Bernardo Valli: differenze tra le versioni

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*È come se, insieme al [[Ruanda]], l'Africa intera stesse agonizzando nella regione dei Grandi Laghi. In un paese di sette milioni di abitanti, prima, per tre anni, ha imperversato la guerra civile; poi, per tre mesi, vi è stato compiuto un genocidio da affiancare ai più tremendi (la Shoa e la Cambogia); poi, ancora, c'è stato l'esodo in massa, l'espatrio disperato di milioni di esseri umani affamati; e adesso è il colera a mietere altre vite, all'ombra di un vulcano, il Nyiragongo, che potrebbe vomitare lava da un momento all'altro sui profughi rantolanti abbattutisi sulla città di Goma, nel vicino Zaire. In una cornice naturale tra le più preziose del pianeta, pregiata quanto un nostro centro storico di palazzi e cattedrali, anche perché il contadino africano l'ha coltivata con arte per secoli, sembra che stia proprio morendo un continente svalutato.<ref name="tenebra">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/07/23/la-grande-tenebra-che-oscura-il-ruanda.html?ref=search ''La grande tenebra che oscura il Ruanda''], ''la Repubblica'', 23 luglio 1994.</ref>
*Dopo essere stata una colonia tedesca, il Ruanda è diventato nel 1918, in seguito alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, una colonia belga, vale a dire un paese francofono. Qualità che più tardi, ottenuta l'indipendenza, gli ha consentito di entrare nel privilegiato club dei paesi africani protetti dalla Francia. In quel club conta senz'altro il fascino per la cultura francese. Conta altresì la preferenza per i prodotti e la tecnica francesi ben inteso, anche se gli scambi con l'Africa francofona rappresentano soltanto il 3 per cento del commercio con l'estero di Parigi. In compenso i vari regimi hanno la garanzia di essere assistiti dall'Armée. Così quello ruandese, dominato dalla maggioranza hutu (85 per cento della popolazione) ha avuto un appoggio militare quando è cominciato il conflitto con la minoranza tutsi. La quale aveva tra l'altro un difetto, quello di essere per lo più anglofona, per via degli stretti rapporti con la vicina Uganda, ex colonia britannica. È dunque con armi e istruttori forniti dai francesi, che è cominciato il genocidio dei tutsi compiuto dalle milizie hutu. Ed ora che i primi, i tutsi, hanno vinto, e che gli hutu fuggono per timore di essere a loro volta massacrati, i francesi intervenuti per ragioni umanitarie sono costretti a proteggerli, e con loro proteggono gli autori del genocidio.<ref name="tenebra"/>
*Non è il trionfo, ma è certamente un successo della "giustizia internazionale" il fatto che il governo di Belgrado abbia consegnato Slobodan Milosevic al Tribunale Penale dell' Aja. Mai, prima d'ora, un ex capo di Stato era stato affidato dal governo del proprio Paese a una giurisdizione sopranazionale. Il processo all' ex presidente jugoslavo per crimini (di guerra e contro l'umanità) sarà dunque una prima assoluta nella storia moderna. Ed è senz' altro un avvenimento che segna una svolta nella storia dei Balcani, poiché affidandosi alla giustizia dell'Occidente il governo neodemocratico serbo ne ha sposato ancor più i principi, abbandonando una tradizione nazionalista, fondata su un orgoglio con forti connotati tribali.<ref name="storicoprocesso">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/06/29/lo-storico-processo-al-tiranno.html?ref=search ''Lo storico processo al tiranno''], ''la Repubblica'', 29 giugno 2001.</ref>
*La scoperta delle fosse comuni alle porte di Belgrado ha cambiato la situazione. Per la prima volta, dopo dieci anni, i serbi hanno constatato con i loro occhi, e quindi hanno dovuto ammettere, che i crimini attribuiti a Milosevic non erano un' invenzione dei nemici della Serbia. Lo stesso governo ha fatto trasmettere alla televisione la riesumazione dei resti di kosovari trasportati e sepolti a Batajnica, un sobborgo della capitale: teschi, tibie, femori, vertebre....; scheletri frantumati di donne, bambini, vecchi; cadaveri con evidenti tracce di sevizie. Durante e dopo la guerra varie organizzazioni umanitarie avevano parlato di convogli colmi di cadaveri arrivati in Serbia. Ma la gente non ci credeva. Tutta propaganda. In quanto alle fosse comuni scoperte in Kosovo non erano poi tanto numerose. Non comunque tali da provare i massacri denunciati dalla Nato. Le nuove immagini, mostrate alla televisione mentre si discuteva dell'estradizione di Milosevic, hanno dissipato i dubbi. Soltanto gli stretti partigiani di Milosevic hanno continuato a negare.<ref name="storicoprocesso"/>
