Vincenzo Consolo: differenze tra le versioni

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*Adesso odio il paese, l'isola, odio questa nazione disonorata, il governo criminale, la gentaglia che lo vuole... Odio finanche la lingua che si parla...<ref name=":0">Da ''Nottetempo, casa per casa''; citato in Corrado Stajano, ''[http://www.corriere.it/cultura/17_settembre_17/vicenzo-consolo-testi-libro-bompiani-raccolta-mafia-c9cecac6-9bba-11e7-99a4-e70f8a929b5c.shtml Vincenzo Consolo, scritti sulla mafia]'', ''Corriere.it'', 17 settembre 2017.</ref>
*Chi ha uso di ragione, possesso di cognizione, sa che la [[mafia]], questa mala pianta, questo olivastro infestante e devastante, è nata in [[Sicilia]] per il ritardo storico in cui l'isola è stata tenuta, per l'ingiustizia a danno di essa costantemente perpetrata, da dominazioni, governi, da ottuse cieche caste di privilegio e sopruso; sa che in Sicilia la mafia si è sviluppata con l'abbandono, con l'assenza dello Stato, con la connivenza, l'aiuto di regimi politici, di poteri statali insipienti o corrotti.<ref name=":0" />
*{{NDR|Su [[Lucio Piccolo]]}} Così, nel poeta, convivono due anime, quella palermitana, spagnola, barocca, delle vecchie chiese, dei conventi, degli oratori, tutta scenografia interna che fa da sfondo alla sua infanzia-adolescenza; e quella messinese, greca, della campagna, della natura, scenografia esterna che fa da sfondo alla sua giovinezza-maturità, ma che egli riduce -è bene dirlo- sempre alla cifra barocca.<ref>Da ''Delle cose di Sicilia'', Palermo, Sellerio, 1986; scritto disponibileriportato in ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=663 Le 9 liriche del grande Piccolo Vincenzo Consolo]'', ''Vincenzo ConsoloVincenzoConsolo.it'', marzo 2002.</ref>
*Costruito, [[San Fratello]], nell'Alto Medio Evo, dalle truppe mercenarie raccolte nella [[Padania|Valle Padana]] (ma questo non bisogna farlo sapere a [[Umberto Bossi|Bossi]]) da [[Ruggero I di Sicilia|Ruggero il Normanno]] per la riconquista. Queste truppe di mercenari si erano stabilite in Sicilia formando le cosiddette [[Lombardi di Sicilia|colonie lombarde]] ([[Nicosia (Italia)|Nicosia]], [[Aidone]], [[Piazza Armerina]], [[Francavilla di Sicilia|Francavilla]], [[Novara di Sicilia]] e San Fratello, appunto). Colonie chiuse che hanno conservato le loro tradizioni [[Lombardia|lombarde]], i loro costumi e, soprattutto, la loro lingua, il gallo italico o mediolatino. San Fratello è stata la più tipica e la più chiusa di queste colonie. Paese di pastori, di carbonai e di contadini, che aveva la sua ragione di vita nel ricco bosco adiacente al paese, il bosco della Miraglia, che fa parte del Parco dei Nebrodi, ricco di faggi, cerri, querce. La fine del mondo contadino degli anni Cinquanta, Sessanta, ha fatto crollare l'economia di San Fratello e costretto molti dei suoi abitanti ad emigrare. Emigrare dove? In Lombardia naturalmente, come in una sorta di richiamo ancestrale. C'è stata una trafila migratoria in Val Ceresio, nei paesi soprattutto di Saltrio e Viggiù.<ref>Da ''La metafora di San Fratello'', ''Il Manifesto'', 17 febbraio 2010.</ref>
*Credo che l'emigrazione sia veramente il cammino delle civiltà. Tutte le grandi civiltà si sono infatti formate attraverso le emigrazioni, a partire da quella greca.<ref name="meridia">Da un'intervista per il ''Corriere di Como'', 19 novembre 1997; riportata in ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=1070 La Sicilia comasca di Consolo nei "Meridiani"]'', ''Vincenzo ConsoloVincenzoConsolo.it''.</ref>
*''Cu voli puisia venga 'n Sicilia'' ha cantato il poeta dialettale Ignazio Buttitta. Sì, tutti poeti noi siciliani; da sempre, e in quei saloni di Palazzo dei Normanni in cui attorno allo Stupor mundi, a Federico II, nacque la Scuola poetica siciliana, si muovono oggi i nuovi poeti, gli assessori della nuova giunta di Raffaele Lombardo.<ref>Da ''Poeti di Sicilia'', ''il Manifesto'', 23 settembre 2009; riportato in ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=299 Poeti di Sicilia]'', ''Vincenzo ConsoloVincenzoConsolo.it'', settembre 2010.</ref>
