Oriana Fallaci: differenze tra le versioni

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[[ImmagineFile:Oriana Fallaci.jpg|thumb|Oriana Fallaci]]
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'''Oriana Fallaci''' (1929 – 2006), giornalista, scrittrice e opinionista italiana.
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*{{NDR|Su [[Virna Lisi]]}} La prima cosa che mi colpì fu il suo volto duro, deciso, stranamente diverso da quello che rendono le fotografie, un volto senza tenerezze o indulgenze, con due occhi freddi, attenti, maschili, gli occhi di una che sa quel che esige e non si perde in metafisiche angosce. La seconda cosa che mi colpì fu la voce: metallica, chiara, sferzante, da solitaria che non si cura di conquistare la simpatia della gente.<ref>Da un'intervista condotta nel giugno 1964; citato in ''[http://www.corriere.it/spettacoli/14_dicembre_18/virna-racconto-oriana-fallaci-non-saro-nuova-marilyn-57951536-86ec-11e4-bef5-43c0549a5a23.shtml Virna, il racconto a Oriana Fallaci "Non sarò la nuova Marilyn"]'', ''Corriere.it'', 19 dicembre 2014.</ref>
*Ma non esiste solo la [[violenza]] fisica. La violenza che nutrendosi di cinismo va in cerca del morto da santificare, che per trovarlo scaglia pietre o estintori contro il carabiniere terrorizzato. La violenza che nutrendosi di cretineria imbratta le facciate degli antichi palazzi, frantuma le vetrine, saccheggia i Mac Donald, brucia le automobili. Che occupa le case e le banche e le fabbriche, che distrugge i giornali e le sedi degli avversari. Che (non avendo studiato la storia loro non lo sanno) ripete gli sconci cari ai fascisti di Mussolini e ai nazisti di Hitler. Esiste anche la violenza morale, perdio. Ed è la violenza che si manifesta con le demagogie e i ricatti, che si esprime con le minacce e le intimidazioni. La violenza che sfruttando la legge umilia la Legge, la ridicolizza. La violenza che servendosi della democrazia oltraggia la Democrazia, la dileggia. La violenza che approfittandosi della libertà uccide la Libertà. La assassina. E questa violenza Firenze la subisce in misura sfacciata. Scandalosa.<ref>Da ''[http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2002/11_Novembre/06/fallaci.shtml «Fiorentini, esprimiamo il nostro sdegno»]'', ''Corriere della Sera'', 6 novembre 2002.</ref>
*Monsignore <nowiki>[</nowiki>[[Salvatore Fisichella]]], Lei mi ha commosso. Naturalmente sapevo bene chi fosse il Rettore della Lateranense, il vescovo che ragiona al di là degli schemi e senza curarsi dei Politically Correct. Ma a leggere la Sua intervista al Corriere ho rischiato davvero la lacrimina. Io che non piango mai. E mi sono sentita meno sola come quando leggo uno scrittore che si chiama [[Papa Benedetto XVI|Joseph Ratzinger]]... [...] Infatti quando venne eletto Papa feci sì capriole di gioia ma nel medesimo tempo pensai: «Oddio. Ora non potrò più vederlo». E con un sospirone avvilito mi rassegnai... (da una lettera a [[Salvatore Fisichella]], giugno 2005<ref name=Fisichella/>)
*Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da [[Papa Benedetto XVI|Ratzinger]], insomma da Papa Benedetto XVI. Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse "Lettera a un bambino mai nato" e che io rispetto profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo d'accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l'Occidente ha maturato una sorta di odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l'Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso: «Se un Papa e un'atea dicono la stessa cosa, in quella cosa dev'esserci qualcosa di tremendamente vero»). Nuova parentesi. Sono un'atea, sì. Un'atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un'atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne "La Forza della Ragione" uso un intero capitolo per spiegare l'apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok. (L'ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui si deduce che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più intelligenti che in quella laica alla quale appartengo. [...] E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l'incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana.<ref name=anntay/>
*Negli Stati Uniti la [[libertà]] di protestare è così diffusa che, come un boomerang, essa si rivolge contro la libertà stessa. In altre parole, tutti hanno talmente diritto di offendersi in nome della libertà che la stessa libertà di critica ne risulta compromessa.<ref>Da ''Con la censura stiamo peggio noi'', ''L'Europeo'', 27 ottobre 1957 riportato nell'appendice de ''I sette peccati di Hollywood'' (1958).</ref>
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===Citazioni===
*Come tutti i luoghi nati dalla speculazione, alimentati dal troppo denaro e abitati da gente che ieri non aveva nulla e oggi ha tutto, [[Hollywood]] è dunque la più strana tra le combinazioni di contrasti. <br/>Stupida e geniale, corrotta e puritana, divertente e noiosa, è il luogo dove [[Jack Lemmon]] manda un telegramma all'ex-moglie Cinthia, che sposa Clift Robertson, complimentandosi per il suo «buon gusto» e dove, tuttavia, una ragazza non può recarsi sola da Ciro's senza provocare indignazione grandissima. (p. &nbsp;51)
*La comunità hollywoodiana è la meno democratica che esista in America, divisa in categorie insormontabili a seconda della notorietà, dei guadagni e del prestigio professionale. (p. &nbsp;55)
*I divi di Hollywood hanno paura del pubblico, paura dei produttori, paura soprattutto dei giornalisti: che a volte sono i più preziosi alleati, ma a volte i più spietati nemici. (p. &nbsp;61)
*{{NDR|a proposito di [[Judy Garland]]}} Le vedevo le rughe precoci, e ormai benissimo anche la cicatrice sotto la gola ed ero affascinata da quegli occhi neri, e disperati, in fondo ai quali tremava una disperazione ostinata. (p. &nbsp;102)
*A [[Hollywood]] non c'è posto per la gente pigra o sfortunata. Soprattutto sfortunata. (p. &nbsp;116)
*{{NDR|a proposito di [[Frank Sinatra]]}} Da cosa nasca il successo di quest'uomo capriccioso nemmeno gli psicanalisti riescono a dirlo. È gracile, già mezzo calvo, sembra gobbo: una cicatrice profonda gli deturpa la mascella sinistra restando visibile nonostante il cerone. Nessuno negherebbe a cuor leggero che è brutto. (p. &nbsp;143)
*[[James Dean|Dean]] era la Sagan tradotta in americano, l'adolescente pazzo per noia romantica, più vicino all'europeissimo [[Truman Capote]] e a [[Oscar Wilde]] che ai personaggi contadineschi di ''Peyton Place'' o ai giovani pazzi ma paesani che si riscontrano nei romanzi americani. (p. &nbsp;166)
*{{NDR|a proposito di [[Cecil B. DeMille]]}} Era tanto felice che il suo film {{NDR|[[I dieci comandamenti]]}} mi fosse piaciuto che, a un tratto, gli perdonai tutto quello che mi aveva fatto soffrire. Sentivo per lui una sorta di tenerezza e di agghiacciante rispetto. Improvvisamente capivo perché lo chiamassero il re, e che non c'era ironia in questo titolo, assai meritato. (p. &nbsp;180)
 
===[[Explicit]]===
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===Citazioni===
