Moshe Dayan: differenze tra le versioni

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*Benché abbia vissuto a [[Gerusalemme]] per parecchi anni, non ne sono nativo. Quando, prima del 1948, visitai la Città Vecchia, ebbi l'impressione di trovarmi all'improvviso in un altro mondo, un universo di spesse mura di pietra che racchiudevano brulicanti bazaar affollati di acquirenti e mercanti, turisti e pellegrini stranieri, arabi con i loro ''kefieh'', ebrei hassidici nei loro tradizionali abiti neri, e frati e monache non le tonache dei rispettivi ordini. Gradini sconnessi salivano dagli stretti vicoli del mercato verso l'oscurità di misteriose stradine. Era tutto assai diverso dall'Israele in cui ero nato e cresciuto, un paese aperto e pieno di luce. Ma ora, nel giorno della sua liberazione, Gerusalemme era ben diversa dalla città che avevo conosciuto. Paracadutisti, carristi e truppe della Brigata di fanteria Jerusalem affollavano la città, l'arma in spalla, l'esultanza nello sguardo. Questa era la Gerusalemme alla quale avevamo aspirato e per la quale avevamo combattuto, era la nostra Gerusalemme, la Gerusalemme ebraica, libera e piena di gioia. Ma c'era anche tristezza: per le vite che erano andate perdute al fine di rendere possibile l'esultanza, e per la vista del quartiere ebraico, distrutto nel 1948. (p. 10)
*Sia nella teoria che nella pratica, io concordavo con la via indicata da [[David Ben-Gurion|Ben-Guiron]], il quale si opponeva fermamente ai dissidenti ed esigeva che mettessero fine alle attività terroristiche. La sua politica, e quella dell'Haganah, consisteva nello scoprire e combattere gli assalitori arabi, non già nell'impegnarsi in rappresaglie indiscriminate che avevano come conseguenza la morte di arabi innocenti. (p. 72)
*La decisione della Nazioni Unite, che riconosceva il diritto di Israele di esistere come stato, era d'importanza storica. L'approvazione della risoluzione costituiva un successo politico di enorme risonanza, e il merito principale ne spettava a Ben-Guiron. Ma, sottesa alla nostra gioia, era un'emozione ben più profonda, che avvertivo in quanto ebreo, e che mi faceva sentire più che mai tale. Esultavo, con ogni fibra del mio corpo, per la vittoria del giudaismo che durante i duemila anni d'esilio dalla Terra di Israele aveva resistito alle perscuzioni, all'Inquisizione spagnola, a ''pogrom'', a legislazioni antiebraiche, a restrizioni d'ogni sorta e, per quanto riguardava la nostra generazione, al genocidio perpetrato dai nazisti, e che aveva conosciuto la realizzazione delle sue secolari aspirazioni, il ritorno a una Sion libera e indipendente. (p. 73)
*Gli stati arabi si rifiutarono di accettare la risoluzione dell'ONU e proclamarono la loro intenzione di muovere guerra allo stato ebraico. Molti arabi, tuttavia, non attesero la dichiarazione ufficiale della nascita del nostro stato; quelli palestinese, spalleggiati da guerriglieri a loro volta sovvenzionati da nazioni vicine, iniziarono immediatamente gli attacchi, nella speranza di render nulla la risoluzione; e, durante i successivi cinque mesi e mezzo, il paese fu scosso da atti di violenza. Le aggressioni arabe contro insediamenti agricoli, villaggi e vie di comunicazione israeliani si moltiplicavano giorno dopo giorno. Il governo inglese, annunciando che il 15 maggio avrebbe rinunciato al mandato, non contribuì certo a gettar acqua sul fuoco. Ormai, l'anarchia regnava sovrana, con la conseguenza che parecchi paesi i quali avevano votato a favore della spartizione della Palestina all'ONU stavano tornando sulle loro decisioni, mentre sui ''leaders'' ebraici venivano esercitate forti pressioni a livello internazionale perché rinunciassero all'indipendenza. I paesi in questione temevano che il nostro stato fosse spazzato via al suo nascere, sotto l'impeto degli arabi locali cui si sarebbero uniti gli eserciti degli stati vincitori. I nostri ''leaders'' resistettero tuttavia alle pressioni, ignorando i consigli rivolti loro da amici preoccupati; erano ben decisi a procedere alla proclamazione dell'indipendenza e a respingere gli aggressori. Sapevano, al pari di ogni ebreo in Palestina, che da quel momento e finché lo stato in guerra non fosse cessato, la lotta avrebbe dovuto essere il nostro unico pensiero. Se così non fosse avvenuto, e se non avessimo vinto, il sogno sionista sarebbe andato in fumo, non avremmo avuto l'indipendenza né l'immigrazione e gli insediamenti agricoli. (p. 74)
 
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