Vittorio Imbriani: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Su [[Raffaello Sanzio]]}} [...] l'affresco di San Pietro incarcerato e liberato è stato una rivelazione per me. Nessun pittore, che abbia fatto studio esclusivo degli effetti di luce, è mai giunto ad un tanto effetto, ad una tanta potenza d'illusione. Altro che Gherado delle notti! Eppure, si badi, qui si tratta d'un affresco enorme, non d'una pittura ad olio, nella quale le bravure sono assai più facili ed i colori più vividi. Dunque il Sanzio sapeva e poteva gareggiare con chicchessia nelle cose difficili, negli sforzi, negli scherzi; ma non volle: preferì quel modo suo sereno ed agevole. Non volle, perché? Debbe aver giudicato l'arte esser tutt'altro. (da ''Diaro romano, Vaticano, 14. XII. {{sic|77}}'', p. 113)
*Salutammo [[Marco Aurelio|Marc'Aurelio]].[...] Salutammo la povera [[lupo|lupa]], scendendo la cordonata; quella povera lupa, che tengon barbaramente chiusa in una gabbia, mentre facendovi una cancellata intorno si potrebbe lasciar liberamente gironzolare per quelle {{sic|ajuole}}.<br/>Notammo l'assenza delle oche. Un {{sic|campidoglio}} senza oche è cosa inconcepibile. L'[[oca]] è lo animale repubblicano per eccellenza. Chi la surroga in Campidoglio? I consiglieri comunali. (da ''Diaro romano, Il Campidoglio'', p. 115)
*Quel che indispone, è la maniera; quella non posso digerirla, per quanto graziose apparenze abbia. Quando lavorano di maniera, aborro del pari Raffaello ed il Camuccini. Proprio? Via, poniamoci un ''quasi'', quasi del pari.<br/>Nell'arte ci abbiamo la ingenua riproduzione del vero; ci abbiamo la creazione dell'Ideale; ci abbiamo la Maniera. Tre stadi, tre indirizzi.<br/>Il Vero, ancorché scelto male e senza criterio, ingenuamente riprodotto, piace sempre. Dal vero, scelto intelligentemente, studiato, sviscerato, può astrarsi lo ''ideale''. Ma per maniera s'intende un ideale di strapazzo e di convenzione; una figura eseguita, senza che le serva di sustrato una propria impressione naturale. (da ''Diaro romano, Galleria Rospigliosi, Sabato, 16. XII.{{sic|77}}'', p. 118)
*Dopo il [[carnevale]], vien la quaresima; dopo lo scherzo, la riflessione. Sta bene di [[risata|ridere]], e sta bene anche di [[pensiero|pensare]]; perché ogni cosa al mondo ha due facce come Giano bifronte. Non vi ha nulla di più straziante che i soliti temi da [[commedia|{{sic|comedia}}]], purché si guardino sotto un dato aspetto; non vi ha nulla di più buffo che i soliti argomenti di [[tragedia]], se si considerano in un dato modo. (da ''La fama di [[Capri]], [[Adolfo Stahr|A. Stahr]] risponde'', p. 173)
*{{NDR|Il [[francobollo]]}} sta alla moneta, come la pittura alla scultura: la moneta è fra i segni espressivi del valore il ''classico'' ed il francobollo il ''romantico'' [...] (da ''Francobolli, medaglie, monete... '', ''A proposito d'un libro: ''«Essais de philosophie hégélienne'',» par A. Vera'', p. 180)
*Felici! tre volte felici! cui nessuna linea, nessun colore offende l'occhio! nessuna vanità o sproposito la mente. Io v'invidio, come invidio al contadino i calli che gli permettono di abbrancar le ortiche senza pungersi; come invidio a certi palati di gustare l'acquavite senza rimanerci impiagati; come invidio i giudici di poter ascoltare certi legulei senza imbecillire! ''Invideo quia quiescunt'', diceva [[Martin Lutero|Lutero]] passeggiando tra le fosse di un camposanto! È un fatto, la delicatezza è un grande {{sic|incommodo}}, ed hanno ragione i babbi che chiamano viziosi i figliuoli quando questi non sanno risolversi a trangugiar la minestra in cui è caduta una mosca. Felici cui un organo speciale fa trovare tutto bello, tutto gustoso! (da ''Francobolli, medaglie, monete... '', ''A proposito d'un libro: ''«Essais de philosophie hégélienne'',» par A. Vera'', pp. 183-184)
*{{sic|Or bene}}, in fatto di visibilità, appunto i [[denaro|Monumenti Numismatici]] hanno un vantaggio sugli architettonici, questi se ne stanno immobili, duri, saldi, che non li scuoterebbe il tremuoto, e quelli fanno il miracolo d'andarti a trovare sino in casa. (da ''Francobolli, medaglie, monete... '', ''A proposito d'un libro: ''«Essais de philosophie hégélienne'',» par A. Vera'', p. 188)
*Gli eroi ed i ''fàcini'', i grandi uomini ed i gran fatti hanno due vite: l'una breve, univoca, effettiva nella materialità delle cose; l'altra inesauribile, immortale, ideale nella coscienza de' posteri: e quest'ultima è il mito, ed ha, ripetiamolo, più vicissitudini della prima, che sta lì immobile nella sua grettezza. Il doppio lavoro della fantasia e della critica è immenso, potentissimo.[...] L'objetto (eroe, fàcino) è il metallo prezioso che ogni secolo foggia diversamente nel mito: dal minerale informe si fondono verghe, s'intagliano coppe ornate di figurine; le coppe profane si distruggono da' devoti per formare de' brutti santi; i santi si manomettono da' bisognosi increduli per coniar marenghi; i marenghi si buttano nel crogiuolo dell'orafo per ricavarne pendagli e fermagli. Il valore intrinseco del metallo è sempre il medesimo, però quelle trasformazioni che lo adattano a' bisogni di ogni tempo quanto non importano! si può affermare che il vero pregio dell'oro consiste nella suscettibilità d'assumere quelle forme. (da ''Arte e morale, A proposito del centenario dantesco'', p. 195)
*Questo gran popolo artistico ch'è l'Italiano non è stato ancora capace di concepire l'[[Arte]] come Arte, tutt'Arte, null'altro che Arte; di ravvisare ed affermare che essa come ogni altra cosa al mondo, ha in {{sic|se}} medesima la propria necessità, le proprie determinazioni, la sua ragion d'essere. Anzi noi, affatto subjettivamente le presupponiamo e le apponiamo mille scopi e mille qualità estrinseche, contraddittorie, tali insomma che non possono ritrovarsi in nessun lavoro d'Arte; e se talvolta qualcuno vi dice che pur vi sono, e voi siate pur certi che non istanno nell'objetto, bensì nell'occhiale, come quel topolino che pensarono di scoprire nella luna e che in verità s'appiattava fra le lenti del telescopio. (''Arte e morale, A proposito del centenario dantesco'', p. 197)