*Quanto gli mancava la matematica, quanto la rimpiangeva! Massaggia le meningi come un allenatore massaggia i muscoli di un atleta, la matematica. Le irrora di pensiero puro, le lava dai sentimenti che corrompono l'intelligenza, le porta in serre dove crescono fiori stupendi. I fiori di un'astrazione composta di concretezza, d'una fantasia composta di realtà... [...] No, non è vero che sia una scienza rigida, la matematica, una dottrina severa. È un'arte seducente, estrosa, una maga che può compiere mille incantesimi e mille prodigi. Può mettere ordine nel disordine, dare un senso alle cose prive di senso, rispondere ad ogni interrogativo. Può addirittuta fornire ciò che in sostanza cerchi: la formula della Vita. (I, I, I; p. &nbsp;13)
*Chi l'avrebbe mai immaginato che la morte potesse essere una tale carneficina? In Italia la morte era la bisnonna che si spenge di vecchiaia e viene composta sul letto dove sembra dormire tra i fiori e le candele e i parenti che recitano il Requiem Aeternam. Era il motociclista che si sfracella contro un pullman sulla Firenze-Bologna sicché quelli della stradale lo coprono con un panno e passando non vedi che la sagoma incerta di un cadavere e una motocicletta scassata. Era il siciliano che è emigrato a Milano anzi nel tuo quartiere e ha sfidato un altro siciliano e s'è preso la coltellata in pancia sicché la polizia non ti lascia avvicinare e da lontano scorgi solo un lenzuolo sporco di sangue sul quale una donna strilla: «Turiddu, Turiddu!» Era un brivido che si dimentica prest, un funerale e una tomba cui pensi di rado e con malinconia. (I, I, IV; p. &nbsp;35)
*Perché bando alle chiacchiere, signori miei: l'infelicità non ha solo il volto della fame e del freddo. Ha anche quello della solitudine che gela quando appartieni a un mondo scomparso o incompreso, quando sei costretto a vivere in un ambiente nel quale non ti riconosci e vieni schernito ridicolizzato perseguitato dalla volgarità. (I, II, IV; p. &nbsp;71)
*È una cosa di cattivo gusto, comandare, e spiacevolissima. Perché pone a contatto coi beceri e con gli ottusi, costringe a esercitare la volgarità del potere, limita la libertà sia di chi comanda che di chi è comandato, infine inebria i presuntuosi. (I, III, III; p. &nbsp;90)
*È una macchina diabolica, l'esercito, e il militarismo un ingranaggio mortale. Lo sai qual è la ricetta per fotter le reclute fin dal momento in cui arrivano alla caserma, Bernard? Prima si schierano sul piazzale coi loro abiti borghesi affinché ricordino d'appartenere a una società priva di uguaglianza, vale a dire un consorzio nel quale c'è chi veste bene e chi veste male. Poi gli si infila l'uniforme affinché si illudano d'accedere a un sodalizio di uguali, vale a dire un consorzio nel quale tutti vestono i medesimi panni. Subito dopo si rimbecilliscono con le esercitazioni e le marce che stroncano. E-marciando-cantate-così-tenete il passo. (Però il passo non c'entra, Bernard. C'entra che a cantare non pensano, e a non pensare non s'accorgono di venir fottuti.) Infine si cancella la loro personalità, la loro individualità. Perché il soldato non deve essere un individuo, una persona: deve esser parte d un nucleo perfetto che agisce all'unisono. E lo sai qual è l'ingrediente per ottenere un nucleo perfetto o quasi perfetto? L'odio. L'odio collettivo cioè diretto verso lo stesso bersaglio, e non il bersaglio rappresentato dal nemico che la guerra ti procura o ti procurerà: il bersaglio rappresentato da un paria coi gradi di sergente. Il sergente becero, ignorante, di cui subisci la tirannia che gli è stata delegata dal tenente al quale è stata delegata dal capitano al quale è stata delegata dal maggiore al quale è stata delegata dal colonnello al quale è stata delegata dal generale al quale è stata delegata dalla Macchina, a cui hanno insegnato a berciare come a un cantante si insegna a gorgheggiare do-re-mi-fa-sol-la. Sì, gli hanno insegnato a usare la voce per comandarti e sfotterti e umiliarti, Bernard. E lui la usa nel modo prescritto. «Sei laureato, tu? Bene, allora va' a pulire i cessi.» Al contadino e all'operaio, invece: «Razza di piercolo, da che fogna vieni? Non sai nemmeno contare, somaro?» Poi dispetti, addestramenti forzati, canagliate, fino a quando laureati e contadini e operai lo odiano in uguale misura, e il nucleo quasi perfetto è ottenuto. "Quasi" perché manca il tocco finale, l'ingrediente decisivo, e indovina qual è il tocco finale. L'ingrediente decisivo. È l'amore. L'amore concentrato sullo stesso bersaglio che stavolta è il tenente o meglio ancora il capitano. Insomma l'ufficiale buono, comprensivo, paterno, che ascolta e consola e magari si rivolge a te con il Lei. «È laureato, lei? Bravo, me ne rallegro. È contadino, lei? Bravo, me ne compiaccio. È operaio, lei? Bravo, me ne complimento.» Oppure: «Sì, la rampogna del sergente è stata eccessiva: lo rimprovererò a mia volta. Voglio essere un amico, per voi, in caso di bisogno rivolgetevi a me.» Bisogno? Che bisogno? Ormai l'unico bisogno di cui hanno bisogno è ricevere amore, darlo, e dall'odio per il sergente passano all'amore per il tenente o il capitano. Il-mio-capitano. Per il loro capitano accettano qualsiasi sacrificio, qualsiasi martirio, sono pronti a crepare. Con lui salteranno fuori dalla trincea, con lui si lanceranno contro la mitragliatrice che falcia, con lui uccideranno il nemico cioè il disgraziato che dall'altra parte della barricata ha subìto l'identico trattamento, con lui creperanno come bovi al macello. E questo, inutile dirlo, senza che sospettino d'esser le vittime d'un lurido imbroglio, le ruote di un ingranaggio ben oliato e ben collaudato. Perenne. (I, IV, I; pp. 110-112&nbsp;110–112)
*Il vero soldato mente a sé stesso quando dice di odiare la guerra. Egli ama in modo profondo la guerra. E non perché sia un uomo particolarmente malvagio, assetato di sangue, ma perché ama la vitalità che (per quanto paradossale possa sembrare) la guerra porta dentro di sé. Con la vitalità, la sfida e la scommessa e il mistero di cui essa si nutre. Sul palcoscenico della gran commedia che ha nome "pace" il mistero non esiste. Sai già che lo spettacolo si compone di alcuni atti e che dopo il primo atto vedrai il secondo, dopo il secondo vedrai il terzo: le incognite riguardano solo lo sviluppo della storia narrata e il suo epilogo. Sul palcoscenico della gran tragedia che ha nome "guerra", invece, non sai mai che cosa accadrà. Che tu ne sia spettatore o interprete, ti chiedi sempre se vedrai la fine del primo atto. E il secondo è una possibilità. Il terzo, una speranza. Il futuro, un'ipotesi. Puoi morire in qualsiasi momento, alla guerra, e in qualsiasi momento puoi restar ferito cioè venire tolto dal cast o dal recinto del pubblico. Tutto è un'incognita lì, un interrogativo che tiene col fiato sospeso, ma proprio per questo ci vibri d'una vitalità esasperata. I tuoi occhi sono più attenti, alla guerra, i tuoi sensi più svegli, i tuoi pensieri più lucidi. Scorgi ogni particolare, percepisci ogni odore, ogni rumore, ogni sapore. E, se hai cervello, puoi studiarvi l'esistenza come nessun filosofo potrà mai studiarla: puoi analizzarvi gli uomini come nessun psicologo potrà mai analizzarli, capirli come non potrai mai capirli in un tempo e in un luogo di pace. Se poi sei un cacciatore, un giocatore d'azzardo, ti ci diverti come non ti sei mai divertito e non ti divertirai mai nel bosco o nella tundra o al tavolo della roulette. Perché l'atroce gioco della guerra è la caccia delle cacce, la sfida delle sfide, la scommessa delle scommesse. La caccia all'Uomo, la sfida alla Morte, la scommessa con la Vita. Eccessi di cui il vero soldato ha bisogno. (I, V, I; pp. 145-146&nbsp;145–146)
