Bernardo Valli: differenze tra le versioni

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*L’Iran imperiale disponeva di enormi risorse finanziarie che consentivano grandi innovazioni, in tutti i campi. Teheran era la meta obbligata di legioni di uomini d’affari occidentali, incolonnati come questuanti davanti ai ministeri, ansiosi di proporre prodotti e progetti. Non mi passò neppure per la testa l’idea che quel successo potesse condurre a un disastro. A ritorcesi contro lo scià fu l’eccessiva modernizzazione, compresa quella culturale. La precipitosa industrializzazione, pagata con i proventi petroliferi, non dette i frutti sperati. L’Iran non era competitivo sul piano internazionale e all’interno i consumi non erano sufficienti per mantenere le attività appena create. Si accentuò il declino dell’agricoltura, ferita da una riforma che, per volontà dello scià, aveva trasformato mezzadri e fittavoli in tanti proprietari troppo piccoli per sopravvivere. Così il distacco tra le città, gonfiate da popolazioni inurbate in gran fretta, e la società rurale era aumentato, ed era cresciuto in modo vertiginoso quello tra le classi beneficiate dalla pioggia petrolifera e quelle escluse, abbandonate a se stesse. Le campagne in favore dell’emancipazione femminile e dell’alfabetizzazione fecero emergere strati sociali subito assetati di libertà adeguate al loro nuovo status. Ma un apparato poliziesco severo, e spesso spietato, reprimeva quegli slanci suscitati dalle riforme. La monarchia non fu capace di gestire la modernizzazione (l’occidentalizzazione) che essa stessa aveva voluto. Non fu capace di rinunciare a un rigido autoritarismo che comprimeva la società civile in espansione.<ref name="stradeteheran">Da [http://download.repubblica.it/pdf/diario/31012004.pdf ''Sulle strade di Teheran con la furia di un popolo''], ''la Repubblica'', 31 gennaio 2004.</ref>
*{{NDR|Su [[Mohammad Reza Pahlavi]]}} Un monarca che si richiamava a Ciro il Grande, ossia all’epoca preislamica, e che pensava di essere sotto la tutela della superpotenza americana.<ref name="stradeteheran"/>
*Può darsi che i successori, racimolati di gran fretta dall' esercito per evitare un pericoloso vuoto di potere, siano in realtà dei pretoriani, pronti a difendere nei limiti del possibile gli interessi dell'esule. Ma resta il fatto che il Maghreb ha perduto un dittatore e che gli occidentali (Stati Uniti, Francia, Italia) hanno un alleato "laico" in meno nel mondo musulmano.<ref name="dittatorelaico">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/01/15/il-dittatore-laico-da-idolo-del.html?ref=search ''Il dittatore laico. Da idolo del ceto medio a tiranno''], ''la Repubblica'', 15 gennaio 2011.</ref>
*La decolonizzazione è stata l'esperienza più importante della mia vita professionale. Era esaltante, per il giovane cronista degli ultimi anni Cinquanta e poi dei Sessanta, veder nascere tanti Paesi africani, sulle coste mediterranee, atlantiche e dell'Oceano Indiano. Dal Congo alla Somalia, dall'Algeria al Madagascar. Come poi fu deprimente assistere alla rapida degradazione di molti di quei Paesi, dove i capi della lotta per l'indipendenza si erano trasformati in tiranni spesso corrotti. Ma la storia recente non cancella quella passata. E nella storia dell'epoca coloniale, sia pur rivisitata e aggiornata con nuove ricerche e più pacate valutazioni, restano la schiavitù, il lavoro forzato, i massacri, la tortura, le umiliazioni... Tanti crimini, insomma, contro l'umanità.<ref name="colonie">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/12/16/colonie-la-cattiva-coscienza-dell-occidente.html?ref=search ''Colonie. La cattiva coscienza dell'Occidente''], ''la Repubblica'', 16 dicembre 2005.</ref>
