Dragonlance: differenze tra le versioni

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==''I draghi della Luna evanescente''==
*«Allora perché la sua anima non se n'è andata con le altre?» replicò [[Divinità di Dragonlance#Sargonnas|Sargonnas]]. «Perché indugia qui, se non per sfruttare la nostra debolezza?» «Perché rimani qui, Raistlin Majere», chiese severamente Paladine, «quand'eri libero di progredire?». «Perché mi manca metà di me stesso», ribatté Raistlin, e si girò verso il dio, incontrando il suo sguardo. «Insieme, mio fratello e io siamo entrati in questo mondo, e insieme lo lasceremo. Abbiamo camminato divisi per gran parte delle nostre vite. È stata colpa mia. Se posso evitarlo, non saremo separati nella morte.»
 
*«Peccato che non te ne sia accorto prima», ruggì Sargonnas in direzione di Zivilyn. Poi il dio minotauro puntò lo sguardo su Raistlin. «Supponiamo che questo maledetto kender sia vivo. Perché mai recitava una formula magica? Voi stregoni non mi siete mai piaciuti, ma almeno avevate abbastanza buon senso da impedire ai kender di usare la magia. Per me, questa tua storia puzza come il pesce di ieri.»
 
*Ripensandoci, dovette ammettere con se stesso che c'erano stati momenti in cui il mago {{NDR|Raistlin}} non era certo stato amichevole nei suoi confronti. E restava il fatto che Raistlin aveva veramente ucciso gli gnomi. O per lo meno, ne aveva ucciso uno per avere aggiustato il Congegno per Viaggiare nel Tempo. Quello stesso congegno, anche se non quello stesso gnomo. Raistlin indossava vesti nere come le aveva indossate allora e sebbene Tasslehoff trovasse a volte Conundrum estremamente irritante, non voleva vederlo morto. Così, per il bene dello gnomo, decise di stare zitto e di non balzare addosso a Raistlin. (Tasslehoff)
 
*«Ho sentito raccontare di una ragazza elfica che portava l'armatura», protestò un altro, un tipo apparentemente polemico. «Mio nonno cantava una canzone su di lei. Erano i tempi della Guerra della Lancia.» «Bah! Tuo nonno era un vecchio ubriacone», esclamò un terzo. «Non era mai andato da nessuna parte. È vissuto e morto nei bar di Flotsam.» «Eppure ha ragione», affermò una delle mogli dei mercanti. «Nel corso della grande guerra ci fu una ragazza elfica che combatté valorosamente. Si chiamava Loony-tarry.» «Lunitari era la vecchia dea della magia, mia cara», la corresse un'amica, dandole un colpetto con il gomito. «Quella che se n'è andata lasciandoci alla mercé di questi draghi immensi e mostruosi.» «No, sono sicura di no», replicò l'altra, offesa. «Era Loony-tarry e uccise una di quelle bestiacce con uno strumento di origine gnomica, una specie di lancia, che la donna conficcò nella gola della bestia. Quanto vorrei che ne arrivasse un'altra e riservasse lo stesso servizio a questi nuovi draghi.»
 
*«Hai commesso un errore, mia regina», continuò Soth, parlando alle ombre, dove sapeva che lei si nascondeva, in attesa. «Hai usato la mia rabbia per tenermi in pugno e mi hai trascinato qui per potermi usare ancora. Ma mi hai lasciato solo troppo a lungo. Mi hai lasciato nel silenzio nel quale potevo sentire ancora la voce della mia amata moglie. Mi hai lasciato nell'oscurità che è divenuta la mia luce, poiché potevo vedere ancora una volta il volto della mia sposa. Potevo vedere me stesso e ciò che vedevo era un uomo consumato dalla paura. È stato allora che ti ho vista per quella che sei. «<br/>Ho combattuto per te, Regina Takhisis. Credevo che la tua causa fosse la mia. Il silenzio mi ha insegnato che eri tu a nutrire la mia paura, innalzando intorno a me un anello di fuoco che non sarei mai riuscito a superare. Ora il fuoco si è spento, mia regina. Intorno a me ci sono solo ceneri.»
 