*La sua figura è popolare. [[Michel Aflaq|Aflaq]] fu il fondatore del partito Baath (Rinascita), al quale appartengono i miliziani armati, adesso dispersi nelle case della capitale. Fu anche l'ispiratore di Saddam Hussein. Il mausoleo. Sarebbe un ottimo bastione.<ref name="assediobagdad">Da [http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccotto/valli/valli.html?ref=search ''Assedio a Bagdad città di spettri''], ''la Repubblica'', 26 marzo 2003.</ref>
*Aflaq (un siriano di religione cristiana ortodossa) voleva strappare gli arabi dall'asservimento alla religione, a suo avviso retrogrado, e sognava una grande nazione panaraba.<ref name="assediobagdad"/>
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*L'[[Stato Imperiale dell'Iran|Iran imperiale]] disponeva di enormi risorse finanziarie che consentivano grandi innovazioni, in tutti i campi. Teheran era la meta obbligata di legioni di uomini d'affari occidentali, incolonnati come questuanti davanti ai ministeri, ansiosi di proporre prodotti e progetti. Non mi passò neppure per la testa l'idea che quel successo potesse condurre a un disastro. A ritorcesi contro lo scià fu l'eccessiva modernizzazione, compresa quella culturale. La precipitosa industrializzazione, pagata con i proventi petroliferi, non dette i frutti sperati. L'Iran non era competitivo sul piano internazionale e all'interno i consumi non erano sufficienti per mantenere le attività appena create. Si accentuò il declino dell'agricoltura, ferita da una riforma che, per volontà dello scià, aveva trasformato mezzadri e fittavoli in tanti proprietari troppo piccoli per sopravvivere. Così il distacco tra le città, gonfiate da popolazioni inurbate in gran fretta, e la società rurale era aumentato, ed era cresciuto in modo vertiginoso quello tra le classi beneficiate dalla pioggia petrolifera e quelle escluse, abbandonate a se stesse. Le campagne in favore dell'emancipazione femminile e dell'alfabetizzazione fecero emergere strati sociali subito assetati di libertà adeguate al loro nuovo status. Ma un apparato poliziesco severo, e spesso spietato, reprimeva quegli slanci suscitati dalle riforme. La monarchia non fu capace di gestire la modernizzazione (l'occidentalizzazione) che essa stessa aveva voluto. Non fu capace di rinunciare a un rigido autoritarismo che comprimeva la società civile in espansione.<ref name="stradeteheran">Da [http://download.repubblica.it/pdf/diario/31012004.pdf ''Sulle strade di Teheran con la furia di un popolo''], ''la Repubblica'', 31 gennaio 2004.</ref>
*{{NDR|Su [[Mohammad Reza Pahlavi]]}} Un monarca che si richiamava a Ciro il Grande, ossia all’epoca preislamica, e che pensava di essere sotto la tutela della superpotenza americana.<ref name="stradeteheran"/>
*Può darsi che i successori, racimolati di gran fretta dall' esercito per evitare un pericoloso vuoto di potere, siano in realtà dei pretoriani, pronti a difendere nei limiti del possibile gli interessi dell'esule. Ma resta il fatto che il Maghreb ha perduto un dittatore e che gli occidentali (Stati Uniti, Francia, Italia) hanno un alleato "laico" in meno nel mondo musulmano.<ref name="dittatorelaico">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/01/15/il-dittatore-laico-da-idolo-del.html?ref=search ''Il dittatore laico. Da idolo del ceto medio a tiranno''], ''la Repubblica'', 15 gennaio 2011.</ref>
