Gustaw Herling-Grudziński: differenze tra le versioni

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*C'è sempre posto per la speranza quando la vita diventa co­sì completamente disperata che nessuno ha presa su noi; allora apparteniamo a noi stessi... Capisce? Diventiamo padroni asso­luti delle nostre vite... Quando non c'è speranza di salvezza in vista, non la più sottile breccia nelle mura che ci circondano, quando non possiamo levare la mano contro il destino proprio perché è il nostro destino, c'è una sola cosa che ci resta: rivolge­re quella mano contro noi stessi. (p. 184)
*Nulla conforta un cuore che soffre quanto la vista della sofferenza altrui; e nulla toglie la speranza quanto il pensiero che solo pochi privilegiati hanno diritto a essa. (cap. XIII, p. 217)
*Al di sotto di un certo livello di vita l'uomo si lega con un attaccamento fatalistico alla sua mise­ria e tratta con diffidenza ogni occasione di miglioramento; l'amara esperienza gli ha insegnato che il mutamento può esser solo per il peggio. "Lasciatemi in pace," sembra dire. "Voglio soltanto continuare a vivere." Si può trarre da ciò la conclusione conservatrice che nessuno può esser reso felice contro la sua vo­lontàvolontà, il che è in un certo senso esatto; la felicità non è mai la stessa per colui che la riceve e per colui che la dà. (cap. XIII, p. 218)
*Migliaia di uomini in tutto il mondo combattono per diverse ragioni, senza sapere che anche la possibilità della sconfitta, se soltanto può as­sumere il carattere del martirio, diviene gloria e conquista. Gli uomini sconfitti in una lotta solitaria per qualcosa in cui essi cre­dono prendono su di sé volontariamente il carico del martirio come amara ricompensa della loro solitudine. Ma disgraziatamente sono assai pochi coloro la cui resistenza fisica può andare di pari passo con la forza della loro determinazione. (cap. XIII, p. 223)
*Al corpo di guardia, in presenza di un ufficiale della terza se­zione, firmammo il testo di un telegramma al professor Kot, l'ambasciatore polacco, che allora esercitava le sue funzioni a Kujbyšev, e poi, ancora scortati da Zyskind, ci muovemmo verso il piccolo ospedale aperto di recente all'altro capo del recinto. Camminavamo appoggiandoci l'uno all'altro, eppure leggeri, co­me se in qualsiasi momento potessimo sollevarci dalla terra. Ca­deva una neve fitta, che ricopriva le baracche fino alle finestre illuminate. Tutto era calmo, vuoto e pace. (cap. XIII, p. 231)