*«Mi inginocchio nel sangue della mia sposa e nel sangue di tutti coloro che sono morti perché avevo paura. La imploro di perdonarmi per il male che le ho causato. Imploro il perdono di tutti quanti.» «Non può esserci perdono», ribatté Mina in tono duro. «Che siate maledetto. L'Unica Dea getterà la vostra anima nell'oscurità del tormento e del dolore infiniti. È questo quello che volete?» «La morte è ciò che voglio», disse Lord Soth. Infilò una mano sotto la corazza ed estrasse una rosa. Era morta da anni, ma il colore non era sbiadito. La rosa era rossa come le labbra, rossa come il sangue della donna che aveva amato. «Se la morte porta tormento, l'accetto come mia giusta punizione.» Lord Soth vide Mina riflessa nel fuoco della sua anima. «La tua dea non mi ha più in pugno. Non ho più paura.»
 
*«Quando dico "lei", non intendo Mina», spiegò il minotauro. «Intendo l'Unica Dea. Non hai mai pensato di scoprire il suo nome?» «Il nome dell'Unica Dea?» Gerard era viepiù seccato da quella conversazione. «No. In tutta onestà, non me ne è mai importato un fico...» «Takhisis», annunciò Galdar. «... secco», concluse Gerard, e ammutolì. A cavallo sulla strada, al buio, pensava: è tutto logico. È tutto così dannatamente, orribilmente, mostruosamente logico. Non c'era bisogno di chiedergli se credesse al minotauro. Nel suo intimo, Gerard aveva sempre sospettato la verità.
 
*Cosa aveva sperato? Che il Solamnico gli provasse che sbagliava? «Bah!» grugnì Galdar. «È prigioniero nella stessa rete di tutti noi. E non c'è via di uscita. Né ora, né mai. Nemmeno nella morte.»
 
*«Ho pensato molto a quello che hai detto nella grotta del potente Skie», dichiarò lentamente Razor. «Sul fatto che nessuna delle calamità che hanno colpito questo mondo sarebbe successa se non fosse stato per Takhisis. Odiavo e detestavo Paladine e gli altri cosiddetti dei della luce. Maledicevo il suo nome, e se avevo la possibilità di uccidere uno dei suoi campioni, la coglievo e me ne gloriavo. Aspettavo con ansia il giorno in cui la nostra regina avrebbe dominato incontrastata. <br>Ora quel giorno è arrivato, e me ne dispiaccio. Lei non ha alcun affetto per noi.» Razor fece una pausa, poi aggiunse: «Ti vedo sorridere, Argento. Pensi che "affetto" sia la parola sbagliata. Sono d'accordo. I seguaci della Regina Scura non sono famosi per essere individui amorevoli. Rispetto. Ecco la parola adatta. Takhisis non ha rispetto per coloro che la servono. Li usa finché non le sono più utili, e poi li getta via. No, non intendo più servire Takhisis». (Il drago Azzurro Razor a Mirror)<br>
 
*Perché non vedevano come stavano realmente le cose? Che cosa li accecava? Takhisis. Questa è opera sua, pensò Gilthas. Ora che è libera di governare il mondo, si è impossessata del dolce elisir dell'amore, lo ha mescolato con il veleno e lo ha offerto sia alla madre che al figlio. L'amore di Silvanoshei per Mina è divenuto un'ossessione. L'amore di Alhana per il figlio le annebbia la mente. Come possiamo combattere tutto ciò? Come possiamo combattere una dea quando anche l'amore – la nostra arma migliore contro di lei – è contaminato?
 