*La decolonizzazione è stata l'esperienza più importante della mia vita professionale. Era esaltante, per il giovane cronista degli ultimi anni Cinquanta e poi dei Sessanta, veder nascere tanti Paesi africani, sulle coste mediterranee, atlantiche e dell'Oceano Indiano. Dal Congo alla Somalia, dall'Algeria al Madagascar. Come poi fu deprimente assistere alla rapida degradazione di molti di quei Paesi, dove i capi della lotta per l'indipendenza si erano trasformati in tiranni spesso corrotti. Ma la storia recente non cancella quella passata. E nella storia dell'epoca coloniale, sia pur rivisitata e aggiornata con nuove ricerche e più pacate valutazioni, restano la schiavitù, il lavoro forzato, i massacri, la tortura, le umiliazioni... Tanti crimini, insomma, contro l'umanità.<ref name="colonie">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/12/16/colonie-la-cattiva-coscienza-dell-occidente.html?ref=search ''Colonie. La cattiva coscienza dell'Occidente''], ''la Repubblica'', 16 dicembre 2005.</ref>
*Una democrazia non nasce spontaneamente. Noi europei lo sappiamo bene. Per l'Africa va ricordato che nel tracciare i confini dei loro possedimenti, alla fine dell'Ottocento, le potenze coloniali non badarono all'omogeneità culturale dei gruppi umani. Gli stessi confini diventarono negli anni Sessanta quelli degli Stati-nazione indipendenti. Cosi, per fare un esempio, i popoli di lingua kongo furono dispersi in tre Stati, il Congo ex francese, il Congo ex belga e l'Angola ex portoghese. Nessuno tenne in considerazione il fatto che quei popoli avessero costituito nel passato un potente regno, durato assai più a lungo dell'epoca coloniale.<ref name="africatirannia">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/03/10/africa-dalla-tirannia-al-darfur-le-piaghe.html?ref=search ''Africa. Dalla tirannia al Darfur le piaghe di un continente''], ''la Repubblica'', 10 marzo 2009.</ref>
*Il nuovo presidente fu salutato come un salvatore della patria che versava in pessime condizioni economiche e che si diceva fosse insidiata da un partito integralista islamico (Ennahdha) impegnato in innumerevoli e imprecisati complotti. Lui, Ben Ali, rilanciò l'economia gettando le basi di un liberismo nuovo per il paese e schiacciò il partito integralista. Ebbe anche impennate democratiche, poiché abolì il principio della "presidenzaa vita" del tempo di Bourghiba e limitò a tre il numero dei mandati, che poi aumentarono via via che prendeva gusto ad esercitare il potere. Promosse persino una politica sociale detta di solidarietà, istituendo fondi speciali destinati ai più poveri, o alla creazione di un sistema di sicurezza sociale. Sull'esempio del predecessore, che aveva fatto della donna tunisina una delle più libere del mondo arabo, si dedicò per un certo periodo anche all'emancipazione femminile. Mentre diventava l'idolo delle classi medie, favorite dal rapido sviluppo economico (la crescita è stata per anni superiore al 5 per cento); Ben Ali sviluppava al tempo stesso, e con identico zelo, la sua inclinazione alla repressione poliziesca. Non soltanto nei confronti degli islamisti, ma anche di qualsiasi oppositore, subito definito di sinistra. Cosi ha creato un' atmosfera da incubo.<ref name="dittatorelaico"/>
*{{NDR|Su [[Osama bin Laden]]}} Quale arabo, dopo forse il Saladino, ha affrontato l' Occidente con tanto impeto?<ref name="principedelterrore">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/05/03/ascesa-caduta-del-principe-del-terrore.html ''Ascesa e caduta del principe del terrore / Il giovane viziato con lo sguardo timido''], ''la Repubblica'', 3 maggio 2011.</ref>
*Quella avvenuta ad Abbotabad (a 80 chilometri a nord di Islamabad) è stata la seconda morte di Osama Bin Laden. Quella fisica. Mentre quella simbolica, politica, ideologica, era già avvenuta sulle piazze del Cairo, di Tunisi, di Damasco, di Bengasi, dove Al Qaeda è stata ignorata. Nessuno l'ha esaltata. Nessuno l'ha nominata. La "[[primavera araba]]" è sbocciata, è esplosa per la voglia di democrazia, di libertà. Non è provocata dal fanatismo islamista, e ancor meno ispirata dall'idea di un califfato (antico fantasma totalitario) lanciata da Bin Laden. Il suo strumento terroristico, Al Qaeda, più una nebulosa alimentata da gruppi di imitatori spersi nel mondo che una organizzazione vera e propria, è stata ed è ignorata dai giovani egiziani, tunisini, siriani o libici. Per loro è un arnese insanguinato e obsoleto. Non è una scelta. È fuori dal tempo, anche se i suoi sporadici seguaci sono ancora capaci di colpire. Prima degli americani, Bin Laden è stato ucciso simbolicamente dalla gente di piazza Tahrir e di avenue Burghiba.<ref name="principedelterrore"/>
