Ippolito Nievo: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Ippolito Nievo==
*Come vedi, la mia Musa sta molto sul positivo, ama i dettagli della vita pratica, e o trascura o sdegna i voli lirici e sentimentali dei poeti Pratajuoli: credo d'aver scelto la via se non più brillante almeno più utile. E poi mi sta dinnanzi quel grande esemplare del [[Giuseppe Giusti|Giusti]] che m'insegna il modo d'adoperarsi perché il verseggiare non sia un'inutilità sociale.<ref>Dalla lettera ad Andrea Cassa, 14 febbraio 1854; in ''Lettere'', a cura di Marcella Gorra, MilanoMondadori, MondadoriMilano, 1970, p. 264.</ref>
*Ho scritto questo dramma {{NDR|''Gli ultimi anni di Galileo Galilei''}} per purgare il gran [[Galileo Galilei|Galileo]] dell'accusa di viltà mossagli con tanta apparenza di verità dai suoi nemici. Cerco in esso di mostrare come alte e generose e veramente degne di lui furono le ragioni che lo indussero alla famosa ritrattazione. I.N.<ref>Citato in Dario Mantovani, ''Il poeta soldato'', p. 37.</ref>
*Invece mi tocca qui andar a zonzo col fucile in ispalla per ispaventare le passere del vicinato, e quando sono ad un certo punto tornarmene addietro per paura d'incappare nei Tedeschi! Oh qual felicità! S'immagini che li abbiamo qui a tre miglia, e che per valido antemurale abbiamo, credo, tre carabinieri appostati al confine! (dalla lettera a Luisa Sassi de' Lavizzari, in ''Tre lettere inedite'', a cura di Gaetano Cogo, Visentini, 1901<ref name=spe>La lettera fu spedita da Rodigo (MN) l'8 ottobre 1859.</ref>)
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*Che l'anima sua {{NDR|[[Ettore Carafa]]}} generosa e benedetta abbia in altro luogo quel premio che quaggiù non ottenne benché lo avesse valorosamente meritato! (cap. XVIII)
*Quanto sei bella, quanto sei grande, o [[patria]] mia, in ogni tua parte!... A cercarti cogli occhi, materia inanimata, sulle spiagge portuose dei mari, nel verde interminabile delle pianure, nell'ondeggiare fresco e boscoso dei colli, tra le creste azzurrine degli Appennini e le candidissime dell'Alpi, sei dappertutto un sorriso, una fatalità, un incanto!... A cercarti, spirito e gloria, nelle eterne pagine della storia, nell'eloquente grandezza dei monumenti, nella viva gratitudine dei popoli, sempre apparisci sublime, sapiente, regina! A cercarti dentro di noi, intorno a noi, tu ti nascondi talora per vergogna la fronte; ma te la rialza la speranza, e gridi che delle nazioni del mondo tu sola non moristi mai! (cap. XVI)
*Vi prenderà stupore e noia che la mia vita per qualche tempo cosícosì capricciosa e disordinata riprendesse allora un tenore quieto e monotono. Ma io racconto e non invento: d'altra parte è questo un fenomeno comunissimo e naturale nella vita degli Italiani, che somiglia spesso al corso d'un gran fiume calmo lento paludoso interrotto a tratti da sonanti e precipitose cascate. Dove il popolo non ha parte del governo continuamente, ma se la prende a forza di tanto in tanto, questi sbalzi queste metamorfosi devono succedere di necessità, perché altro non éè la vita del popolo se non la somma delle vite individuali. Per questo io girai alcuni anni lo spiedo, fui studente e un po' anche cospiratore; indi tranquillo cancelliere, poi patrizio veneto nel Maggior Consiglio e segretario della Municipalità: da amante spensierato di tutto mi mutai di colpo in soldato: di soldato in ozioso un'altra volta, poi in intendente e in maggiordomo: finii a maritarmi e a sonar l'organo. (cap. XIX)