*Nelle leggende dei minotauri, Kaz era l'eroe, che salvava la vita a Huma più e più volte e, alla fine, Huma era sempre umilmente grato al valoroso minotauro, che accettava i suoi ringraziamenti con dignità condiscendente. Galdar aveva sempre creduto a queste leggende, ma ora cominciava a pensarla diversamente. Forse, in realtà, Kaz aveva combattuto con Huma perché gli voleva bene, proprio come lui ne voleva a Mina.
 
*Galdar sapeva cosa Mina aveva in mente, e l'amava per questo, anche se il cuore gli doleva solo a pensarci. Inginocchiandosi accanto all'altare, giurò che, se ci fosse stato un modo per fermarla, non l'avrebbe lasciata andare in battaglia da sola.
 
*Che cosa faremo Palin e io se Razor decide di cambiare partito? si chiese. Un drago cieco e uno stregone morto contro una dea. Be', se non altro, forse a Takhisis verrà il mal di pancia dalle risate. (Il drago d'Argento Mirror)
 
*Razor si alzò. Con i sensi rimasti, Mirror percepì il movimento al suo fianco. La mano dell'Azzurro si posò sulla sua spalla, forse per l'ultima volta. «Ho sempre odiato quelli della tua razza, Argento. Me ne rammarico, perché ho scoperto che abbiamo più cose in comune di quanto non pensassi.» «Siamo draghi», dichiarò Mirror, con semplicità. «Draghi di Krynn.» «Sì», convenne Razor. «Se solo ce ne fossimo ricordati prima.»
 
*Apparve Dalamar, materializzandosi dal fumo dei teschi bruciati. «Non avresti dovuto farlo, Palin. Non avresti dovuto interferire. La tua anima verrà condannata all'oblio. All'oscurità eterna.» «Quale sarà la ricompensa per i tuoi servigi?» gli domandò Palin. «La tua vita? No», si rispose alla domanda, «non ti interessa la vita. È la magia che vuoi». «La magia è vita», replicò Dalamar. «La magia è amore. La magia è famiglia. La magia è moglie. La magia è figlia.» All'interno del tempio, il corpo di Palin sedeva sulla panca, fissava senza vederle le fiamme delle candele che ondeggiavano, timorose e impotenti, spinte dai venti di tempesta che soffiavano nella stanza. «Che peccato», mormorò, mentre il suo spirito iniziò a rifluire, come acqua che si allontana dalla riva, «che solo alla fine abbia scoperto ciò che avrei dovuto sapere fin dall'inizio». «L'oscurità eterna», echeggiò Dalamar. «No», mormorò Palin, «perché oltre le nubi, splende il sole».
 
*Il drago d'argento avrebbe potuto liberarsi di quella debole forma umana e assumere il suo vero aspetto. Anche da cieco, avrebbe potuto difendersi dall'attacco della folla. Stese le braccia, che sarebbero divenute le ali d'argento, e sollevò la testa. Sentì il cuore riempirsi di gioia, anche se il pericolo incombeva su di lui. In un istante sarebbe stato nuovamente se stesso, l'argento delle sue squame avrebbe brillato nell'oscurità e avrebbe cavalcato i venti della tempesta.
 
*{{NDR|Takhisis}} urlò di rabbia, ma con una voce, non con cinque; ed era la voce di una mortale. Il fuoco dei suoi occhi, che un tempo aveva bruciato il sole, si ridusse al guizzo della candela che può essere spento con un soffio. Il peso di carne e ossa la trascinò giù dall'etere. I tonfi del cuore le risuonavano violenti nelle orecchie; ognuno le diceva che, un giorno, i battiti sarebbero cessati, e sarebbe venuta la morte. Doveva respirare, per non soffocare. Doveva applicarsi a tirare un respiro dopo l'altro. Sentiva i morsi della fame che non aveva mai conosciuto, e tutti gli altri dolori di quel corpo debole e fragile. Lei, che aveva percorso i cieli e vagato fra le stelle, fissò con disgusto i due piedi su cui ora era costretta ad arrancare.
 