*Osama non è un musulmano colto, non conosce molto di teologia, ma questo l'aiuta: parla un arabo semplice, elegante, classico, condito di versetti del Corano.<ref name="principedelterrore"/>
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*Per ammazzare una settantina di esseri umani e per ferirne quasi duecento bisogna sparare parecchio. Ma gli [[afrikaner]] non lesinavano i mezzi per imporre l'[[Apartheid]], istituzionalizzato al fine di separare lo sviluppo di bianchi e neri, vale a dire di segregare i neri, privati dei diritti civili e politici riservati ai bianchi.<ref name="quandomandela">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/12/07/quando-mandela-prese-le-armi.html?ref=search ''Quando Mandela prese le armi''], ''la Repubblica'', 7 dicembre 2013.</ref>
*Mandela non ignorava certo l'eredità di Gandhi. Ma è rimasto un uomo d'azione. I suoi modelli non erano i pacifisti. Lui non lo era. Sarà non violento quando potrà esercitare la violenza e non lo farà. Questa è stata la sua nobiltà. Una nobiltà africana, senza odio e desiderio di vendetta, o di rivalsa, che ne ha fatto un grande leader carismatico.<ref name="quandomandela"/>
*Il piglio del capo era evidente, ma colpiva anche lo sguardo tra il cameratesco e il paterno che rivolgeva ai subalterni. Nessuna agitazione nei gesti, malgrado gli schianti dell' artiglieria e dei bombardamenti aerei. Come coloro che conoscono la vera arte del comando, poteva alzare la voce, anzi l' alzava, ma senza toni minacciosi. Intimoriva, esortava e rassicurava coloro che obbedivano. Sapeva trascinarli. La sua prepotenza si manifestava altrove, nell' offensiva contro i palestinesi, ai quali non dava tregua scaricando su di loro tutti i mezzi dell' efficace esercito israeliano.<ref name="pigliocapo">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/01/12/il-piglio-del-capo.html?ref=search ''Il piglio del capo''], ''la Repubblica'', 12 gennaio 2014.</ref>
*Ritenuto colpevole, sia pure indiretto, da una commissione di inchiesta israeliana, della strage dei palestinesi del campo di Sabra e Shatila, fu dichiarato non adatto a comandare le forze armate, nella veste di ministro della Difesa. Fu una brutta pagina della vita di Sharon. Il massacro fu compiuto da libanesi, ma lui lasciò fare.<ref name="pigliocapo"/>
*Era considerato un «criminale di guerra» dai palestinesi e un politico avventuroso da molti intellettuali israeliani. Un uomo imprevedibile, spericolato e intraprendente. Amante della guerra ma anche della quiete nella sua fattoria modello doveva faceva l'agricoltore. Interdetto come ministro della Difesa, dopo un lungo periodo di disgrazia, è diventato primo ministro. Un capo del governo capace di sorprendere, di stupire, così come aveva sorpreso e stupito come capo militare. Ha deciso la costruzione del muro fra i territori palestinesi e Israele, e al tempo stesso ha abbandonato Gaza ai palestinesi. Una concessione territoriale al momento eccezionale, rivelatasi poi insidiosa per l'autorità palestinese, dominata dall'Olp moderata, che ha perduto il controllo di quella provincia, dominata dalla più intransigente Hamas. L'iniziativa di Sharon tendeva forse a dividere gli avversari, ma era accompagnata da una politica tesa a stabilire rapporti distensivi con molti paesi arabie con gli stessi palestinesi. Da uomo di una destra spesso estrema, che aveva favorito l'insediamento di numerose colonie israeliane in Cisgiordania, è diventato un politico aperto a soluzioni pacifiche. Ha abbandonato il Likud e ha fondato un partito di centro, Kadima per questo è stato accusato di tradimento da alcuni suoi amici. E per non pochi vecchi nemici è apparso invece come un leader capace di favorire una vera intesa. La sua energia sembrava rivolta verso una giusta direzione. Ma il suo cervello ha ceduto. È intervenuta la morte cerebrale. Otto anni dopo diventata morte totale.<ref name="pigliocapo"/>