*Il linguaggio parlato è per sua natura sciatto e impreciso. Non dà tempo di riflettere, di usar le parole con eleganza e raziocinio, induce a giudizi avventati e non fa compagnia perché richiede la presenza degli altri. Il linguaggio scritto, al contrario, dà tempo di riflettere e di scegliere le parole. Facilita l'esercizio della logica, costringe a giudizi ponderati, e fa compagnia perché lo si esercita in solitudine. Specialmente quando si scrive, la solitudine è una gran compagnia. (I, VI, IV; p. &nbsp;200)
*''Conosco la tua tesi: «Sei un intellettuale, e un intellettuale non può permettersi le partigianerie della fede o della passione o della morale. Un intellettuale deve identificarsi con tutti, capire tutto e tutti.» D'accordo. Ma chi capisce tutto e tutti finisce con l'assolvere tutto e tutti. Chi assolve tutto e tutti finisce col perdonare tutto e tutti. Chi perdona tutto e tutti non crede a nulla. E chi non crede a nulla, mia cara, è un cinico. Tout court.'' (il Professore: I, VI, IV; p. &nbsp;202)
*Aspettava e la sua piccola mente impazzita d'amore andava alla deriva come una barca senza remi. Fantasie insensate e verità sconcertanti i flutti che la sbatacchiavano nella nebbia della sprovvedutezza e contro gli scogli della disperazione. (II, I, III; p. &nbsp;233)
*Non era un uomo libero di andare dove volesse. Era un uccello in gabbia [...] e prigioniero d'una città che per la pace aveva un'antipatia organica. Una città che alla fine lo avrebbe fottuto. In che modo lo avrebbe fottuto non lo sapeva. Però sapeva che lo avrebbe fottuto [...]. (II, II, I; p. &nbsp;259)
*Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgon neanche. Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare. (II, II, IV; p. &nbsp;281)
*Non si dovrebbe mai prenderli sul serio gli scrittori, mai. Chiacchierano per chiacchierare, per mettere insieme belle parole, si approfittano della carta stampata sapendo che sulla carta stampata ogni fanfaluca sembra verità sacrosanta. (II, VI, II; pp. 391-392&nbsp;391–392)
*Perché malgrado i film sul Vietnam e i giornali e i mesi di addestramento in caserma, non riusciva a cogliere il significato della parola guerra. Non riusciva a capire che roba fosse. Stanotte sì, invece. Poteva dirlo che roba è. È una malattia che sciupa dentro, un cancro che si mangia il cuore, una lebbra che imputridisce l'anima e induce la gente a far cose che in pace non farebbe mai. (II, VI, II; p. &nbsp;399)
*''La Vita non è uno spettacolo muto o in bianco e nero. È un arcobaleno inesauribile di colori, un concerto interminabile di rumori, un caos fantasmagorico di voci e di volti, di creature le cui azioni si intrecciano o si sovrappongono per tessere la catena di eventi che determinano il nostro personale destino.'' (il Professore: II, VI, IV; p. &nbsp;415)
*''Apparteniamo a un'epoca in cui cinema e Tv si sostituiscono alla parola scritta, al racconto scritto, e nel dialogo con il mondo i registi anzi gli attori si sostituiscono agli scrittori. Nessuno infatti, neanch'io, resiste al narcotico richiamo dello schermo, al perpetuo svago offertoci da un sistema di comunicazione che trasforma in pubblico trastullo anche la sacra intimità del sesso e la inviolabile solennità della morte. Soggiogati, ipnotizzati dalla moderna Medusa, passiamo ore a guardar le sue immagini e ascoltare i suoi suoni. Di conseguenza leggiamo assai meno, e molti non leggono più. Ritengono che si possa vivere senza leggere cioè senza la parola scritta, il racconto scritto, gli scrittori. Invece no. No, e non tanto perché lo stesso cinema e la stessa Tv non prescindono dalla parola scritta, dal racconto scritto, dagli scrittori, quanto perché lo schermo non permette e non permetterà mai di pensare come si pensa leggendo: le sue immagini e i suoi rumori distraggono troppo, impediscono di concentrarsi. Oppure suggeriscono riflessioni troppo superficiali e passeggere. Inoltre si preoccupa troppo di stupire e divertire, lo schermo, diverte e stupisce con mezzi troppo rudimentali e giocattoleschi: se ne frega delle tue meningi. È superfluo ricordare che per leggere ci vuole un minimo di meningi cioè di intelligenza e cultura, superfluo sottolineare che qualsiasi idiota o qualsiasi analfabeta con due occhi e due orecchi può guardare le immagini e ascoltare i suoni della moderna Medusa. Ma per vivere, per sopravvivere, è necessario pensare! Per pensare è necessario produrre idee, fornirle! E chi più dello scrittore produce idee? Chi più di lui le fornisce? Lo scrittore è una spugna che assorbe la vita per risputarla sotto forma di idee, è una mucca eternamente incinta che partorisce vitelli sotto forma di idee, è un rabdomante che trova l'acqua in qualunque deserto e la fa zampillare sotto forma di idee: è un mago Merlino, un veggente, un profeta. Perché vede cose che gli altri non vedono, sente cose che gli altri non sentono, immagina e anticipa cose che gli altri non possono né immaginare né anticipare... E non solo le vede, le sente, le immagina, le anticipa: le trasmette. Da vivo e da morto. Cara, nessuna società s'è mai evoluta al di fuori degli scrittori. Nessuna rivoluzione (buona o cattiva che fosse) è mai avvenuta al di fuori degli scrittori. Nel bene e nel male, sono sempre stati gli scrittori a muovere il mondo: cambiarlo. Sicché scrivere è il mestiere più utile che ci sia. Il più esaltante, il più appagante del creato.'' (il Professore: II, VI, IV; pp. 416-418&nbsp;416–418)
*''Calma, signor mio, calma. Non dimenticare quel che nell'illuminato Settecento diceva il matematico e philosophe Jean-Baptiste d'Alembert. In un'isola selvaggia e disabitata diceva, un poeta (leggi scrittore) non sarebbe molto utile. Un geometra sì. Il fuoco non fu certo acceso da uno scrittore, la ruota non fu certo inventata da un romanziere. Quanto al mestiere più esaltante e più appagante del creato, aggiungerai, domandalo agli scrittori che scrivono ogni ora e ogni giorno per anni, che a un libro immolano la loro esistenza. Ti risponderanno colonnello, crede seriamente che per dare un tale giudizio basti scrivere qualche ora dopocena a Beirut? Crede seriamente che per scrivere un libro basti avere idee o costruire a grandi linee una storia? Crede seriamente che scrivere sia una gioia?!? Glielo spieghiamo noi che cos'è, colonnello. È la solitudine atroce d'una stanza che a poco a poco si trasforma in una prigione, una cella di tortura. È la paura del [[Pagina bianca|foglio bianco]] che ti scruta vuoto, beffardo. È il supplizio del vocabolo che non trovi e se lo trovi fa rima col vocabolo accanto, è il martirio della frase che zoppica, della metrica che non tiene, della struttura che non regge, della pagina che non funziona, del capitolo che devi smantellare e rifare rifare rifare finché le parole ti sembrano cibo che sfugge alla bocca affamata di Tantalo. È la rinuncia al sole, all'azzurro, al piacere di camminare, viaggiare, di usare tutto il tuo corpo: non solo la testa e le mani. È una disciplina da monaci, un sacrificio da eroi, e Colette sosteneva che è un masochismo: un crimine contro sé stessi, un delitto che dovrebb'esser punito per legge e alla pari degli altri delitti. Colonnello, c'è gente che è finita o finisce nelle cliniche psichiatriche o al cimitero per via dello scrivere. Alcoolizzata, drogata, impazzita, suicida. Scrivere ammala, signor mio, rovina. Uccide più delle bombe.'' (l'immaginaria moglie del Professore: II, VI, IV; p. &nbsp;418)
