Moshe Dayan: differenze tra le versioni

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*Dato le circostanze, era inevitabile che tra i riluttanti arabi israeliani e gli ebrei israeliani sussisstesse profonda sfiducia. I secondi avevano sconfitto gli eserciti arabi, non però il loro odio; e, governando le zone abitate da arabi, l'amministrazione militare si trovava pertanto nella necessità di trovare il giusto mezzo tra un atteggiamento di correttezza verso gli arabi in quanto cittadini di Israele e la vigilante coscienza che potevano trasformarsi in quinta colonna e i loro villaggi divenire altrettante basi di partenza per azioni contro lo stato. (p. 162)
*Il pubblico arabo vedesse pure nel terrorismo contro Israele l'elemento di una nobile guerra nazionale, destinato a soddisfarne la sete di vendetta e, in parte almeno, a restituirgli l'onore perduto con la disfatta dei suoi eserciti durante la Guerra d'indipendenza israeliana. Ai critici d'oltremare, i governanti arabi, compreso re Hussein di Giordania, replicavano di essere impotenti a prevenire gli atti di terrorismo, che a loro dire erano iniziative di profughi palestinesi. Con i loro sudditi, invece, non facevano mistero dell'incoraggiamento che davano al terrorismo. Dal canto mio, ero certo che l'unico modo di metter fine alle aggressioni a civili israeliani consistesse nell'intraprendere azioni decise contro specifici obiettivi militari nei paesi da cui gli attacchi partivano. Solo questo avrebbe prodotto il desiderato effetto sui loro governanti, convincendoli che era nel loro interesse prevenire l'attività dei fedayin. Altrimenti, l'esercito israeliano avrebbe risposto con rappresaglie, comprovando la debolezza degli eserciti arabi e smascherandone l'incapacità ad affrontare gli israeliani in campo aperto. Per i capi arabi, la conseguenza poteva essere una sola, quella di far perdere la faccia agli occhi dei sudditi. (p. 186)
*Le «rivoluzioni» promosse da giunte militari si susseguivano con un ritmo assillante, ed era triste constatare come alcuni dei ''leaders'' africani foserofossero più interessati ad assicurarsi posizioni di privilegio anziché allo sviluppo e al progresso del loro popolo; accadeva anzi che i nostri esperti sovente fossero assai più impegnati di certi funzionari africani nell'opera intesa a migliorare la produzione agricola locale e ad elevare il livello di vita dei cintadinicontadini. I nostri lavoravano giorno e notte per assicurare il successo ai programmi di sviluppo, mordevano il freno a ogni rinvio, soffrivano per i fallimenti. Al contrario, molti ''leaders'' e amministratori locali africani consideravano la nostra assistenza quale uno strumento per raggiungere i propri fini, ed esibevanoesibivano tutti fieri un nuovo villaggio modello e una fattoria moderna ai visitatori stranieri, solo per far colpo e assicurarsi prestigio politico. (p. 269)
*Le vittorie dei Davide sui Golia erano cosa rara, nel mio paese, anche in tempi biblici, e più rare ancora sono in un universo di carri armati e cannoni. (p. 284)
*La [[Guerra dei sei giorni]], come venne più tardi chiamata, fu il terzo grande conflitto armato in cui Israele si trovò coinvolto da quando, dicannovediciannove anni prima, il nostro stato era venuto in essere; si trattò di una guerra alla base della quale stavano le errate valutazioni del presidente egiziano [[Gamal Abd el-Nasser|Gamal Abdel Nasser]]. Le cause immediate del conflitto furono una serie di incidenti tra Israele da un lato e Siria e Giordania dall'altro, e la conseguente reazione dell'Egitto o meglio del suo presidente. Nasser sapeva benissimo che le sue iniziative di carattere aggressivo, soprattutto la chiusura degli Stretti di Tiran, sarebbero state considerate da Israele quale un atto di guerra, ma presumeva che le grandi potenze avrebbero impedito al nostro stato di reagire o, se l'esercito israeliano avesse attaccato, che le difese egiziane nel Sinai fossero sufficienti a fermarlo; in ogni caso, il Consiglio di Sicurezza avrebbe ben presto imposto un armistizio, e l'episodio si sarebbe concluso con un duplice successo per Nasser: la rimozione dell'UNEF e la permanenza del blocco sugli Stretti. Nasser aveva ben presente ciò che era accaduto nel 1956, quando USA e URSS avevano obbligato Francia, Inghilterra e Israele a ritirare le proprie forze e a far buon viso a cattivo gioco per la nazionalizzazione del Canale. Questa volta, non soltanto USA e URSS, ma anche la Francia e la Gran Bretagna erano contrari alla guerra; Nasser non aveva dunque altro da fare che sconfiggere Israele. (p. 290)
 
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