*Una democrazia non nasce spontaneamente. Noi europei lo sappiamo bene. Per l'Africa va ricordato che nel tracciare i confini dei loro possedimenti, alla fine dell'Ottocento, le potenze coloniali non badarono all'omogeneità culturale dei gruppi umani. Gli stessi confini diventarono negli anni Sessanta quelli degli Stati-nazione indipendenti. Cosi, per fare un esempio, i popoli di lingua kongo furono dispersi in tre Stati, il Congo ex francese, il Congo ex belga e l'Angola ex portoghese. Nessuno tenne in considerazione il fatto che quei popoli avessero costituito nel passato un potente regno, durato assai più a lungo dell'epoca coloniale.<ref name="africatirannia">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/03/10/africa-dalla-tirannia-al-darfur-le-piaghe.html?ref=search ''Africa. Dalla tirannia al Darfur le piaghe di un continente''], ''la Repubblica'', 10 marzo 2009.</ref>
*Il nuovo presidente fu salutato come un salvatore della patria che versava in pessime condizioni economiche e che si diceva fosse insidiata da un partito integralista islamico (Ennahdha) impegnato in innumerevoli e imprecisati complotti. Lui, Ben Ali, rilanciò l'economia gettando le basi di un liberismo nuovo per il paese e schiacciò il partito integralista. Ebbe anche impennate democratiche, poiché abolì il principio della "presidenzaa vita" del tempo di Bourghiba e limitò a tre il numero dei mandati, che poi aumentarono via via che prendeva gusto ad esercitare il potere. Promosse persino una politica sociale detta di solidarietà, istituendo fondi speciali destinati ai più poveri, o alla creazione di un sistema di sicurezza sociale. Sull'esempio del predecessore, che aveva fatto della donna tunisina una delle più libere del mondo arabo, si dedicò per un certo periodo anche all'emancipazione femminile. Mentre diventava l'idolo delle classi medie, favorite dal rapido sviluppo economico (la crescita è stata per anni superiore al 5 per cento); Ben Ali sviluppava al tempo stesso, e con identico zelo, la sua inclinazione alla repressione poliziesca. Non soltanto nei confronti degli islamisti, ma anche di qualsiasi oppositore, subito definito di sinistra. Cosi ha creato un' atmosfera da incubo.<ref name="dittatorelaico"/>
*{{NDR|Su [[Osama bin Laden]]}} Quale arabo, dopo forse il Saladino, ha affrontato l' Occidente con tanto impeto?<ref name="principedelterrore">Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/05/03/ascesa-caduta-del-principe-del-terrore.html ''Ascesa e caduta del principe del terrore / Il giovane viziato con lo sguardo timido''], ''la Repubblica'', 3 maggio 2011.</ref>
*Quella avvenuta ad Abbotabad (a 80 chilometri a nord di Islamabad) è stata la seconda morte di Osama Bin Laden. Quella fisica. Mentre quella simbolica, politica, ideologica, era già avvenuta sulle piazze del Cairo, di Tunisi, di Damasco, di Bengasi, dove Al Qaeda è stata ignorata. Nessuno l'ha esaltata. Nessuno l'ha nominata. La "[[primavera araba]]" è sbocciata, è esplosa per la voglia di democrazia, di libertà. Non è provocata dal fanatismo islamista, e ancor meno ispirata dall'idea di un califfato (antico fantasma totalitario) lanciata da Bin Laden. Il suo strumento terroristico, Al Qaeda, più una nebulosa alimentata da gruppi di imitatori spersi nel mondo che una organizzazione vera e propria, è stata ed è ignorata dai giovani egiziani, tunisini, siriani o libici. Per loro è un arnese insanguinato e obsoleto. Non è una scelta. È fuori dal tempo, anche se i suoi sporadici seguaci sono ancora capaci di colpire. Prima degli americani, Bin Laden è stato ucciso simbolicamente dalla gente di piazza Tahrir e di avenue Burghiba.<ref name="principedelterrore"/>