*La paura e i soldi, si sa, mettono a tacere il cuore. (II, II, I; p. &nbsp;471)
*Nell'epilogo de ''La vie en fleur'', Anatole France osserva che di rado gli uomini Si mostrano per quel che sono: nella maggior parte dei casi nascondono le azioni che li farebbero odiare o disprezzare ed esibiscono quelle che li fanno stimare e ammirare. Io no: nascondo le azioni che mi farebbero stimare e ammirare, esibisco quelle che mi fanno odiare o disprezzare. Ciò non significa che sia migliore o peggiore degli altri: significa che non sono ipocrita. (Gassàn: III, II, I; pp. 474-475&nbsp;474–475)
*La storia dell'Uomo è anzitutto e soprattutto una storia di [[coraggio]]: la prova che senza il coraggio non fai nulla, che se non hai coraggio nemmeno l'[[intelligenza]] ti serve. E il coraggio ha molti volti: il volto della [[generosità]], della [[vanità]], della [[curiosità]], della necessità, dell'orgoglio, dell'[[innocenza]], dell'incoscienza, dell'odio, dell'allegria, della disperazione, della rabbia, e perfino della [[paura]] cui rimane spesso legato da un vincolo quasi filiale. (III, III, III; p. &nbsp;537)
*[...] il [[coraggio]] cieco e sordo e illimitato e suicida, che nasce dall'amore. Non ha confini il coraggio che nasce dall'amore e per amore si realizza. Non tiene conto di alcun pericolo, non ascolta nessuna forma di raziocinio. Pretende di muovere le montagne e spesso le muove. (III, III, III; p. &nbsp;537)
*La morte di un amore è come la morte d'una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l'hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. (III, IV, III; p. &nbsp;568)
*Sai l'odore che i [[droga]]ti chiamano profumo e che invece è puzzo. Un antipaticissimo puzzo di merda bruciata e di rosmarino, di muschio marcio e di resina, soave e insieme pungente, morbido e insieme piccante, stomachevole, fetido quanto l'ingordigia dei vampiri che per restare ricchi producono e commerciano droga. Un penosissimo puzzo che è il puzzo della debolezza, della fiacchezza, della viltà. Infatti piace a chi non ha il coraggio di affrontare la vita, a chi non ha i coglioni per tenere in vita la vita, a chi non ha la fantasia che ci vuole per apprezzarla nonostante le sue durezze e le sue porcherie e i suoi orrori, a chi non ha l'intelligenza di amarla. (III, VI, VII; p. &nbsp;743)
*Si muore talmente meglio quando si crede a qualcosa. Si muore talmente di meno. (III, VI, VII; p. &nbsp;748)
*È come chiedermi se esiste la formula della Vita... Le risponderò dunque con una frase straordinaria che mi capitò di udire mentre guardavo con occhi distratti il brano d'un film. Straordinaria, sì. Così straordinaria che mi piacerebbe sapere se si trattava d'un famoso aforisma uscito dalla mente d'un grande filosofo oppure d'una semplice battuta uscita dalla penna d'uno sceneggiatore geniale. Eccola: "La vita non è un problema da risolvere. È un mistero da vivere".<ref>Il film in questione è ''[[Ultima occasione]]'' (''Tuff Turf''), pellicola statunitense del 1985. La frase è generalmente attribuita a [[Søren Kierkegaard]].</ref> Lo è, caro amico, lo è. Credo che nessuno possa sostenere il contrario. Quindi la formula esiste. Sta in una parola. Una semplice parola che qui si pronuncia ad ogni pretesto, che non promette nulla, che spiega tutto, e che in ogni caso aiuta: Insciallah. Come Dio vuole, come a Dio piace, Insciallah. (Ninette: III, VI, VIII; p. &nbsp;760)
*''Rifiuto di rinunciare a me stesso e rassegnarmi. Un uomo rassegnato è un uomo morto prima di morire, ed io non voglio essere morto prima di morire. Non voglio morire da morto! Voglio morire da vivo!'' (il Professore: III, VI, IX; p. &nbsp;764)
*''Sì, sto dicendo che è troppo facile dar la colpa alla guerra, rifugiarsi dietro l'entità astratta che chiamiamo guerra e a cui ci riferiamo come a una specie di peccato originale, di maledizione divina. Il discorso da affrontare non è sulla guerra. È sugli uomini che fanno la guerra, sui soldati, sul mestiere più antico più inalterabile più intramontabile che esista dacché esiste la vita.'' (il Professore: III, VI, IX; p. &nbsp;766)
*''Potrei risponderti che l'euforia dei giorni in cui suonavo la grancassa delle voluttà letterarie e degli eroismi creativi s'è spenta perché mi son reso conto che oltre ad essere un sacrificio mostruoso, una solitudine atroce, un supplizio di Tantalo, il supplizio del rifare e rifare e rifare, il masochismo di cui parlava Colette, scrivere è qualcosa di peggio: un perpetuo scontento di sé stessi e quindi un perpetuo processo a sé stessi, una perpetua condanna di sé stessi.'' (il Professore: III, VI, IX; p. &nbsp;770)
 
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===Citazioni===
[[File:Banisadr Fallaci Khomeini.jpg|thumb|Fallaci intervistando [[Ruhollah Khomeyni]]]]
*Quanto all'Occidente, osservava in imbarazzato silenzio e chi aveva salutato con entusiasmo l'avvento dell'ayatollah confessava quasi a denti stretti il proprio errore o pentimento. La cosiddetta sinistra, quella sinistra per cui una rivoluzione va sempre assolta e chi non è d'accorso su questo è un fascista, tentava addirittura di giustificare lo scempio. «Devi capire che la rivoluzione non è un invito a nozze.» «Pensa a Robespierre e alle migliaia di ghigliottinati durante il Terrore, pensa a Lenin e alle centinaia di migliaia liquidati con le Grandi Purghe.» «Non dimenticare che certi eccessi sono inevitabili e necessari. Non è la prima volta che la rivoluzione divora i propri figli.» Non avevano detto le stesse cose, del resto, quando la libertà era stata assassinata in Polonia e in Cecoslovacchia e in Ungheria e nella Germania dell'Est, quando i sogni erano stati traditi a Cuba e in Vietnam? Non s'erano forse macchiati della stessa malafede, gli ipocriti, non s'erano forse rifugiati dietro la stessa disonestà, lo stesso timore d'apparir reazionari? Lo sapevo ben io che fino al giorno in cui avevo raccontato le infamie viste a Saigon, le colpe degli americani e dei sudvietnamiti e dei Loan, me l'ero cavata benissimo: conquistando orde di ammiratori e di amici. «Gran giornalista, grande scrittrice, gran donna.» Però appena avevo raccontato le infamie viste ad Hanoi, le colpe dei nordvietnamiti e dei vietcong e dei Giap, ero stata linciata sui loro giornali. E gli ammiratori s'erano trasformati in dispregiatori, gli amici in nemici: «Mascalzona, calunniatrice, serva del Pentagono. Ha offeso la rivoluzione!».<br />La rivoluzione. È dalla [[presa della Bastiglia]] che l'Occidente vive nella bugia chiamata rivoluzione. È da allora che questa parola equivoca ci ricatta come una parola santa, in quanto tale ci viene imposta come sinonimo di libertà-uguaglianza-fraternità, simbolo del riscatto e del progresso, speranza per gli oppressi. È da allora che le stragi compiute in suo nome vengono assolte, giustificate, accettate, che i suoi figli vengono macellati dopo aver macellato: convinti che essa sia la cura di ogni cancro, la panacea di ogni male. Ma rispettosamente la pronunciamo, rispettosamente la studiamo a scuola, rispettosamente la analizziamo nei trattati di politologia e nei saggi di filosofia. Rispettosamente non osiamo contestarla, rifiutarla, sbugiardarla sputando in faccia agli imbecilli e ai violenti che se ne servono per carriera. (pp. 36-37&nbsp;36–37)
