Irshad Manji: differenze tra le versioni

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*Oggi mi guardo indietro e ringrazio Dio di essere capitata in un mondo dove il Corano non doveva necessariamente essere il primo e l'ultimo libro a passarmi tra le mani, nemmeno si trattasse dell'unica ricchezza che la vita offre ai credenti. (p. 11)
*Solo le società libere permettono agli individui di reinventarsi e alle religioni di evolvere. (p. 11)
*Nella comunità afroislamica da cui provenivo mi sarebbe mai stato permesso il frequentare la scuola e l'università? Di ottenere una borsa di studio? Di presentarmi come candidata politica e di venire effettivamente eletta? A giudicare dalle sgranate fotografie in bianco e nero che mi ritraggono a tre anni intenta a giocare alla sposa con il capo coperto, le mani giunte, gli occhi bassi e le gambine penzoloni dal divano, posso solo immaginare che se fossi rimasta entro i confini dell'Uganda musulmano il mio destino sarebbe stato piegare la testa dinanzi a un ordine gerarchico inflessibile. (p. 15)
*La maggioranza dei musulmani non ha idea di cosa sta dicendo mentre recita il Corano, e non perché sia stupida, ma perché l'[[Lingua araba|arabo]] è una delle lingue più complesse al mondo e una lezione la settimana alla madrasa non è sufficiente per chiarirne i punti oscuri. La parola haram, per esempio, può riferirsi a qualcosa di proibito o a qualcosa di sacro, a seconda della sillaba su cui cade l'accento. Alle complessità della lingua dovete aggiungere la realtà di tutti i giorni. (p. 18)
*Perché tollerare la farsa di recitare in arabo, se in quella lingua il sacro testo non aveva senso e non faceva vibrare in me nessuna corda? Perché sostenere a priori che le traduzioni del Corano per forza «corrompevano» l'originale? Voglio dire, se il Corano è così univoco e diretto come i puristi ci raccontano, perché allora i suoi insegnamenti non possono essere facilmente tradotti in tutte le altre lingue? E per quale ragione stigmatizzare coloro che tra noi non parlano arabo, quando in tutto il mondo solo il tredici per cento dei musulmani è arabo? In altre parole, quando l'ottantasette per cento ''non'' lo è? (pp. 18-19)
*La maggioranza di noi non è musulmana perché ci pensa, ma perché ci nasce. Siamo musulmani, punto e basta. (p. 22)
*La pratica di lavare precise parti del corpo, di recitare specifici versi e di prostrarsi in una direzione fissa, e sempre negli stessi orari, può tuttavia degenerare in una forma di sottomissione passiva e abitudinaria. Se non avete notato nulla del genere nei vostri genitori o nei vostri nonni, credetemi, nel mondo islamico siete un'eccezione. (p. 24)
*Quanti di noi sanno fino a che punto l'Islam è un «dono degli ebrei»? L'unità della creazione, l'intrinseca e spesso misteriosa giustizia divina, la nostra capacità innata di creature di Dio di scegliere il bene, il senso della nostra vita terrena, l'infinitezza di quella ultraterrena: queste e altre idee portanti del monoteismo sono pervenute ai musulmani tramite l'ebraismo. Per me fu una scoperto sconvolgente perché ne derivava che l'Islam non aveva alcuna necessità di alimentare l'antisemitismo. Anzi, semmai avevamo molti più motivi di esser grati agli ebrei che non di odiarli. (p. 27)
 
==Note==