*Allora si vide cosa fosse il Regno d'Italia senza Napoleone, e a che i [[Popolo|popoli]] sieno menati da istituzioni anche maschie senza libertà. Fu uno sgomento una confusione universale: un risollevarsi un combattersi di speranze diverse mostruose, tutte vane. A Milano si trucida un ministro, si abbattono le insegne dell'antico potere, si gavazza nella presente licenza non pensando al futuro. E il futuro fu come lo volevano gli altri; in onta alle rispettose e sensate domande della Reggenza provvisoria, in onta alle belle parole degli ambasciatori esteri. Il popolo non aveva vissuto; non viveva. (cap. XIX)
*Il giorno appresso abbandonai con dispiacere quelle incantevoli spiagge di [[Napoli]] che pur m'erano state fatali due volte: non le potei salutare cogli occhi, ma il cuore armonizzò co' suoi palpiti l'inno mestissimo della partenza. Sapeva di non doverle piúpiù rivedere, e se io non moriva per loro, esse restavano come morte per me. (cap. XX)
*O [[patria]] patria, come allarghi i tuoi legami per tutto il mondo! Due nati sotto il tuo cielo si riconoscono senza palesar il proprio nome sulla terra straniera, e una forza irresistibile li spinge l'uno all'altro fra le braccia! (cap. XXIII)
*{{NDR|Lucilio rivolgendosi a Carlo Altoviti}} Credo nel futuro della [[scienza]], se almeno qualche cometa o il raffreddamento della corteccia terrestre non verrà a guastare l'opera dei secoli. Credo all'entusiasmo delle anime che irrompendo quandocchesia nella vita sociale anticiperanno di qualche millennio il trionfo della scienza, come il matematico calcolatore è prevenuto nelle sue scoperte dalle audaci ipotesi del poeta! (cap. XX)
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O primo ed unico amore della mia vita, o mia Pisana, tu pensi ancora, tu palpiti, tu respiri in me ed intorno a me! Io ti veggo quando tramonta il sole, vestita del tuo purpureo manto d'eroina, scomparir fra le fiamme dell'occidente, e una folgore di luce della tua fronte purificata lascia un lungo solco per l'aria quasi a disegnarmi il cammino. Ti intravedo azzurrina e compassionevole al raggio morente della luna; ti parlo come a donna viva e spirante nelle ore meridiane del giorno. Oh tu sei ancora con me, tu sarai sempre con me; perché la tua morte ebbe affatto la sembianza d'un sublime ridestarsi a vita più alta e serena. Sperammo ed amammo insieme; insieme dovremo trovarci là dove si raccolgono gli amori dell'umanità passata e le speranze della futura. Senza di te che sarei io mai?... Per te per te sola, o divina, il cuore dimentica ogni suo affanno, e una dolce malinconia suscitata dalla speranza lo occupa soavemente.
 
== ''Storia filosofica dei secoli futuri'' ==
=== [[Incipit]] ===
 
=== [[Incipit]] ===
La scienza delle analogie ha donato alla terra l'America ed al cielo i pianeti di Leverrier. Essa somiglia a quelle donne, nate per regnare nei balli e nei teatri, di cui ognuno contesta la bellezza, salvo poi a caderne innamorati alla prima occasione. Eterna e sempre giovine erede di [[Platone]], essa batte colle ali dipinte di iride gli ultimi confini dello scibile umano, mentre la scienza sperimentale, tabaccona contemporanea di [[Galileo Galilei|Galileo]], incespica ad onta de' suoi occhiali nei ciottoli della strada postale.