*Ed è [[Palermo]], la fastosa e miserabile Palermo, con i suoi palazzi nobiliari che imitano le regge dei Borboni tra i «cortili» di tracoma e tisi, con le ville-alberghi in stile moresco-liberty di imprenditori come i Florio che s'alzavano sopra i tetti dei tuguri; la Palermo delle strade brulicanti d'umanità come quelle di Nuova Delhi o del Cairo e dei sotterranei dei conventi affollati di morti imbalsamati, bloccati in gesti e ghigni come al passaggio di quello scheletro a cavallo e armato di falce che si vede nell'affresco chiamato ''Trionfo della morte'' del museo Abatellis.<ref>Dalla prefazione di Vincenzo Consolo a [[Carlo Levi]], ''Le parole sono pietre'', Giulio Einaudi editore, Torino, 2010, p. XI.</ref>
*Fra tutte le [[Lombardi di Sicilia|colonie lombarde]], quella che ha più mantenuto costumi e lingua è stata [[San Fratello]], San Filadelfio in origine, costruita sul cocuzzolo di una montagna di 700 metri, vicina all'antica città siculo-greca Apollonia e quindi bizantina Demena (da cui prese il nome il Valdemone).<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/02/25/quei-siciliani-lombardi-investiti-dalla-frana.html Quei siciliani lombardi investiti dalla frana]'', ''la Repubblica'', 25 febbraio 2010, edizione Palermo, p. 1.</ref>
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*Il problema della lingua è stato agitato da parecchi scrittori della nostra letteratura: Leopardi, ad esempio, guarda oltralpe, afferma che il francese tende all'unità, è una lingua che si è geometrizzata a partire dall'epoca di Luigi XIV, mentre in Italia esistono un'infinità di lingue. La Francia ha "perso l'infinito" che aveva in origine, mentre l'Italia lo ha mantenuto, ha mantenuto cioè la possibilità di alimentare la propria lingua attraverso l'apporto delle parlate popolari, dei dialetti.<ref name="meridia" />
*Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in [[Sicilia]], di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all'interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta d'addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca. (da ''Le pietre di Pantalica'', p. 179)
*La mia terra, l'isola, la Sicilia, è una terra estrema, che ha sempre, da una parte, persone non felici socialmente, che, spinte dalla necessità, sono state portate ad emigrare; ma questo non solo dalla Sicilia, ma da tutto il meridione, come voi sapete, e anche da zone depresse di questo Veneto. Però da parte degli intellettuali, degli scrittori c'è sempre stata, se non la necessità, il desiderio di arrivare al centro, di lasciare questa periferia incerta, cercando un centro che in volta in volta si identificava in Roma, in Firenze, ma soprattutto in Milano.<ref>Da ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=1009 Incontri: Scrittori d'oggi e tradizione classica]'', ''Vincenzo ConsoloVincenzoConsolo.it'', 1°º giugno 1995.</ref>
*La Sicilia è la metafora dell'Italia. Come diceva [[Ignazio Buttitta]] "a Sicilia puoitta a banniera".<ref>Dall'intervista di Sergio Buonadonna,; riportata in ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=405 La Sicilia è un'isola sequestrata]'', ''Vincenzo ConsoloVincenzoConsolo.it'', giugno 2011.</ref>
*[[Carlo Levi#Le parole sono pietro|''Le parole sono pietre'']] — mai titolo di libro fu più felicemente duro e capace di colpire — è il frutto di un viaggio in Sicilia in tre tempi: nel 1951, nel 1952 e nel 1955, anno, questo stesso, in cui fu pubblicato per la prima volta. [...] Ultimo, allora, di una lunghissima e illustrissima schiera di viaggiatori in Sicilia, viaggiatori che spesso, in questa terra antica e composita, enormemente stratificata, sono stati ingannati o fuorviati da superfici arditamente colorate o da monumentalità incombenti, fino a giungere qualche volta allo smarrimento (come successe a quel povero inglese di nome Newman, divenuto poi cardinale, che dalla Sicilia scappò confuso e febbricitante), ultimo, dicevo, Levi, non ha distrazioni e incertezze.<ref>Dalla prefazione a ''Le parole sono pietre'', Giulio Einaudi editore, Torino, 2010, pp. VI-VII.</ref>
*{{NDR|Parlando delle proprie scelte lessicali}} Non sono però parole inventate, ma reperite, ritrovate. Le trovo nella mia memoria, nel mio patrimonio linguistico, ma sono frutto anche di mie ricerche, di miei scavi storico-lessicali. Sin dal primo libro sono partito da una estremità linguistica, mi sono collocato, come narrante, in un'isola linguistica, in una [[Lombardi di Sicilia|colonia lombarda di Sicilia]], [[San Fratello]], dove si parla un antico dialetto, il gallo-italico. È quella stessa particolarità storico-linguistica avvertita da [[Leonardo Sciascia|Sciascia]].<ref>Da ''Fuga dall'Etna. La Sicilia e Milano, la memoria e la storia'', Donzelli, 1993, p. 54.</ref>