*Ma com'era successo che [[Mu'ammar Gheddafi|Muammar Gheddafi]] avesse poi fagocitato il comando della cosiddetta rivoluzione, ne fosse diventato il profeta e il messia? Ecco la domanda che mi tormentava mentre mi recavo da lui. Ed era la stessa domanda che m'aveva tormentato ogni volta in cui m'ero trovata dinanzi a un presuntuoso impostore, a un babbeo vestito da dittatore, da profeta, da messia: ma come ha fatto a riuscirsi questo cretino? Non sa neanche parlare, neanche incuter paura: è un poveraccio qualsiasi, senza cervello e senza carisma. In più è buffo. Come ha fatto, mioddio, come? (pp. 144-144&nbsp;144–144)
*L'Africa Nera restava per il colonnello un impero da conquistare agitando i nobili intenti, una colonia da convertire in un'altra crociata all'inverso. Voleva recuperarla all'Islam, indurre all'abitura anche le nazioni che di Maometto non volevan saperne, e a tal scopo aizzava le minoranze mussulmane, provocava colpi di stato o rivolte nel Niger, nel Mali, nel Senegal, nel Gambia, nel Camerun, nel Ghana, nell'Alto Volta, in Nigeria. Quasi ciò non bastasse, teneva a Tripoli i capi di quelle minoranze e col pretesto di dargli ospitalità li trattava come ostaggi da ricattare. (p. &nbsp;158)
*Come avrei scoperto nei giorni seguenti, era assolutamente vero che i libici non si avvilivano a fare i facchini, gli spazzini, le domestiche, i camerieri, i manovali, i proletari in genere. Loro eran tutti burocrati o militari o commercianti o stradenti o fannulloni. Il lavoro che umilia e affatica, da essi ritenuto volgare e disdicevole, era sempre fatto da egiziani o pakistani o tunisini o algerini o turchi o sudanesi o altri africani, e anche da europei dell'Est e dell'Ovest. Mai da un libico. Perfino nelle imprese edilizie, nei porti, nei pozzi di petrolio, la quasi totalità degli operai era straniera. Circa settecentomila per una popolazione di due milioni e mezzo. Ben pagati, sì, ma esiliati ai margini della società e condannati a un'esistenza che escludeva ogni conforto, ogni diritto, ogni divertimento, ogni piacere incluso il piacere di bere un bicchiere di vino o una birra e andare a letto con una donna. (p. &nbsp;167)
*Gheddafi conosceva le lingue occidentali e in particolare l'inglese, lui conosceva tutto, ma il pattriottismo gli impediva di usare una lingua diversa dall'arabo. (p. &nbsp;175)
*Forse avrei dovuto mostrare un po' più di generosità, e andarmene in punta di piedi. Ma ormai lo odiavo talmente che avrei dato la vita pur di colpirlo con un'ultima coltellata.<br />«Colonnello, posso farle un'ultima domanda?»<br />«Sì, ma breve» rispose. «La delegazione iraniana mi aspetta. Devo far liberare quegli ostaggi.»<br />«Lei crede in Dio?»<br />«Ovvio che credo in Dio! Perché mi chiede una cosa simile?»<br />«Perché credevo che Dio fosse lei, colonnello.»<br />Mi guardò senza capire. (p. &nbsp;206)
 
===[[Explicit]]===
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*Ciò che ogni creatura degna d'esser nata dovrebbe cercare non esiste. È un sogno che si chiama Libertà, che si chiama Giustizia. E piangendo bestemmiando soffrendo noi possiamo solo rincorrerlo dicendo a noi stessi che quando una cosa non esiste la si inventa. Non abbiamo fatto lo stesso con Dio? Non è forse il destino degli uomini quello di inventare ciò che non esiste e battersi per un sogno?
*La natura umana è così inesplicabile, ciò che divide il bene dal male è un filo talmente sottile, talmente invisibile. Non dissi nulla e pensai che, a volte, quel filo si spezza tra le tue mani mischiando il bene e il male in un mistero che ti smarrisce. In quel mistero, non osi più giudicare un uomo.
*{{NDR|Parlando di [[Giorgio Amendola]]}} V'era in quell'omaccione burbero, sanguigno, sassosso, una delicatezza quasi femminile. (BUR 1977, p. &nbsp;314)
 
===[[Explicit]]===
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===Citazioni===
*E chi crede nel mito della «pacifica convivenza» che secondo i collaborazionisti caratterizzava i rapporti tra conquistati e conquistatori farebbe bene a rileggersi le storie dei conventi e dei monasteri bruciati, delle chiese profanate, delle monache stuprate, delle donne cristiane o ebree rapite per essere rinchiuse negli harem. Farebbe bene a riflettere sulle crociffisioni di Cordova, sulle impiccagioni di Granada, sulle decapitazioni di Toledo e di Barcellone, di Siviglia e di Zamora. (I; p. &nbsp;39)
*Ma, soprattutto, basta ricordare ciò che Boumedienne (dal quale Ben Bella era stato destituito con un colpo di Stato tre anni dopo l'indipendenza dell'Algeria) disse nel 1974 dinanzi all'Assemblea delle Nazioni Unite: «Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l'emisfero sud per irrompere nell'emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo. E lo conquisteranno popolandolo con i loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria»". (I; p.53)
*Un giorno chiesi a un funzionario della Questura per quale motivo al maghrebino fosse consentito di infrangere l'art. 556. E la risposta fu: «Per motivi di ordine pubblico». Circonlocuzione che tradotta in parole semplici significa: « Per non farcelo nemico, per non irritare i suoi connazionali e i loro favoreggiatori». E che, tradotta in parole oneste, vuol dire: «Per paura». (I; p. &nbsp;56)
*Fu proprio dinanzi alla basilica di Santa Croce, ed esattamente sul sagrato dove Fra' Accursio aveva letto la condanna a morte di Mastro Cecco, che fui esposta al pubblico oltraggio. Istigato, questo, da un vecchio giullare {{NDR|[[Dario Fo]]}} della repubblica di Salò. Cioè da un fascista rosso che prima d'essere fascista rosso era stato fascista nero quindi alleato dei nazisti che nel 1934, a Berlino, bruciavano libri degli avversari.
*Anzi m'indigno e indignata chiedo a che cosa serva essere cittadini, avere i diritti dei cittadini. Chiedo dove cessino i diritti dei cittadini e dove incomincino i diritti degli stranieri. Chiedo se gli stranierii abbiano il diritto di avanzare diritti che negano i diritti dei cittadini, che ridicolizzano le leggi dei cittadini, che offendono le conquiste civili dei cittadini. Chiedo, insomma, se gli stranieri contino più dei cittadini. Se siano una sorta di supercittadini, davvero i nostri feudatari. I nostri padroni.
