Albio Tibullo: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 49:
*Come vivevano bene quando regnava Saturno, prima che la terra fosse aperta in immensi viaggi! Il pino non aveva ancora sfidato le cerule onde, né spiegato al soffio dei venti il seno delle vele; né ancor vagando in cerca di guadagni per terre ignote il nocchiero aveva caricato di merce straniera il vascello. Allora il vigoroso toro non subiva il giogo, non il cavallo mordeva con bocca domata il freno: non c'era casa che avesse porte; non c'era piantato nei campi un sasso che determinasse confini certi ai terreni coltivati. Le querce davano {{sic|mèle}} di per sé, spontanee venivano le pecore a offrire le mammelle piene di latte ai tranquilli uomini. Non eserciti, non furori, non guerre; né un rozzo fabbro aveva ancora con feroce arte temprata una spada. Ora sotto il regno di Giove sangue sempre e strage; ora i pericoli del mare; ora aperte d'un tratto mille vie alla morte. (''Libro I, Elegia III'', pp. 159-160)
*Un lungo andar di giorni insegnò a' leoni ubbidire l'uomo, un lungo andar di giorni col picciol gocciolar d'un'acqua scavò le rocce: l'anno matura le uve su' colli aprici, l'anno rimena con ferma vicenda i lucidi segni del cielo. Ma il tardare sarebbe errore. Passerà la giovinezza, oh come presto! il giorno non s'arresta né ritorna. Come presto perde la terra i purpurei colori, come presto il bianco pioppo le belle chiome! Come langue, quando sopravvennero i fati dell'inferma vecchiezza, il cavallo che un giorno balzò primo dal carcere eleo! E già vidi un giovine, incalzato oramai dall'età più tarda, a piangere i bei giorni stoltamente passati. Dèi crudeli! il serpente spoglia gli anni e rinnovasi, alla bellezza i fati non concessero indugio. (''Libro I, Elegia IV'', pp. 162-163)
*Quegli cui cantin le Muse vivrà fin che la terra avrà querci, stelle il cielo, il fiume acque. Ma chi è sordo alla voce delle Muse, chi vende l'amore, quegli séguiti su l'Ida il carro di Cibele e percorra né suoi errori trecento citàà, e taglisi al suono de' flauti frigi gli osceni pesi.<ref>Mancano i versi 71-76. {{cfr}} ''Opere'', vol. XXIX, p. 165.</ref>Ciascuno ha la sua gloria: la mia è d'essere il consultore degli amanti disprezzati: la mia porta è loro aperta a tutti. (''Libro I, Elegia IV'', pp. 164-163165)
*Ma anche tu, Foloe, ricòrdati di non esser crudele a questo giovinetto (Venere punisce i disdegni e i rigori), né chiedere doni: dia doni un amante canuto, acciò tu gli riscaldi le gelide membra contro il molle tuo seno. Assai più caro dell'oro è un giovine a cui splendon liscie le gote e non pungono con aspra barba gli abbracciamenti. Passagli sulle spalle le candide braccia, e disprezza tutti i tesori dei re. (''Libro I, Elegia VIII'', p. 175)
*[...] altri sia forte nelle armi, e abbatta col favore di Marte i capitani nemici, sì che un soldato possa poi, mentr'io bevo, raccontarmi le sie belle imprese, e col dito intinto di vino dipingermi sulla mensa gli accampamenti. Che furore è questo di provocare su i campi di battaglia la nera Morte? Pur troppo ella n'è sopra, di soppiatto e senza scalpore. Laggiù non semente, non vigne, ma Cerbero feroce e il brutto nocchiero di Stige: laggiù una pallida turba con gote livide e i capelli bruciacchiati vagola su le rive dei laghi tenebrosi. Quanto è più da lodare quegli, cui la tarda vecchiezza sorprende nella sua casuccia in mezzo la prole che gli cresce attorno! (''Libro I, Elegia X'', p. 182)
 
==Note==