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{{Int|1=Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/09/07/gheddafi-il-film-dei-suoi-vent-anni.html?ref=search ''Gheddafi, il film dei suoi vent'anni'']|2=''la Repubblica'', 7 settembre 1989}}
[[File:Gaddafi 1972.jpg|thumb|[[Mu'ammar Gheddafi]]]]
*Sui fianchi delle mongolfiere offertisi d'improvviso ai nostri sguardi ci sono due grandi facce di Gheddafi. Due volti scarni, ascetici, con occhi socchiusi che si proteggono dai bagliori spietati del cielo e della terra. Stupiti, estasiati i libici assistono all'ascensione del Qaid, il capo, la guida, il leader. C'è molto Fellini in questa Tripoli che celebra i vent'anni del regime. Nel cielo non ci sono soltanto le mongolfiere. C'è anche un dirigibile che sorvola il lungomare scarrozzando in su e in giù un altro ritratto dell' autore della Terza teoria universale contenuta nel Libro Verde. Ed anche in quel ritratto Gheddafi ha la faccia affilata e gli occhi misteriosi. Lui si vede forse ancora così, giovane e incontaminato ufficiale beduino, e comunque così si fa spesso ritrarre, senza le borse sotto gli occhi, senza le guance un po' sfatte, senza lo sguardo annegato nelle nevrosi di un ormai lungo potere ricco di emozioni, tragicommedie, delusioni. Uno sguardo non più perduto romanticamente nel deserto natale come scrivevano i primi agiografi.
*Non era Reagan che voleva distruggere Tripoli e uccidere Gheddafi? Ebbene, lui, Reagan non è più presidente degli Stati Uniti, è andato in pensione, mentre Tripoli è smagliante e Gheddafi trionfa nel film dei festeggiamenti. Si tratta infatti di un film, non della realtà: un film di cui Gheddafi è regista e primo attore e in cui appaiono tutti i suoi deliri. Non potendo sconfiggere gli americani, annientare l'imperialismo, cancellare il sionismo, assorbire il Ciad, punire Arafat il rinunciatario, non potendo assumere la guida del Terzo mondo e punire l'Europa ancora colpevole del colonialismo, non potendo insomma essere il Gheddafi onnipotente che vorrebbe essere, egli se la cava con un film.
*Nella conquista africana Gheddafi ha sperperato anche dollari e prestigio. Ha rivendicato il Ciad, ha aiutato l'Etiopia e l'Uganda, quando questi due paesi erano in preda a convulsioni rivoluzionarie o semplicemente alla violenza, ha inquietato il pacifico Niger, ha cercato di trescare con il Benin, la Repubblica Centrafricana e il Burkina Faso, ha molestato un po' tutti. Prima ha incuriosito per le sue idee e i suoi petrodollari, poi ha inquietato e spaventato, adesso non viene più preso sul serio, se non da coloro che sperano di spillargli qualche soldo. Ma lui continua imperterrito a parlare senza tener conto della mutata situazione internazionale, anche se nei fatti vi si è rapidamente adeguato.
*Il bombardamento americano dell' 86 ha avuto l'effetto di un elettrochoc: più ancora delle bombe ha traumatizzato Gheddafi l'isolamento subito dal paese in quei momenti difficili. I fratelli arabi e gli amici africani gli hanno girato le spalle, l' Unione Sovietica e le altre nazioni socialiste l'hanno tenuto a debita distanza. La Libia aveva tutte le porte sbarrate: ai suoi fianchi i confini con la Tunisia e l' Egitto erano chiusi, a Sud era ancora in corso la guerra col Ciad e dal Mediterraneo erano appena arrivati i fulmini di Reagan. Cosi è cominciata la svolta pragmatica di Gheddafi. Anzitutto egli ha ammorbidito la situazione interna: ha liberato gran parte dei prigionieri politici, più quelli detenuti per delitti d'opinione che i veri oppositori del regime, ha soppresso la giustizia sommaria esercitata dai comitati rivoluzionari, ha avviato la liberalizzazione del commercio e autorizzato l'importazione di beni di consumo. Vuotando o sfoltendo le prigioni, riempiendo i negozi e aprendo le frontiere Gheddafi ha dato un po' di respiro ai libici. Ne avevano bisogno. Essi avevano rivelato di essere giunti ai limiti della sopportazione quando avevano espresso con molta parsimonia la loro solidarietà al regime dopo i bombardamenti americani. Ma è veramente cambiato Gheddafi? È rinsavito sul serio? Una cosa è certa: lo stacco tra quel che dice e quel che fa si è notevolmente allargato.