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==''Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam''==
*L'Islam è immenso, e il [[Pakistan]] è una minuscola parte dell'Islam: certo tra le più progredite. (p. &nbsp;23)
*Non esiste pappagallismo nei paesi dell'Islam: il rispetto formale verso una [[donne nell'Islam|donna]] è assoluto. Eppure, né in una moschea, né in un tranvai, né in un cinematografo, né a un ricevimento, le donne possono mischiarsi alla folla degli uomini. (p. &nbsp;24)
*C'è molto sole sui paesi dell'Islam: un sole bianco, violento che acceca. Ma le donne mussulmane non lo vedono mai: i loro occhi sono abituati all'ombra come gli occhi delle talpe. Dal buio del ventre materno, esse passano al buio della casa paterna, da questa al buio della casa coniugale, da questa al buio della tomba. (pp. 24-25&nbsp;24–25)
*La repubblica turca fu dall'inizio una repubblica laica: così piacevolmente laica che i ministri di qualsiasi religione ebbero fin dall'inizio il divieto, ancora in vigore, d'indossare l'abito sacerdotale. Eppure la rivoluzione sessuale e sociale delle mussulmane in Turchia resta la più duratura e violenta che abbia scosso il mondo dell'Islam, ed è anche una presente minaccia per tutti i paesi dell'Islam. (p. &nbsp;34)
*Quando un uomo ha un passato clamoroso lo senti anche se lo nasconde: perché il passato resta scritto sul volto, negli occhi. Sul volto di Arafat, invece, non trovi che quella maschera impostagli da madre natura: non da esperienze pagate. V'è qualcosa di verde in lui, di non ancora fatto. Se ci pensi bene, del resto, ti accorgi che la sua fama esplose più per la stampa che per le sue gesta: dall'ombra lo tirarono fuori i giornalisti occidentali e in particolare americani, sempre bravissimi nell'inventar personaggi o montarli. (p. &nbsp;87)
*Saddam se ne frega dei suoi soldati. (p. &nbsp;337)
*{{NDR|Su [[Saddam Hussein]]}} Un codardo che si nasconde nei bunker mentre il suo popolo muore. (p. &nbsp;338)
 
==''Lettera a un bambino mai nato''==
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===Citazioni===
*E tu mi sei venuto accanto, mi hai detto: Ma io ti perdono, mamma. Non piangere. Nascerò un'altra volta. Splendide parole, bambino, ma parole e basta. Tutti gli spermi e tutti gli ovuli della terra uniti in tutte le possibili combinazioni non potrebbero mai creare di nuovo te, ciò che eri e che avresti potuto essere. Tu non rinascerai mai più. Non tornerai mai più. E continuo a parlarti per pura disperazione.
*Molte donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. (p. &nbsp;8)
*Essere [[donna]] è così affascinante. È un'avventura che richiede un tale [[coraggio]], una sfida che non annoia mai.
*Essere donne è una scuola di sangue: tutti i mesi offriamo a noi stesse il suo spettacolo odioso.
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===Citazioni===
*È difficile, sempre più difficile, accettare il fatto che i vietcong commettano tali vigliaccate. Insomma che neanche loro siano i cavalieri di giustizia e libertà che abbiamo finoggi dipinto. È doloroso, ammettere che valgono gli altri, sono bestie come gli altri. (10 maggio, p. &nbsp;306)
*[...] ma come facevo a non amare gli uomini, questi uomini sempre maltrattati, sempre insultati, sempre crocifissi, ma come facevo a dire che è tutto inutile e a cosa serve nascere a cosa serve morire? Serve ad essere uomini anziché alberi o pesci, serve a cercare il giusto, perché il giusto esiste, se non esiste bisogna farlo esistere, e allora l'importante non è morire, è morire dalla parte giusta, e io muoio dalla parte giusta [...]. (capitolo undicesimo, p. &nbsp;404)
*L'[[Stati Uniti d'America|America]] è anche il paese di [[Ronald Ridenhour|Ron Ridenhour]], l'ex soldato che ha informato il mondo sulla strage di My Lai. L'America è anche il paese del Moratorium, delle marce contro la guerra in Vietnam, dei giornali che propagandono con dolore con sdegno un delitto che altri si guarderebbero perfin dall'ammettere. (dalla prefazione, p. &nbsp;VIII)
*Non c'è bisogno d'esser [[Nazismo|nazisti]] per diventare assassini: in nome della democrazia, del cristianesimo, della libertà, si massacra tanto bene quanto in nome del "grande" Reich. (dalla prefazione, p. &nbsp;VIII-IX)
*E se il processo di [[Norimberga]] fu un processo legale dovremo rifarlo: al banco degli accusati mettendo stavolta quei bravi ragazzi, quei bravi generali che davan l'ordine di ammazzare i civili, di non lasciar viva neanche una gallina. E tuttavia, tuttavia, tuttavia, il discorso da fare non è sugli americani: il discorso da fare è sugli uomini. Sulla [[guerra]] e sugli uomini. (dalla prefazione, p. &nbsp;IX)
*È il discorso che fo in questo libro. Questo libro che spiega My Lai <ref>Cfr.: [[w:Massacro di My Lai|Massacro di My Lai]].</ref> nella guerra del Vietnam. Perché quasi niente quanto la [[guerra]], e niente quanto una guerra ingiusta, frantuma la [[dignità]] dell'uomo. (dalla prefazione, p. &nbsp;IX)
*Tu che non sai come la vita sia molto di più del tempo che passa fra il momento in cui si nasce e il momento in cui si muore, su questo pianeta dove gli uomini fanno miracoli per salvare un moribondo e le creature sane le ammazzano a cento, mille, un milione per volta. (Capitolo primo)
*[...] e nessuno mi ha ancora spiegato perché uccidere per rapina è peccato, uccidere perché hai un'uniforme è glorioso.
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*Dev'esserci qualcosa di sbagliato nel cervello di quelli che trovano gloriosa o eccitante la guerra. Non è nulla di glorioso, nulla di eccitante, è solo una sporca tragedia sulla quale non puoi che piangere. Piangi a quello cui negasti una sigaretta e non è tornato con la pattuglia; piangi su quello che hai rimproverato e ti s'è disintegrato davanti; piangi su lui che ha ammazzato i tuoi amici. (Capitano Scher, impegnato nella Guerra del Vietnam)
* Per quasi otto anni ho fatto il corrispondente di guerra in Vietnam. Niente e così sia è il diario del primo anno che trascorsi laggiù. Quello che vide la battaglia di Dak To, l'offensiva del Tet, l'assedio di Saigon, e che per me si concluse altrove. Cioè nella strage di Città del Messico dove rimasi gravemente ferita. So che è stato definito un libro brutale, disperato, spietato. E forse lo è. Ma io volevo soltanto raccontare la guerra a chi non la conosce.
*Quanti altri delitti hanno commesso i vietcong senza che un fotografo li immortalasse? C'è sempre un fotografo per l'esecuzione di un vietcong, per la testa tagliata di un vietcong, ma non c'è mai un fotografo per l'esecuzione di un americano, per la testa tagliata di un sudvietnamita. (10 maggio, p. &nbsp;306)
*E in essi trovai ciò che nemmeno la guerra riesce a cancellare: il glorioso dolore d'essere uomo. (p. &nbsp;142)
*Ma ecco cosa ho imparato in questa guerra, in questo paese, in questa città: ad amare il miracolo di essere nata.
*Se capisci chi parla perché non riesce a sopportare il dolore del corpo, devi capire anche chi parla perché non riesce a sopportare il dolore dell'anima.
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*Cavolino mio, ce ne sono milioni meglio di lui! <br /> E con questo? Ce ne sono milioni anche meglio di me. Comunque io non conosco quelli meglio di lui e non posso consumar la mia vita ad aspettar di conoscerli. E poi se dovessimo cercare la perfezione in un uomo, si amerebbero i santi. I santi son morti e io non vo a letto col calendario!