*«Un giorno conoscerai il dolore della morte. Anzi, peggio, fratello» – Takhisis fece un sorriso cupo, sprezzante, mentre le ombre le velavano gli occhi – «conoscerai il dolore della vita». (Takhisis a Paladine)
 
*«Sei sicuro, Tas?» domandò Gerard, guardando il kender con tranquilla solennità. Tas annuì. «"Troppi hanno sacrificato troppo...", così ha detto Mirror. Ci ho pensato quando ho superato il confine del mondo: se muoio qui, dove non devo, tutto morirà con me. E poi, sai cos'è successo, Gerard? Ho avuto paura! Non avevo mai avuto paura, prima.» Scosse la testa. «Non così.»
 
*{{NDR|Gerard}} posò la mano sulla spalla di Tas. «Mirror aveva ragione. Tu sei saggio, forse la persona più saggia che io conosca, e certamente la più coraggiosa. Ti onoro, Tasslehoff Burrfoot.» Estraendo la spada, Gerard offrì al kender il saluto che un vero Cavaliere riserva a un altro. Un momento glorioso. «Addio», concluse Tasslehoff. «Possano le tue borse non essere mai vuote.»
 
*Fra le braccia, Raistlin teneva un corpo, avvolto in lenzuola bianche. «La tua anima è libera», disse Solinari in tono gelido. «Il tuo gemello ti aspetta. Hai promesso di lasciare questo mondo. Devi mantenere la promessa.» «Non ho nessuna intenzione di restare qui», replicò Raistlin. «Mio fratello mi aspetta, così come i compagni di un tempo.» «Ti hanno perdonato?» «O io ho perdonato loro», ribatté Raistlin in tono tranquillo. «È una questione fra amici e non vi riguarda.» Abbassò lo sguardo sul corpo che teneva in braccio. «Ma questa sì.» Raistlin depose il corpo del nipote ai piedi degli dei. Quindi, buttato indietro il cappuccio, li affrontò. «Chiedo a tutti voi un ultimo favore», disse. «Ridate la vita a Palin. Ridatelo alla sua famiglia.» (Raistlin a Solinari, Lunitari e Nuitari).
 
*Raistlin, inginocchiato accanto al corpo del nipote, sollevò il lenzuolo bianco. Palin aprì gli occhi e si guardò intorno confuso, poi posò lo sguardo sullo zio: la sua confusione aumentò. «Zio!» esclamò. Sedutosi, si allungò per prendere la mano dell'uomo. Le sue dita, la sua carne, le sua ossa e il suo sangue nella mano di Raistlin, che era la mano eterea del morto.
 
*«Grazie», disse Palin, sollevando il capo per guardare gli dei che lo circondavano radiosi. «Grazie, zio.» Tacque, quindi aggiunse: «Una volta prevedesti che sarei diventato il più grande mago di tutta Krynn. Non penso che accadrà mai». «Avevamo molto da imparare, nipote», replicò Raistlin, «su ciò che era veramente importante. Addio. Mio fratello e i nostri amici mi aspettano», disse sorridendo. «Tanis è come sempre impaziente di andare.» Palin vide davanti a sé un fiume di anime, un fiume che scorreva placidamente, lentamente, tra le rive degli esseri viventi. Il sole splendeva sul fiume, la luce stellare scintillava nelle sue impenetrabili profondità. Le anime dei morti guardavano davanti a loro verso un mare le cui onde lambivano le sponde dell'eternità, un mare che li avrebbe portati verso nuove terre. In piedi sulla riva, in attesa del suo gemello, c'era Caramon Majere. Raistlin raggiunse il fratello. Entrambi sollevarono la mano in segno di saluto, quindi entrarono nel fiume e si lasciarono trasportare dalle acque argentee, che fluivano nel mare infinito.
 
