnazione, e di considerarli necessari e provvidi: insomma un rovesciamento completo delle idee morali che hanno conferma nella coscienza e nelle credenze religiose. (p. 252)
 
==[[Incipit]] di ''Milano nel Settecento''==
Il monotono e uggioso Seicento volgeva alla fine, e s'avvicinava a gran passi un nuovo secolo. Benché la trista esperienza del passato avesse dovuto disabbellire in noi le aspettative, che danno valore a questi grandi passaggi del tempo, pure notavasi in molti quella vaga ansietà, che suole precedere la comparsa di un nuovo ciclo di anni. E codesta ansietà era accresciuta dalle notizie che si diffondevano in Europa, e che, variamente stravolte, giungevano anche alle nostre orecchie. Si prevedeva una grande catastrofe. Il ''nostro re'' Carlo II di Spagna era infermiccio, e poteva mancare d'ora in ora: già litigavano le potenze per la divisione delle opime spoglie: già si apparecchiavano leghe contro leghe; e perfino nell'escuriale si tendevano insidie o si ordinavano macchinazioni per prevenire gli eventi o per volgere a proprio benefizio i vacillanti voleri di un moribondo.<br>A chi sarebbe toccato il Milanese?
 
==Bibliografia==