*I due uomini si detestano. Arafat chiama Gheddafi principe delle chiacchiere. Gheddafi accusa Arafat di svendere a Israele la terra araba. La Palestina non è soltanto tua, è di tutti noi arabi, gli ha detto in faccia durante un banchetto ufficiale, a Tunisi, davanti agli ambasciatori occidentali, nel dicembre scorso, dopo che il capo dell'Olp aveva accettato a Ginevra l'esistenza dello Stato ebraico.
*Gli scettici sostengono che l'autore della Terza teoria universale non è cambiato. È cambiato il quadro internazionale. Lui si adegua per sopravvivere.
*A lui non piace il Magreb. Ha sempre teso a spazi più ampi: all'Africa subsahariana e ancor più all' unità araba preconizzata, tentata da Nasser, suo padre spirituale. Lui ha cercato più volte di fondersi con questo o quel paese dell'Africa Settentrionale, con la speranza di estendere la sua influenza, di esportare la sua rivoluzione. Tutti i tentativi sono falliti.
 
{{Int|1=[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/09/12/anatomia-di-un-tiranno.html?ref=search Da ''Anatomia di un tiranno'']|2=''la Repubblica'', 12 settembre 1990}}
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[[File:Nyamata Memorial Site 13.jpg|thumb|Teschi umani al Nyamata Genocide Memorial, [[Ruanda]]]]
*Strage o genocidio? La morte di ottocentomila uomini e donne di tutte le età merita un nome. Se scavi in questo paesaggio oleografico, smaltato dalle piogge, colorato e lucido come una pubblicità di safari per turisti ricchi, rischi di trovare teschi traforati dai mitra o sfondati a colpi di martello e di scure. Anche grazie al concime umano, tante piante sono rigogliose, spavalde, sui crinali delle morbide colline di quella che un tempo fu, forse, un'Africa Felix.
*Gli hutu, che, nel '94, furono in gran parte gli assassini (e che ora rischiano di essere le vittime), sono, in generale, di statura più bassa. Più tozzi. Si dice che fossero invidiosi, al punto da segare talvolta le gambe di quei compatrioti tanto più alti di loro. Ma ci sono anche hutu più grandi e affilati dei tutsi. Dipende dalle regioni. Le diversità etniche possono essere un'invenzione. Un incubo. Sono tuttora un'ossessione. Un'eredità, si dice, lasciata dai colonizzatori bianchi, antropologi da strapazzo, ispirati da quell' antenato dei razzisti del nostro secolo che fu l'ottocentesco [[Joseph Arthur de Gobineau|conte di Gobineau]]; e quindi inclini come lui a dissertare sulla "disuguglianza delle razze umane" fondata su una base fisica. E furono loro, coloni e missionari, a supporre e poi a raccontare, fino a costruirci attorno la "storia" del Ruanda, che i tutsi arrivavano dalle valli del Nilo e discendevano dai bianchi, dunque erano di origine straniera, dei conquistatori, insomma usurpatori, e di una razza superiore agli hutu, volgari bantù africani. Nel bailamme continentale delle tribù la fantasia europea poteva scatenarsi a piacere.