*Un elfo in abiti da viaggio, sporchi e sgualciti, si mise accanto a Gilthas. Non aprì bocca, ma restò a guardare in rispettoso silenzio, mentre le ceneri di Goldmoon e Riverwind venivano trasportate all'interno. «Addio, amici fedeli», mormorò. Gilthas si girò verso di lui. «Sono felice di avere l'opportunità di parlarvi, Èli...» iniziò. L'elfo lo zittì. «Non mi chiamo più così.» «E come dobbiamo chiamarvi, signore?» domandò Gilthas. «Ho avuto così tanti nomi», disse l'elfo. «Èli fra gli elfi, Paladine fra gli umani. Persino Fizban. E quello, devo ammetterlo, era il mio preferito. Ora non mi serve più nessuno di essi. Ho scelto un nuovo nome.» «Cioè?» chiese Gilthas. «Valthonis», rispose l'elfo. «"L'esule"?» si stupì Gilthas, confuso. All'improvviso capì. Cercò di parlare ma, con voce rotta, non riuscì a dire nient'altro che: «Allora condividerete il nostro destino». ([[Divinità di Dragonlance#Paladine|Paladine]] e [[Personaggi di Dragonlance|Gilthas]])
 
*In risposta, l'elfo {{NDR|Valthonis}} alzò lo sguardo verso il cielo notturno. «Un tempo in cielo c'era una stella rossa. Te la ricordi?» «Sì, signore.» «Cercala ora. La vedi?» «No, signore», affermò Gerard, esplorando con gli occhi la volta celeste. «Che cosa le è accaduto?» «Il fuoco della fucina si è estinto. Flint ha spento la fiamma, perché sapeva che non era più necessaria.» «Allora Tasslehoff l'ha trovato», commentò Gerard. «Tasslehoff l'ha trovato. Lui, Flint e i loro compagni sono nuovamente insieme», spiegò l'elfo. «Flint, Tanis, Tasslehoff, Tika, Sturm, Goldmoon e Riverwind. Aspettano solo Raistlin, che li raggiungerà presto, perché Caramon, il suo gemello, non se ne andrà senza di lui.» «Dove sono diretti, signore?» chiese Gerard. «Al prossimo stadio del viaggio delle anime», disse l'elfo. «Buona fortuna», mormorò Gerard. Lasciò la Tomba degli Ultimi Eroi, salutò l'elfo e, infilata la chiave in tasca, si diresse verso la taverna dell'Ultima Dimora. La calda luce che splendeva dalle finestre illuminava la via.
 
*In risposta, l'elfo {{NDR|Valthonis}} alzò lo sguardo verso il cielo notturno. «Un tempo in cielo c'era una stella rossa. Te la ricordi?» «Sì, signore.» «Cercala ora. La vedi?» «No, signore», affermò Gerard, esplorando con gli occhi la volta celeste. «Che cosa le è accaduto?» «Il fuoco della fucina si è estinto. Flint ha spento la fiamma, perché sapeva che non era più necessaria.» «Allora Tasslehoff l'ha trovato», commentò Gerard. «Tasslehoff l'ha trovato. Lui, Flint e i loro compagni sono nuovamente insieme», spiegò l'elfo. «Flint, Tanis, Tasslehoff, Tika, Sturm, Goldmoon e Riverwind. Aspettano solo Raistlin, che li raggiungerà presto, perché Caramon, il suo gemello, non se ne andrà senza di lui.» «Dove sono diretti, signore?» chiese Gerard. «Al prossimo stadio del viaggio delle anime», disse l'elfo. «Buona fortuna», mormorò Gerard. Lasciò la Tomba degli Ultimi Eroi, salutò l'elfo e, infilata la chiave in tasca, si diresse verso la taverna dell'Ultima Dimora. La calda luce che splendeva dalle finestre illuminava la via.
 
==''La leggenda di Huma''==