*Incredibile quanto la gente sia sorda al dolore non fisico. Se hai male allo stomaco o ad un piede, tutti cercano di rendersi utili e ti portan rispetto. Ma se hai male all'anima nessuno ti aiuta. Ti deridono, anzi: quasi che il dolore non fisico sia una cosa grottesca. Cammini, cammini e non sai a chi domandare soccorso. Non ti resta altro che rivolgerti a Dio: però ti sembra decente rivolgerti a Dio per un uomo che scappa?
 
*[[Allucinazione]]! Realtà! Che differenza passa tra allucinazione e realtà se nell'allucinazione vedi e soffri le medesime cose che vedi e soffri nella realtà? Tutti gli ipocriti che hanno amato qualcuno ed ora non lo amano più si difendono dicendo che non si trattava di vero amore: quasi che rinnegare qualcosa di morto sia più dignitoso che ammettere la propria sconfitta.
 
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===Citazioni===
*{{NDR|A proposito di [[Neil Armstrong]]}} Io, quando lo conobbi cinque anni fa, me ne sentii respinta e molta gente m'ha detto d'aver provato la medesima cosa. Anche a causa della sua timidezza che è enorme e che egli combatte con l'arroganza. (p. &nbsp;12)
*Io, che l'ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM. (p. &nbsp;13)
*{{NDR|A seguito dell'affermazione di Armstrong: ''[...] cade il discorso sull'avventura. Il gusto di andare su tanto per andare su...''}} Io, signor Armstrong, conosco qualcuno che andrebbe su anche sapendo di non tornare giù, solo per il gusto di andare su. (p. &nbsp;14)
*A noi europei la guerra lasciò case distrutte, parenti uccisi, fame, smarrimento e spesso vergogna: a loro lasciò i vantaggi economici di una tecnologia sviluppata. {{NDR|Riferendosi agli statunitensi}} (p. &nbsp;17)
*{{NDR|A proposito di Armstrong, Aldrin e Collins}} Lo saranno grandi uomini, eroi? Lo sono? Ovvio che no. Come individui, lo abbiamo già visto, contano relativamente. Il caso non è stato generoso. Come navigatori ed esploratori, i loro meriti sono limitati e ogni paragone con [[Cristoforo Colombo]] è semplicemente grottesco. Colombo era solo. Il viaggio alla ricerca delle Indie l'aveva ideato da solo, se l'era organizzato da solo, se lo fece da solo contro il parere di tutti: e il parere di tutti era che la Terra fosse piatta, che a un certo punto finisse per farlo cadere nel nulla. Armstrong, Aldrin e Collins invece sanno benissimo cosa vanno a trovare: minuto per minuto, metro per metro. Di questo viaggio certo non ideato da loro e non organizzato da loro, essi non sono che uno strumento prescelto; un'appendice della macchina. (p. &nbsp;40-41)
*Gli uomini sono così: inventano la [[bomba atomica]], uccidono con essa centinaia di migliaia di creature, e poi vanno sulla Luna. Né angeli né bestie ma angeli e bestie.<ref>Cfr. [[Blaise Pascal]], ''Pensieri'': «L'uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l'angelo fa la bestia.»</ref> (p. &nbsp;105)
*La fantasia umana, la fantasia di [[Jules Verne]], aveva già previsto tutto un secolo fa.<ref>Si riferisce ai libri ''Dalla Terra alla Luna'' (1865) e ''Intorno alla Luna'' (1870).</ref> A me pare che l'Apollo 11 avrebbe dovuto chiamarsi Jules Verne. (p. &nbsp;114)
*Non era un gran bel discorso, ammettiamolo. Era una frase retorica, e suonava un pochino falsa, un pochino buffa, dentro il suo gergo tecnico da pilota. E, quasi ne fosse cosciente, Armstrong la pronunciò molto in fretta, in un sussurro carico di imbarazzo: «''That's one small step for man, one giant leap for mankind.'' Questo è un piccolo passo per l'uomo, è un salto gigantesco per l'umanità». Però si riprese immadiatamente, tornò immediatamente sé stesso, e ciò accadde quando staccò le mani dal LM, e andò avanti [...] (p. &nbsp;153)
 
===[[Explicit]]===
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*Non so arrendermi al fatto che per vivere si debba morire, che vivere e morire siano due aspetti della medesima realtà, l'uno necessario all'altro, l'uno conseguenza dell'altro. Non so piegarmi all'idea che la Vita sia un viaggio verso la Morte e nascere una condanna a morte. Eppure l'accetto. Mi inchino al suo potere illimitato e accesa da un cupo interesse la studio, la analizzo, la stuzzico. Spinta da un tetro rispetto la corteggio, la sfido, la canto, e nei momenti di troppo dolore la invoco.
*Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la [[delusione]]. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d'una ingiustizia che non t'aspettavi, d'un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po' di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s'accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono.
*La lasciò al [[Hotel Croce di Malta|Croce di Malta]], l'albergo che veniva considerato il migliore della città. Buon servizio, buon cibo, camere arredate con decoro. Non a caso i viaggiatori stranieri lo preferivano al più celebre De Cerf, una ventina d'anni prima v'erano scesi anche [[Giacomo Casanova|Casanova]] e [[Tobias Smollett]], e nel milleottocento vi avrebbero alloggiato personaggi non meno illustri: [[Johann Wolfgang von Goethe|Wolfgang Goethe]], [[Stendhal|Henri Stendhal]], [[Richard Wagner]], [[Alexandre Dumas]], [[Gustave Flaubert]], [[Mark Twain]]. Era situato sul lungomare chiamato Ripa, il Croce di Malta, in una bella torre medievale chiamata Torre de' Marchi, e a parte quei pregi aveva due vantaggi: quello di trovarsi sul porto, proprio dinanzi alla darsena dove ormeggiava l'''Europa'', e quello di distare pochi isolati da Palazzo Grimaldi. (p. &nbsp;225)
*Esiste ancora anche Palazzo Grimaldi, vilipeso dalle modifiche e dagli oltraggi che l'ignoranza e il cinismo gli hanno inflitto insieme alle bombe della Seconda guerra mondiale, e naturalmente mi risultò difficile accettar l'idea che il banale edificio ora diviso in appartamentini fosse l'ex residenza del signor duca. (pp. 225-226&nbsp;225–226)
 
===[[Explicit]]===
Line 360 ⟶ 359:
 
===Citazioni===
*[...] non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. (Prologo; 2001, pp. 11-12&nbsp;11–12)
*Chi si rassegna non vive: sopravvive. (Gheorgazis: I, I; 2001, p. &nbsp;23)
*Ma quando un governo si impone con la violenza e con la violenza impedisce ai cittadini di esprimersi, di opporsi, addirittura di pensare, allora ricorrere alla violenza è una necessità. (Alekos Panagulis: I, II; 2001, pp. 56-57&nbsp;56–57)
*È una cosa terribile ammazzare, lo so, ma nelle tirannie diventa un diritto, anzi un dovere. La libertà è un dovere prima che un diritto. (Alekos Panagulis: I, II; 2001, p. &nbsp;62)
*La fiaba dell'[[eroismo|eroe]] non si esaurisce col gran gesto che lo rivela al mondo. Sia nelle leggende che nella vita, il gran gesto non costituisce che l'inizio dell'avventura, l'avvio della missione. Ad esso segue il periodo delle grandi prove, poi il ritorno al villaggio o alla normalità, poi la sfida finale dietro cui si nasconde l'insidia della morte sempre evitata. Il periodo delle grandi prove è il più lungo, forse il più difficile. E lo è perché, durante quello, l'eroe si trova completamente abbandonato a se stesso, irresistibilmente esposto alla tentazione di arrendersi, e tutto congiura contro di lui: l'oblio degli altri, la solitudine esasperata, il rinnovarsi monotono delle sofferenze. Ma guai se egli non supera quel secondo esame, guai se non resiste, se cede: il gran gesto che lo rivelò diventa inutile e la missione fallisce. (I, III; 2001, p. &nbsp;70)