*La posta in gioco sono centinaia di migliaia di profughi hutu, fuggiti dal Ruanda nel timore di una rappresaglia, dopo il genocidio dei '94. Una massa umana in bilico sul confine, respinta dai tutsi: e di cui si servono invece, come di un ariete, i superstiti dell'ex regime di Kigali, autore del massacro, ora alla ricerca di una rivincita, con l'aiuto dello Zaire. Là il dramma ruandese può essere il detonatore che fa saltare quell'autentica polveriera tribale che è l'ex Congo belga. Un paese disegnato sulle frontiere coloniali, senza tener conto della storia – non scritta – di quelle regioni: e che adesso rischia, come già accadde al momento dell'indipendenza, di andare in frantumi e di destabilizzare l'intera Africa centrale. È al tempo stesso allucinante ed esemplare. A conclusione di un secolo che ha conosciuto la morte del colonialismo, e che ora, arrivato alla fine, assiste alla non tanto lenta rovina del continente nero, questo dramma ruandese è in definitiva il risultato di quello che gli scrittori africani riuniti a Roma, nella primavera del '59, denunciarono come uno dei più gravi peccati occidentali: l'avere accettato, senza discutere, e diffuso, la nozione di un popolo, quello africano, "senza cultura". Ed anche "senza storia", perché, appunto, la si tramandava per via orale. Partendo da questo principio, coloni e (spesso) missionari hanno creato una storia africana con un calco occidentale e hanno imposto la loro cultura come se prima ci fosse stato il vuoto. Ne sono uscite delle mostruosità.
*Ogni volta che, in Ruanda, si varca la soglia di una chiesa, si cercano sul pavimento e sulle pareti le tracce di sangue dei cristiani, per lo più tutsi, ma anche hutu amici dei tutsi, che vi sono stati macellati.
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*Capita ai serbi di confondere storia e leggenda e di vivere la storia come se fosse attualità. L'epica popolare, che racconta ed esalta la storia - leggenda, fa parte dell'immaginario collettivo e della cultura nazionale. I romantici tedeschi la consideravano una grande poesia, pari o addirittura più alta di quella di Omero: era la riabilitazione della tragedia, l'esaltazione delle sconfitte. Spuntato dalle rovine del comunismo Slobodan Milosevic ha sfruttato quella tendenza per conquistare il potere e per arroccarvisi. Il suo stile ieratico (forse ereditato dal padre: un prete ortodosso scomunicato e suicida) e al tempo stesso senza carisma, ebbe un effetto straordinario nel vuoto di idee e di potere lasciato dalla fine del titoismo. Di fronte al liberalismo politico ed economico che avrebbe distrutto il sistema di cui si era impadronito, Milosevic ha usato il nazionalismo più esasperato. Prima per calcolo, con evidente cinismo, poi probabilmente credendoci.
*La sua nevrosi familiare sarebbe rimasta tale in tempi normali. Ma come capita spesso con gli autocrati che irrompono sulla scena nelle grandi crisi, essa ha assunto le dimensioni di una tragedia storica. Una tragedia insanguinata non da battaglie epiche ma da massacri, spesso di civili inermi.
*La consegna di Milosevic a una giustizia affidata ai vincitori della guerra del Kosovo equivarrebbe a un' altra sconfitta serba. E il nuovo nazionalismo, moderato e democratico, non la vuole subire.
*C'è in [[Vojislav Koštunica|Vojislav Kostunica]] un insieme di abilità e di dirittura eccezionale in un uomo che, almeno per ora, sembra dominare una situazione tanto complessa ed esplosiva.
 
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*L'uscita dalla ribalta politica di [[Yasser Arafat]] apre un grande vuoto in Medio Oriente: spalanca uno spazio in cui possono maturare opportunità per una ripresa del dialogo, ma in cui si può anche scatenare un ciclo di violenze ancora più tragico di quello che ogni giorno insanguina una terra troppe volte santa per essere pacifica.
*Arafat è il protagonista di una lotta tra due popoli che si contendono la stessa terra, in nome di antichi valori, avendo sullo sfondo la strage europea degli ebrei, i cui superstiti sono venuti a rifugiarsi, a recuperare i luoghi biblici degli antenati, su cui vivevano da secoli degli arabi musulmani: i palestinesi diventati vittime delle nostre vittime.
*George W. Bush, come Ariel Sharon, rifiutava di parlare con Arafat. Lo riteneva responsabile del terrorismo e non lo considerava un interlocutore valido. La scomparsa del raìs dalla scena politica e la simultanea supposta disponibilità di Bush potrebbero consentire una ripresa non solo del dialogo ma anche di veri negoziati. L' ostacolo del logoro, tenace Arafat è caduto. E i dirigenti che dovrebbero succedergli sono più che disponibili.
*Se Ariel Sharon persiste nel rifiutare al raìs una tomba a Gerusalemme, nella moschea di Al Aqsa, dove lui voleva essere sepolto, ci potrebbe essere la prima fiammata del dopo Arafat.