 
=== Citazioni ===
*La buona novella ch'io {{NDR|Giovanni Mayer, ''Papa della buona gente''}} ho portato è questa: che si vive per vivere, che perciò bisogna viver bene, e che a viver bene giovano il buon umore, il lavoro moderato, e il fare e l'accettare benefizi. Ecco la mia religione; che fa salvi, allegri e contenti tutti, meno gli oziosi e i birbanti. Il mondo è fatto per tutti; bisogna metter via quel vecchio salmo della mortificazione della carne inventato dai ricchi a danno dei poveri; occorre dar a tutti una parte di felicità qui in questo mondo, ove siamo certi di goderla. Al resto pensi Iddio; e salute a tutti! (Libro terzo)
*L'introduzione delle lingue articolate, la formazione delle famiglie, il trovato della navigazione, l'agricoltura, lo stabilimento delle città, la codificazione morale religiosa, il dogma dell'eguaglianza umana, l'invenzion della polvere e della stampa, il trionfo della libertà di coscienza, l'applicazione del vapore e dell'elettrico, l'assetto definitivo della nazionalità, la concordia democratica universale, e la sanzione sociale del diritto di viver bene aveano condotto l'umanità di metamorfosi in metamorfosi a non riconoscersi più nella sua forma originale. (Libro quarto)
*I medici lo denominarono la peste apatica, e sembra infatti ch'egli riconosca origine dall'indolenza relativa cui son condannaci ora gli organi umani dopo tanti e tanti secoli di soverchia e convulsiva fatica. Questo contagio putrido e spaventevole, il raffreddamento sensibilissimo della superficie terrestre, e l'aumento graduale della noia e del suicidio per causa di essa sono i tre pericoli cui andiamo incontro, e nell'uno dei quali una volta o l'altra l'umanità finirà col soccombere. (Libro quinto)
 
=== [[Explicit]] ===
Io non so cosa dirne. Sono un po' avvilito di metter fuori per ''istorie de' secoli futuri'' questa cantafera; ma pare che il nostro postero, Vincenzo Bernardi di Gorgonzola la penserà o scriverà così nel 2221 e io l'ho trascritta religiosamente dalla prima parola all'ultima... Sarà tutto vero? ''Ai posteri l'ardua sentenza''! Noi limitiamoci in ogni caso a pregare in queste ultime righe la futura maestà del patriarca Adolfo Kurr; perché questo libro appartenente per la data e l'autore al 2222 sia risparmiato dall'eccidio universale che sarà bandito da lui contro tutti i libri anteriori al 2000. Così potranno verificare se il racconto del signor Vincenzo Bernardi sarà stato veritiero sino all'ultima linea. Ed io pure aggiungo: sia pace all'anima sua; e sia aiutato a suo tempo a venir al mondo da una buona comare!
 
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===''Il conte pecoraio''===
Un bel paesino guarda nel mezzano Friuli<ref>Pur troppo chi ha su per le dita i governi della Russia ed i Distretti del Canadà ignora sovente la partitura naturale e le condizioni delle nostre provincie sorelle. Né il Friuli ci guadagna da codesta ignoranza, disconosciuto e calunniato ch'egli è, anche innocentemente, dai chiacchieroni e dalle gazzette. Per chi ne ha d'uopo aggiungo cosícosì all'infretta queste note, gli errori delle quali saranno forse meno massicci di quelli che corrono tuttavia per prette verità sulle bocche anche de' nostri letterati. — Il Friuli ha il suo nome dal ''Forum Julium'' (il Cividale d'oggidí, 10 miglia al nord-est di Udine). Esso fu dapprima, come suona il nome, provincia romana; corso poi e saccheggiato da ogni schiatta di barbari, principalmente dagli Unni; tenuto col resto dell'Italia settentrionale dai Longobardi, che vi ebbero un potentissimo Duca; ereditato dai Franchi e dagli Imperatori di Alemagna; sorto a vita quasi propria sotto il dominio dei Patriarchi d'Aquileia che lo tennero come feudo imperiale; lacerato al pari d'ogni nostra provincia da guerre intestine, piú di tutte, da guerre castellane e da discordie famigliari; scorrazzato da Ungheri, da Uscocchi, da Turchi (l'ultima scorreria di costoro fu nel 1470); passato per estorta dedizione alla Repubblica di Venezia, che sempre lo governò con leggi e consuetudini proprie e con nazionale Parlamento, dandogli il