Gesualdo Bufalino: differenze tra le versioni

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*Si scrive per guarire sé stessi, per sfogarsi, per lavarsi il cuore. Si scrive per dialogare anche con un lettore sconosciuto. Ritengo che nessuno senza [[memoria]] possa scrivere un libro, che l'uomo sia nessuno senza memoria. Io credo di essere un collezionista di ricordi, un seduttore di spettri. La [[realtà]] e la [[finzione]] sono due facce intercambiabili della vita e della letteratura. Ogni sguardo dello [[scrittore]] diventa visione, e viceversa: ogni visione diventa uno sguardo. In sostanza è la vita che si trasforma in [[sogno]] e il sogno che si trasforma in vita, così come avviene per la memoria. La realtà è così sfuggente ed effimera... Non esiste l'attimo in sé, ma esiste l'attimo nel momento in cui è già passato. Piuttosto che vagheggiare un futuro vaporoso ed elusivo, preferisco curvarmi sui fantasmi di ieri senza che però mi impediscano di vivere l'oggi nella sua pienezza.<ref>Da ''Bufalino: io, collezionista di ricordi, seduttore di spettri'', ''Il Messaggero'', 21 febbraio 2002.</ref>
*Sono un sobrio, uno spartano. Tuttavia alla mensa di [[Leonardo Sciascia]] posso dire di avere gustato certe delizie paradisiache che mi inducono a tradire i miei principi di vegetariano e di francescano della cucina. Trovo prudente qui constatare un rapporto inverso tra la prurigine, la ricchezza, la succulenza di cibi e la qualità della prosa. Tanto è asciutta e rigorosa la prosa di Sciascia, tanto è invece barocca e ricca la sua cucina. Viceversa io che amo in letteratura le parole preziose, forse per una rivincita dei miei gusti di spartano, mi trovo a gustare alla tavola di Sciascia pietanze che somigliano alla mia scrittura.<ref name=Bufal/>
*Un teatro era il [[Modica|paese]], un proscenio di pietre rosa, una festa di mirabilia. E come odorava di gelsomino sul far della sera. Non finirei mai di parlarne, di ritornare a specchiarmi in un così tenero miraggio di lontananze...<ref>Da ''Argo il cieco ovvero i sogni della memoria''.</ref>
*Viaggiare, voglio dire, s'apparenta alle due più esclusive ed esaltanti esperienze dell'uomo: amare e creare. Saper viaggiare è cosa creativa quanto una seduzione d'amore, una bella pittura, una frase musicale assoluta. Ove poi il luogo da visitare sia l'isola che dico io, ombrosa e lucente, gremita di vita e di morte, crogiolo di razze e crocevia di secoli, l'impresa risulterà più che mai portatrice di turbamento e di rischio: se ogni viaggio significa una scommessa di conoscenza e felicità, il viaggio in [[Sicilia]] è un esame senza confronto, è l'Esame.<ref>Da ''La Luce e il lutto'', Palermo, Sellerio, 1988, p. 60.</ref>
 
==''Argo il cieco''==
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===Citazioni===
*Un teatro era il [[Modica|paese]], un proscenio di pietre rosa, una festa di mirabilia. E come odorava di gelsomino sul far della sera. Non finirei mai di parlarne, di ritornare a specchiarmi in un così tenero miraggio di lontananze...<ref>Da ''Argo(p. il cieco ovvero i sogni della memoria''.</ref>12)
*[...] volle venire con noi a [[Ispica]], a visitare la Cava, una valle lunga e magra, bucherellata di grotte antiche e sacelli. [...] Noi ci spingemmo avanti, catecumeni di un felice e verde Al di là. [...] Mentre qui, lungo le diserbate muraglie, un intreccio si svolgeva di tunnel e oblò offerti alle allegrie della luce; né c'era veduta o figura che non persuadesse quietamente di vivere. [...] dentro la necropoli più capace il lezzo era opaco come in un'antica cantina, rabbrividimmo nelle nostre membra sudate. Ci muovevamo a piccoli balzi, scansando i loculi vuoti. Uno la sedusse, minore, accanto a un altro maggiore. "Una bambina e suo padre" supposi io. "La sposa bambina di un re" mi corresse. (ppp. 345-346104)
 
==''Bluff di parole''==
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*Da questa soperchieria del morire prende corpo il pessimismo isolano, e con esso il fasto funebre dei riti e delle parole; da qui nascono i sapori cupi di tossico che lascia in bocca l'amore. Si tratta di un pessimismo della ragione, al quale quasi sempre s'accompagna un pessimismo della volontà. [...] Il risultato di tutto questo, quando dall'isola non si riesce o non si voglia fuggire, è un'enfatica solitudine. Si ha un bel dire – io per primo – che la Sicilia si avvia a diventare Italia (se non è più vero, come qualche savio sostiene, il contrario). Per ora l'isola continua ad arricciarsi sul mare come un istrice, coi suoi vini truci, le confetture soavi, i gelsomini d'Arabia, i coltelli, le lupare. Inventandosi i giorni come momenti di perpetuo teatro, farsa, tragedia o Grand-Guignol. Ogni occasione è buona, dal comizio alla partita di calcio, dalla guerra di santi alla briscola in un caffè. (''L'isola plurale'', p. 19)
*Fino a quella variante perversa della liturgia scenica che è la mafia, la quale fra le sue mille maschere, possiede anche questa: di alleanza simbolica e fraternità rituale, nutrita di tenebra e nello stesso tempo inetta a sopravvivere senza le luci del palcoscenico. [...] Non è tutto, vi sono altre Sicilie, non finirò di contarle. (''L'isola plurale'', pp. 19-20)
*Viaggiare, voglio dire, s'apparenta alle due più esclusive ed esaltanti esperienze dell'uomo: amare e creare. Saper viaggiare è cosa creativa quanto una seduzione d'amore, una bella pittura, una frase musicale assoluta. Ove poi il luogo da visitare sia l'isola che dico io, ombrosa e lucente, gremita di vita e di morte, crogiolo di razze e crocevia di secoli, l'impresa risulterà più che mai portatrice di turbamento e di rischio: se ogni viaggio significa una scommessa di conoscenza e felicità, il viaggio in [[Sicilia]] è un esame senza confronto, è l'Esame.<ref>Da ''La Luce e il lutto'', Palermo, Sellerio, 1988, (p. 60.</ref>56)
 
==[[Incipit]] di ''La panchina''==
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==Bibliografia==
*Gesualdo Bufalino, ''Argo il cieco ovvero i sogni della memoria'', in ''Opere 1981-1988'', Classici Bompiani, 20011994. ISBN 88452476788845222829
*Gesualdo Bufalino, ''[https://books.google.it/books?id=pdCgDQAAQBAJ Bluff di parole]'', Giunti, 2013 (1994). ISBN 8858761669
*Gesualdo Bufalino, ''Cere perse'', Sellerio, Palermo, 1985.