Silvio Bertoldi: differenze tra le versioni

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*Alti ufficiali delle tre armi corteggiano Ciano e approvano ostentatamente ogni sua trovata in campo strategico, quasi si trattasse delle direttive d'un [[Paul von Hindenburg|Hindenburg]]. Ministri e gerarchi chiedono a lui notizie «vere» della guerra e applaudono con esagerato entusiasmo alle vittorie annunciate dal Delfino come frutto delle sue disposizioni. Il giovanotto è di per sé portato a sopravalutarsi. Prende sul serio il finto credito e la finta reverenza che gli dimostrano e si convince di essere davvero il regista della spedizione spagnola. (cap. 3, pp. 42-43)
*Ciano era il Delfino, l'erede ''in pectore''. Grandi ha scritto che non piaceva a nessuno e ha ragione. Fisicamente il giovanotto aveva un che di ridicolo, i capelli impomatati sul cranio da dolicocefalo, i piedi piatti e larghi nel camminare, l'abitudine di tenere la testa all'indietro perché così faceva il suocero, una figura che andava impinguendosi troppo per uno non ancora quarantenne. Giocava a [[golf]] e amava farlo sapere per snobismo, essendo allora il golf praticato solo da alcuni privilegiati. Ma gli italiani ridevano di uno sport consistente nel dare bastonate a una pallina per farla entrare in una buca. L'unica palla degna del loro interesse era quella del calcio. (cap. 4, pp. 60-61)
*{{NDR|[[Achille Starace]], durante una visita all'Università di Padova nell'ottobre 1937}} Si trovò ad un certo punto circondato da una massa di giovani del Guf<ref>Gruppi universitari fascisti, articolazione universitaria del Partito Nazionale Fascista.</ref> con i variopinti cappelli delle facoltà, fazzoletti azzurri e divisa fascista. Lo presero in mezzo gridando evviva e se lo issarono sulle spalle. Starace, compiaciuto, lasciava fare, non aveva il più pallido sospetto che si trattasse di una presa in giro, salutava romanamente sorridendo. Si udivano ovazioni e applausi, di cui il segretario del partito non coglieva il sottofondo derisorio. Sballottolato dai portatori, fu trasportato in corteo verso la cerimonia rituale. Ogni tanto, sempre lanciando motti fascisti e cantando gli inni della Rivoluzione, lasciavano cadere l'infelice a terra, come per errore, poi lo rialzavano e lo buttavano in aria. Continuarono così per un buon tratto e il peggio venne quando i goliardi cominciarono a pungergli il sedere con certi spilloni portati apposta, A ogni colpo il martire sbiancava per il dolore, ma fingeva di nulla, si sforzava di non darlo a vedere. Così, tra punzecchiature e tonfi sull'asfalto, finì la processione, sopportata da Starace con stoicismo, sempre salutando romanamente e mostrandosi compiaciuto della «calorosa accoglienza ricevuta» (così si espresse il giorno dopo, per mascherare l'inaudito oltraggio, il giornale locale). Non vi furono provvedimenti punitivi. Ma da quel momento l'antipatia di Starace per il Guf e per gli universitari divenne mortale. (cap. 5, pp. 69-70)
*Esisteva {{NDR|in Italia}}, per la verità, fin dal 1920, un marginale filone di [[antisemitismo]] alimentato da un prete spretato, [[Giovanni Preziosi]], e dalla sua rivista «La vita italiana», sovvenzionata da [[Roberto Farinacci|Farinacci]], [...]. Un lugubre fanatico, senza seguito, riemerso durante La Repubblica sociale per chiedere l'applicazione in Italia delle leggi naziste di Norimberga e finito dopo il 25 aprile 1945 suicida con la moglie a Milano. (cap. 11, p. 122)
*Tra i giornalisti fascisti, il leader dell'antisemitismo è [[Telesio Interlandi]], direttore del «Tevere» e autore del volume ''Contra {{sic|judeos}}''. Alla sua morte, nel dopoguerra, i familiari faranno inserire nel necrologio a pagamento sui giornali la qualifica di «cavaliere di razza». Per questa gente Auschwitz, Treblinka, l'Olocausto non erano esistiti. O non erano bastati a farli vergognare. (cap. 11, p. 122)