nome venerabile di Patria, comeché da Aquileia si vogliano fuggiti i primi abitatore di Rialto. — Esso comprende, ne' suoi confini naturali: ''la regione fra Livenza e Tagliamento'' con S. Vito Pordenone e Portogruaro (quest'ultimo ora nella provincia di Venezia); ''il pedemonte e la pianura fra il Tagliamento, l'Isonzo ed il mare'', con Udine, Cividale (in friulano Cividat o Civitas per antonomasia), San Daniele, Gemona, Palmanova e Latisana; ''la montagna superiore a tutte queste fiumane'', soprannominata la ''Cargna'' (non la vera ''Carnia'', che era oltre le Alpi nella Carinzia e Carniola) ''le vallate fra Tagliamento ed Isonzo'', nelle quali son chiusi i comuni slavi del Friuli, divisi nelle due popolazioni disparatissime per indole, dialetto e costumi, di Resia e di S. Pietro; ''parte della Contea di Gorizia'' colla città di questo nome, che parla una varietà del Friulano; finalmente il cosí detto ''Territorio fra l'Isonzo, il Carso Triestino ed il Mare'', con Gradisca, Monfalcone, Aquileia e Grado, già appartenente alla Repubblica di Venezia ed ora con tutta la Contea di Gorizia aggregato al Regno Illirico. — I distretti alpini del Cadore e del Comelico stettero altre volte col Friuli; ora con miglior distribuzione fanno parte della Provincia di Belluno; nella quale non si parla già il vernacolo friulano, come pretese l'eccellentissimo dei nostri almanacchi, tanto e si vanamente desiderato anche quest'anno, sibbene un gergo affatto Veneziano. In tutte le regioni summentovate la popolazione passa, a mio credere, le 550.000 anime; delle quali meglio di mezzo milione parla il dialetto Romanzo Friulano. Quella parte poi del Friuli naturale che forma l'attual Provincia del Friuli col capoluogo di Udine (la più vasta e popolata fra le Lombardo-Venete) somma poco meno che 500.000 abitanti, dei quali solo poche migliaia parlano alcuni dialetti slavi, o il vernacolo Trevisano (nel distretto di Sacile fra. Piave e Livenza). — Tutti gli altri usano del parlare Friulano, puro, nobile e antichissimo germoglio della gran Lingua Italica; nel quale non sono piú frequenti le radicali forestiere che nel Milanese o nel Bergamasco, pochissime derivanti dallo Schiavonesco e nessuna, a mia saputa, dal Tedesco. Vi predomina l'elemento Celtico; del che potrebbe darci schiarimento quel passo di Tacito che dice il Foro Giulio colonia della Gallia Narbonese. — La lontananza, la gelosia del Governo Dogale, la vita affatto provinciale e il frapposto Tagliamento, che solamente da mezzo secolo soffre il peso d'un ponte lungo quasi un chilometro, tennero diviso dalla famiglia italiana questo popolo solerte, robusto, frugale, ammirabile per la santità e semplice vaghezza de' suoi costumi. Eguali cagioni vi tardarono gl'incrementi delle arti, delle lettere, delle scienze, che ora vi allignano, come in vergine suolo, piú potentemente che altrove. Tuttavia, anche parlando del passato, Paolo Diacono, Giovanni da Udine, Pellegrino da S. Daniele, Amalteo Pordenone, il poeta Ciro da Pera, il generale Savorgnano, lo storico Liruti e Fra Paolo Sarpi nacquero Friulani e crebbero onore all'Italia. Sicché anche la fecondità di tempi meno avveduti conforta la speranza, che al Friuli, come parte rilevantissima della patria comune e protettor naturale della coltura italiana in Istria ed in Dalmazia, non verranno meno né il cuore né le forze, e che darà buoni frutti l'opera avviatrice sí altamente compresa da molti scrittori e pratici viventi.</ref> lo sbocco d'una di quelle forre, che dividono il parlare italico dallo slavo; ma quanto le montagne gli si radunano da tergo aspre e aggrottate, altrettanto esso ride tutto aperto e pampinoso incontro al sole che lo vagheggia dall'alba al tramonto anche nelle giornate piú avare del verno. Pronunciare cosi di botto le tre dolci sillabe del suo nome, sarebbe come innamorarvene addirittura, e togliere a me scrittore il merito di un tal trionfo; onde, lettori garbati, accontentatevi di sapere per ora, come lo divida per mezzo il torrente Cornapo, nato poche miglia piú sopra tra le prime vedette del grande accampamento slavo.