*La libertà non ha patria. (Alekos Panagulis: II, II; 2001, p. &nbsp;168)
*L'aspetto della saggezza non è cupo e tetro, non è pensieroso, è ilare e pieno di gioia. Il fine e il compimento della sapienza stanno nella giocosità felice. (Alekos Panagulis: II, II; 2001, p. &nbsp;173)
*Il popolo! Il buon popolo che non ha mai colpa in quanto è povero ignorante innocente! Il buon popolo che va sempre assolto perché è sfruttato manipolato oppresso! Come se gli eserciti fossero composti solo da generali e da colonelli! Come se a fare la guerra e a sparare sugli inermi e a distruggere le città fossero i capi di Stao maggiore e basta! Come se i soldati del plotone di esecuzione che doveva fucilarmi non fossero stati figli del popolo! Come se quelli che mi torturavano non fossero stati figli del popolo! [...] Come se ad accettare i re sul trono non fosse il popolo, come se a inchinarsi ai tiranni non fosse il popolo, come se ad eleggere i [[Nixon]] non fosse il popolo, come se a votare pei padroni non fosse il popolo! [...] Come se la libertà si potesse assassinare senza il consenso del popolo, senza la vigliaccheria del popolo, senza il silenzio del popolo! Cosa vuol dire popolo?!? Chi è il popolo?!? Sono io il popolo! Sono i pochi che lottano e disubbidiscono, il popolo! Loro non sono popolo! Sono gregge, gregge, gregge! (Alekos Panagulis: IV, I; 2001, p. &nbsp;275)
*Dire che il popolo è sempre vittima, sempre innocente, è un'ipocrisia e una menzogna e un insulto alla dignità di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. Un popolo è fatto di uomini, donne, persone, ciascuna di queste persone ha il dovere di scegliere e decidere per se stessa; e non si cessa di scegliere, di decidere, perché non si è né generali né ricchi né potenti. (IV, I; 2001, p. &nbsp;276)
*[...] nei piazzali Loreto i [[Benito Mussolini|Mussolini]] si appendono subito o mai più. Se in tempo di dittatura il tirannicidio è un dovere, in tempo di democrazia il perdono è una necessità. In tempo di democrazia la giustizia non si fa scavando le tombe. (Alekos Panagulis: IV, III; 2001, p. &nbsp;326)
*«Non piangere, Alekos. Perché piangi?» «Perché ho sbagliato tutto. Mi sono fidato degli uomini, ho sbagliato tutto. Ho creduto che agli uomini importasse la verità, la libertà, la giustizia. Ho sbagliato tutto. Ho creduto che capissero. Ho sbagliato tutto. A cosa serve soffrire, battersi, se la gente non capisce, se alla gente non importa? Ho sbagliato tutto.» (V, III; 2001, p. &nbsp;387)
*Perché soffrire, allora, perché lottare, perché rischiare d'essere investiti dalla raffica che parte dalla montagna e ti butta laggiù in fondo al pozzo tra i pesci? Ma perché è l'unico modo di esistere quando sei un uomo, un donna, una persona non una pecora del gregge, perdio! Se un uomo è un uomo, non una pecora del gregge, v'è in lui un istinto di sopravvivenza che lo induce a battersi anche se capisce di battersi a vuoto, anche se sa di perdere: don Chisciotte che si lancia contro i mulini a vento senza curarsi d'essere solo e anzi fiero d'essere solo. E non ha importanza che egli agisca per se stesso o per l'umanità, credendo al popolo o non credendoci, non ha importanza che il suo sacrificio abbia o non abbia risultati: finché lotta e nel momento in cui soccombe fisicamente è lui il Popolo, è lui l'Umanità. E magari un risultato esiste: sta nel fatto che egli si allontani dal branco, che rifiuti di appartenere al fiume di lana, che turbi il gregge per un'ora o un giorno. A volte basta che un uomo, una donna, si allontanino dal gregge perché il gregge si sparpagli un poco, perché il fiume di lana interrompa il suo fluire lungo il sentiero tracciato dalla montagna. (V, III; 2001, pp. 391-392&nbsp;391–392)
*Non v'è [[eroismo|eroe]] vivo che valga un eroe morto [...]. (VI, I; 2001, p. &nbsp;415)
*L'eterno Potere che non muore mai, cade sempre per risorgere dalle sue ceneri, magari credi di averlo abbattuto con una rivoluzione o un macello che chiamano rivoluzione e invece rieccolo, intatto, diverso nel colore e basta, qua nero, là rosso, o giallo o verde o viola, mentre il popolo accetta o subisce o si adegua. (Prologo)
*La solita fiaba dell'eroe che si batte da solo, preso a calci, vilipeso, incompreso. La solita storia dell'uomo che rifiuta di piegarsi alle chiese, alle paure, alle mode, agli schemi ideologici, ai principii assoluti da qualsiasi parte vengano, di qualsiasi colore si vestano, e predica la libertà. La solita tragedia dell'individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti. (Prologo)
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*Amava la vita perché, in punto di morte, soffrendo, alzò gli occhi e gridò: "Se Tu esisti davvero, perché non mi fai vivere". Non chiedeva di non farla soffrire, chiedeva di vivere. Diceva di non credere, ma aveva una grande speranza. ([[Rino Fisichella]])
*Amava un'Italia scomparsa fatta di Risorgimento e Resistenza, di impegno e di passione civile. Ed era poco italiana, ora che essere buoni italiani vuol dire essere conformisti, recitare la correttezza politica e vivere le passioni dei premi letterari e dei talk show politici, ed essere per forza di destra o di sinistra, o di centro. Non fatevi ingannare quando cercano di separare le sue parole dopo l'11 settembre da quello che era stata prima. Era la stessa di sempre, quella che aveva giudicato la guerra del Vietnam inutile e stupida, quella del bambino mai nato, quella che si era tolta il velo davanti a [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]]. La stessa ribellione e l'ipocrisia quando aveva preso a scrivere contro il fondamentalismo islamico, e ancora di più contro il relativismo, il multiculturalismo, l'antisemitismo, tutti gli -ismi di un'Europa avviata a diventare [[Eurabia]]. Se n'è andata in solitudine, ma siamo noi ad essere un po' più soli. ([[Toni Capuozzo]])
*Aver seminato tutto il terrore che ha seminato con quell'articolo<ref>{{Cfr}} [[w:Oriana_FallaciOriana Fallaci#No-global e sinistra|paragrafo su Wikipedia]].</ref>, è un'operazione da terrorista. La signora Fallaci è una terrorista. ([[Franca Rame]])
*Con Oriana Fallaci scompare una donna straordinaria, oltre che una grande giornalista, che non ha mai rinunciato alla sua libertà di pensiero, anche quando le sue parole rischiavano di apparire scomode o addirittura temerarie. ([[Silvio Berlusconi]])
*Con Oriana Fallaci se ne va una giornalista coraggiosa, una scrittrice libera. Le sue interviste e i suoi reportage hanno aiutato generazioni di italiani a comprendere i fatti del mondo, a conoscerne le storie. Le pagine dei suoi libri sono quelle di una scrittrice di livello internazionale, che nel corso della sua vita non ha mai avuto timore di prendere posizione, di esprimere le proprie idee, di scegliere con chiarezza e con nettezza da che parte stare. L'Italia perde, con lei, la voce forte di una donna impegnata, di un'intellettuale indipendente. ([[Walter Veltroni]])
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{{Pedia|Un cappello pieno di ciliege||(2008)}}
{{Pedia|Intervista con il Potere||(2009)}}
 
{{Portale|donne}}
{{vetrina|28|marzo|2008|scrittori|giornalisti}}