*Quando tornai, in estate, andai an­cora a trovare Piccolo. «Cosa dicono di me a Milano, co­sa dicono?» mi chiese subito. Niente, non dicevano nien­te. Piccolo, dopo la curiosità suscitata al suo esordio, e dopo essere stato trascinato nel ciclone del Gattopardo, era bell'e dimenticato: altri miti, altre scoperte andava fabbricando per più rapidi consumi l'industria culturale.<ref>Da ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=757 Il barone magico]'', ''Vincenzo ConsoloVincenzoConsolo.it'', novembre 2015.</ref>
*Questa cultura della difesa dei [[cane|cani]] ad oltranza porta ad adorarli in un modo decisamente meno sano che nella cultura contadina.<ref name=rep>Da un'intervista su ''la Repubblica'', 17 marzo 2009.</ref>
*Qui a Milano le stesse persone che camminano per la città portando i cani in braccio poi non si trattengono dall'insultare gli [[Immigrazione|extracomunitari]].<ref name=rep/>
*S'accostò al leggio e, nel silenzio generale, tolse il panno che copriva il dipinto. {{NDR|''[[Ritratto d'ignoto marinaio]]''}}<br>Apparve la figura d'un uomo a mezzo busto. Da un fondo verde cupo, notturno, di lunga notte di paura e incomprensione, balzava avanti il viso luminoso. Un indumento scuro staccava il chiaro del forte collo dal busto e un copricapo a calotta, del colore del vestito, tagliava a mezzo la fronte. L'uomo era in quella giusta età in cui la ragione, uscita salva dal naufragio della giovinezza, s'è fatta lama d'acciaio, che diverrà sempre più lucida e tagliente nell'uso ininterrotto. L'ombra sul volto di una barba di due giorni faceva risaltare gli zigomi larghi, la perfetta, snella linea del naso terminante a punta, le labbra, lo sguardo. Le piccole, nere pupille scrutavano dagli angoli degli occhi e le labbra appena si tendevano in un sorriso. Tutta l'espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell'increspatura sottile, mobile, fuggevole dell'ironia, velo sublime d'aspro pudore con cui gli esseri intelligenti coprono la pietà. Al di qua del lieve sorriso, quel volto sarebbe caduto nella distensione pesante della serietà e della cupezza, sull'orlo dell'astratta assenza per dolore, al di là, si sarebbe scomposto, deformato nella risata aperta, sarcastica, impietosa o nella meccanica liberatrice risata comune a tutti gli uomini.<br>Il personaggio fissava tutti negli occhi, in qualsiasi parte essi si trovavano, con i suoi occhi piccoli e puntuti, sorrideva a ognuno di loro, ironicamente, e ognuno si sentì come a disagio.<ref>Da ''Il sorriso dell'ignoto marinaio'', Mondadori, 1997; riportato in ''[http://vincenzoconsolo.it/?p=1148 VincenzoConsolo.it]''.</ref>
*Tutti dovettero avere una grande superbia, un grande orgoglio, un alto senso si sé, di sé come individui e di sé come comunità, se subito dopo il terremoto vollero e seppero ricostruire miracolosamente quelle città, con quelle topografie, con quelle architetture barocche: scenografiche, ardite, abbaglianti concretizzazioni di sogni, realizzazioni di fantastiche utopie. Sembrano nei loro incredibili movimenti, nelle loro aeree, apparenti fragilità, una suprema provocazione, una sfida ad ogni futuro sommovimento della terra, ad ogni ulteriore terremoto; e sembrano insieme, le facciate di quelle chiese, di quei conventi, di quei palazzi pubblici e privati, nei loro movimenti, nel loro ondeggiare e traballare "a guisa di mare", nel loro gonfiarsi e vibrare come vele al vento, la rappresentazione, la pietrificazione, l'immagine, apotropaica o scaramantica, del terremoto stesso: la distruzione volta in costruzione, la paura in coraggio, l'oscuro in luce, l'orrore in bellezza, l'irrazionale in fantasia creatrice, l'anarchia incontrollabile della natura nella leibniziana, illuministica anarchia creatrice; il caos in logos, infine. Che è sempre il cammino della civiltà e della storia. (da ''Il barocco in Sicilia'')
*Un uomo, [[Pino Puglisi|don Pino]] {{Ndr|Puglisi}} in lotta contro i non uomini, i mafiosi e i sicari del quartiere, per salvare i bambini e i ragazzi da un destino di violenza, di illegalità, di miseria e ignoranza, di inciviltà.<ref name=":0" />