 
===''Il Varmo''===
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==Citazioni su Ippolito Nievo==
* Cosa sarebbe mancato con lui? un destino brillante ad uso di una nazione giovane e confusa? E con loro, con quelli che gli venivano dietro? Le vite oscure, quelle stesse che aveva cominciato a scrivere in un nuovo romanzo appena iniziato, il ''Pescatore d'anime'', che aveva aperto come una nuova collezione, chiamandola: " la vita degli uomini oscuri". ([[Stanislao Nievo]])
 
* Cosa sarebbe mancato con lui? un destino brillante ad uso di una nazione giovane e confusa? E con loro, con quelli che gli venivano dietro? Le vite oscure, quelle stesse che aveva cominciato a scrivere in un nuovo romanzo appena iniziato, il ''Pescatore d'anime'', che aveva aperto come una nuova collezione, chiamandola: " la vita degli uomini oscuri". ([[Stanislao Nievo]])
 
*{{NDR|Parla Ippolito Nievo}} Così sono, e son condannato a esserlo. Sarò sempre fantastico, buio, tenebroso, bilioso. Ho ormai trent'anni e ho sempre fatto la guerra, per distrarmi da un mondo che non amo. E così ho lasciato a casa un grande romanzo ancora manoscritto. Vorrei vederlo stampato, e non posso occuparmene perché ho questi sudici conti da curare. Se fossi ambizioso, se avessi sete di piaceri... se fossi almeno cattivo... come [[Nino Bixio|Bixio]]. Niente. Mi conservo ragazzo, vivo alla giornata, amo il moto per muovermi, l'aria per respirarla. Morirò per morire, e tutto sarà finito. ([[Umberto Eco]])
*"D'accordo su Carini" disse [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]]. "Ma non capisco perché all'altro estremo mettiate questo povero barone: che ci apre, sì, il palazzo e le cantine, ed è già molto… ma non credo abbia a farsi perdonare, e che nasconda odio per noi."<br />"Perché" disse Nievo "io credo nei siciliani che parlano poco, nei siciliani che non si agitano, nei siciliani che si rodono dentro e soffrono: i poveri che ci salutano con un gesto stanco, come da una lontananza di secoli; e il colonnello Carini sempre così silenzioso e lontano, impastato di malinconia e di noia ma ad ogni momento pronto all'azione: un uomo che pare non abbia molte speranze, eppure è il cuore stesso della speranza, la silenziosa fragile speranza dei siciliani migliori… una speranza, vorrei dire, che teme se stessa, che ha paura delle parole ed ha invece vicina e famigliare la morte… Questo popolo ha bisogno di essere conosciuto ed amato in ciò che tace, nelle parole che nutre nel cuore e non dice…"<br />"Questa è poesia" disse Sirtori.<br />"Oh, certamente" disse Nievo. "Ma per far prosa vi dirò, e il generale vorrà perdonarmi, che non mi piace questo barone; e non mi piacciono i siciliani come Cri…"<br />Garibaldi fece un gesto reciso "torniamo alla poesia" disse. ([[Leonardo Sciascia]])